ISSN 2039-1676


11 aprile 2012 |

Diritto penale intertemporale. Logiche continentali ed ermeneutica europea, Milano, Giuffrè, 2012, pp. 482

Autorelazione

 

La Prima Parte del volume monografico, pubblicato nella Collana Quaderni di Diritto penale comparato, internazionale ed europeo - sezione "Diritto penale europeo", è integralmente dedicata ai principi e alle regole intertemporali del sistema penale, ricostruiti nella loro dimensione domestica ed europeo-sovranazionale.

Più in particolare, i Capitoli I e III trattano della diversa portata, del diverso statuto di validità e del diverso ventaglio di destinatari che il principio d'irretroattività sfavorevole possiede nei sistemi continentali, nel sistema convenzionale e negli ordinamenti di common law, non senza i necessari riferimenti alla gestione (anche) punitivo-penalistica "del passato" in occasione del passaggio da totalitarismo a democrazia (cd. Transitional Criminal Justice); fenomeno questo che vive, per quanto (e per fortuna) in "coma farmacologico", nella nostra disciplina sub-costituzionale ex artt. 117, co. 1, Cost., 7, co. 2, Conv. EDU. Il confronto-scontro fra irretroattività continentale (regola inflessibile ma rivolta al solo legislatore) e irretroattività convenzionale (principio "doppiamente derogabile" ma applicato pure all'interpretazione), poi, costituisce l'occasione per tracciare le differenze che intercorrono fra la cultura giuridico-penale domestica (reo-centrismo e conseguente marginalizzazione della vittima) e la logica che innerva l'interpretazione della Corte EDU (vittimo-centrismo e conseguente marginalizzazione del reo): accanto all'idea del bilanciamento-composizione fra difesa sociale e diritti fondamentali del reo, tipica del costituzionalismo continentale, si staglia oggi la logica europeistica della "prioritarizzazione" della sicurezza dei diritti-interessi degli innocenti in un'ottica di gerarchizzazione delle libertà fondamentali, come dimostrano molti arresti dei giudici strasburghesi in punto di garanzie ex art. 6 Conv., obblighi di criminalizzazione e punizione, funzioni della pena e terrorismo (Capitolo II). Con taglio euro-scettico o, se si preferisce, opportunisticamente euro-entusiasta, si sottolineano dunque gli aspetti problematici della cd. europeizzazione della giustizia penale e, specialmente, dell'obbligo d'interpretazione conforme, plaudendo all'atteggiamento della giurisprudenza nostrana, la quale circonda l'influenza della normativa CEDU di stringenti contro-limiti e, almeno fino ad oggi, s'è limitata a recepire solo gli inputs europei che amplificano le garanzie liberali e gli "spazi di libertà". La pars construens, si perdoni il bisticcio, della prima parte, invece, riguarda l'estensione del divieto di retroattività ai reversals interpretativi: partendo dal riconoscimento del ruolo co-costitutivo del giudice, si ritiene tale estensione del tutto indolore per il principio di separazione dei poteri, oltre che praticabile (e urgente, e doverosa) già de lege lata.

I Capitoli IV e V riguardano il principio e le regole della retroattività in mitius, anche stavolta ricostruiti nella loro "versione" continentale ed europeo-convenzionale. Nel Capitolo IV, dopo aver descritto il raggio di copertura e la "forza di resistenza" della retroattività favorevole continentale, s'introduce il concetto, che diverrà centrale in tutta la trattazione, di abolizione giudiziale (o implicita), il cui background normoteorico è la distinzione fra il piano dell'enunciato (disposizione) e quello della sua interpretazione (norma). L'etichetta identifica qui i casi in cui il giudice collega effetti abolitivi all'evoluzione delle discipline evocate dall'incriminazione (modifiche indirette del tipo: di elementi normativi, clausole d'illiceità, etc.) o, comunque, su di essa convergenti (modifiche esterne al tipo: ad es. innesto-dilatazione di scriminanti, scusanti o cause di non punibilità). Dopo aver sottolineato come l'assenza di regole ad hoc, e la mancanza di un intervento diretto del legislatore, facciano del giudice l'autentico dominus del fenomeno; e dopo aver precisato che tale "delega in bianco" alla magistratura dipende dall'imperante cultura del favor libertatis, si passa a declinare il fondamento normologico e penale-costituzionale del principio, negandone recisamente la ratio individualistico-garantista. Nel Capitolo V si ripercorre invece la genesi e l'evoluzione della lex mitior prima nel sistema europeo-unionista (dal caso del "falso societario" al Trattato di Lisbona), poi in quello convenzionale ("caso Scoppola"), e ci si sofferma sugli effetti che, attraverso l'obbligo di interpretazione conforme, potrebbe implicare il riconoscimento del diritto sub-costituzionale alla retroattività delle modifiche migliorative, specie con riferimento ai fenomeni di abolitio giudiziale. In chiusura della prima parte, si prende posizione sull'ipotesi di manipolazione diretta e specializzante del tipo, non considerandola una forma di abolizione implicita (si parla, infatti, di un easy case di "abolizione esplicitamente parziale") e ritenendo opportuno limitare il ruolo del giudice al confronto logico-formale fra presente e passato. Viceversa, si ritiene essenziale aprire alle "valutazioni-filtro" (intendendo per tali non solo quelle valoriali, ma anche quelle dogmatiche, esegetico-sistematiche, pratico-processuali, culturali, etc.) dell'interprete nelle ipotesi di evoluzioni favorevoli "esterne" al tipo, specie là dove il mutamento coinvolga discipline extra-penali: non essendoci "problemi di garanzia", possono essere qui valorizzati l'autonomia intertemporale del sistema penale e il monopolio delle assemblee rappresentative sui progetti politico-criminali.

La Seconda Parte dell'opera è dedicata ai rapporti fra tempo, sistema penale e ordinamento "generale", di cui il giudice, piaccia o non piaccia, è custode solitario.

Dopo aver declinato i presupposti teorico-dogmatici da cui si dipana il ragionamento (moderna bipartizione e conseguente rifiuto della categoria della liceità-illiceità generale; distinzione fra antigiuridicità-elemento e antigiuridicità-giudizio; concetto di illecito impersonale inteso quale epilogo del giudizio di antigiuridicità; logica conflittuale delle giustificanti); e dopo aver fatto cenno alle ipotesi di  modifiche di norme penali "interagenti" con la figura-base (cd. abolizione giudiziale "impura" o intra-sistemica: Capitolo VI, Sez. 1), si catalogano le ragioni sistematiche che giustificano l'applicazione dell'art. 2, co. 2, c.p. nel caso d'innesto-dilatazione di scriminanti tassative (impersonalità ed essenzialità del giudizio di antigiuridicità, figura penalistica del "fatto di disvalore penale"), e le ragioni strutturali che, in certe ipotesi, impongono di riconoscere alle scriminanti aperte una funzione autenticamente tipizzante e, di qui, capacità abolitive (deficit di norma-precetto nella disposizione incriminatrice e/o neutralità del modello comportamentale ivi descritto), proponendo una serie di esempi teorico-pratici (Capitolo VI, Sez. 2).

Così facendo, si riesce a guadagnare una prospettiva privilegiata da cui "guardare" anche le modifiche indirette degli estremi normativo-giuridici tipici: «[..] le ragioni che ci convincono a riconoscere una attitudine tipizzatrice alle regole extrapenali evocate dalle scriminanti aperte [..] possono fungere da "criterio" anche per stabilire quando le regole aliene evocate dall'incriminazione penetrino il precetto (completandolo o dotandolo di significato..), oppure restino al suo esterno (..oppure si limitino a "renderlo operativo"). D'altro canto, se sono la "incompletezza" e la "neutralità" dell'incriminazione a "trasformare" le scriminanti aperte in concetti normativi tipici attraverso cui il diritto alieno [..] partecipa del tipo, allora quei medesimi connotati strutturali ci diranno anche quando il concetto normativo contemplato dalla figura incriminatrice è davvero una "porta aperta" sull'ordinamento, e quando invece è solo un trompe l'oil» (da p. 350). L'idea, insomma, è che per comprendere se le discipline extra-penali rinviate integrino o meno il precetto e, perciò, producano o meno effetti abolitivi, occorra partire dalla fisionomia strutturale della figura evocante, apprezzandone la completezza-incompletezza (presenza/assenza di un tipo di comportamento compiutamente descritto) e, in aggiunta, la pregnanza-neutralità (capacità/incapacità della descrizione tipica ad esprimere un significato di disvalore prima ed a prescindere dalla "valutazione" d'illiceità esterna). Si tratta dunque degli stessi, identici connotati di struttura che innescano la funzione tipizzante delle giustificanti aperte, "convertendole" in concetti normativi attraverso cui il diritto alieno con-forma il fatto tipico (Capitolo VII, Sez. I).

Agli effetti intertemporali, dunque, le - davvero rare - fattispecie senza descrizione (o senza norma-precetto, o "in bianco") e quelle a condotta neutra (o senza Bewertungsnorm penalistica, o non-pregnanti) possono essere accomunate: effetti abolitivi vanno riconosciuti sia quando mutano le discipline che integrano figure afflitte da deficit descrittivi totali o parziali (es. disposizioni meramente sanzionatorie, fattispecie omissiva impropria), sia quando cambiano le regole che filtrano e "colorano d'illiceità" strutture tipiche concluse che, pur ricche (o ricchissime, o arricchibili ermeneuticamente) "di fatto", sono neutre (es. figure incentrate sul momento autorizzativo, abusivismo professionale o finanziario). Il tutto, per altro, consentirebbe pure di "omogeneizzare" la soluzione intertemporale con quella dell'errore ex art. 47 c.p., nel quadro di una (post-)moderna dottrina dell'antigiuridicità: un errore sulla disciplina extra-penale riempiente e/o filtrante il precetto cadrebbe direttamente sul fatto ex art. 47, co. 1, c.p., e, al contempo, un'evoluzione in favorem di quella disciplina "tipizzante" innescherebbe la regola ex art. 2, co. 2, c.p. Segue una sperimentazione in vitro del cd. criterio della pregnanza strutturale (che, appunto, combina una ricognizione strutturale con un metro valutativo), ove si enfatizza come la tendenza a reperire direttrici di tutela all'esterno della descrizione tipica (in "considerando", lavori parlamentari, rubriche di titoli etc.) sia finora servita a continuare a punire condotte che, una volta "abbandonate" dalla valutazione d'illiceità extra-penale (e, quindi, pure penale), erano tornate ad essere del tutto neutre o coperte da libertà costituzionali (Capitolo VII, Sez. II). Nei telegrafici spunti conclusivi, si prende atto dell'agonia del "vecchio" principio di separazione dei poteri e della tendenza, di matrice europea, a equiparare interpretatio e dispositio, caldeggiandone la generalizzata applicazione in materia intertemporale.