ISSN 2039-1676


21 giugno 2012 |

Dalle Sezioni unite una soluzione compromissoria circa la notifica del decreto di citazione all'imputato già  dichiarato irreperibile in fase di indagini

Cass. pen., Sez. un., 24.5.2012 (dep. 20.6.2012), n. 24527, Pres. Lupo, Rel. Lombardi, Est. Davigo, ric. Napolitano (il decreto di irreperibilità emesso a fini di notifica dell'avviso di conclusione delle indagini conserva validità, per la citazione a giudizio, solo quando il pubblico ministero non abbia compiuto ulteriori indagini)

1. Le Sezioni unite della Suprema Corte, con la sentenza che qui pubblichiamo, sono intervenute sul contrasto che ormai divampava a proposito della notifica del decreto di citazione nei confronti dell'imputato dichiarato irreperibile in fase di indagini preliminari.

Si discuteva, in particolare, se la notifica potesse essere effettuata in base al decreto di irreperibilità emesso in precedenza (generalmente, al fine di notificare l'avviso ex art. 415-bis c.p.p.), o se dovesse essere deliberato un nuovo decreto, in esito a nuove ricerche dell'interessato.

La Corte, adottando una soluzione innovativa rispetto alle scelte sostenute da ciascuno degli orientamenti contrapposti, ha stabilito il seguente principio di diritto: «il decreto di irreperibilità emesso dal pubblico ministero ai fini della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis cod. proc. pen. conserva efficacia ai fini della notifica del decreto di citazione a giudizio, salvo che il pubblico ministero effettui ulteriori indagini dopo la notifica del menzionato avviso di conclusione delle indagini preliminari».  

 

2. Può essere opportuna, prima di dare conto delle ragioni che hanno orientato il giudizio delle Sezioni unite, una qualche ricostruzione dei termini del conflitto.

L'art. 160 del codice di rito regola la efficacia del decreto di irreperibilità lungo il corso del procedimento, ed è ovviamente ispirato dalla necessità di una verifica periodica dei presupposti sostanziali di legittimazione del processo contumaciale. Al primo comma la norma stabilisce, per i giudizi a citazione diretta, che il decreto di irreperibilità emesso dal giudice o dal pubblico ministero nella fase investigativa del procedimento cessa di avere efficacia con «la chiusura delle indagini preliminari» (mentre conserva valore, per espressa disposizione della legge, a fini di notifica degli avvisi concernenti l'udienza preliminare). Si tratta dunque di stabilire quando (e mediante quale atto) si determini la fine della fase deputata alle investigazioni preliminari del pubblico ministero.

Nel primo periodo di applicazione del codice vigente non sembrava dubbio che la fine delle indagini preliminari fosse segnata, a norma dell'art. 405 c.p.p., dall'atto di esercizio dell'azione penale, o dall'atto «uguale e contrario» di rinuncia all'azione medesima (cioè la richiesta di archiviazione), salva la questione delle eventuali indagini integrative imposte dal giudice con l'ordinanza ex art. 409 c.p.p. È noto quale sia l'elemento di disturbo in questa sistemazione. Con la riforma del 1999 (la cd. «legge Carotti») è stato introdotto nel codice l'art. 415-bis, la cui rilevanza si coglie già nella rubrica della norma: prima che l'azione venga esercitata nelle forme ordinarie, l'indagato ha diritto a ricevere «avviso di conclusione» delle indagini preliminari, a pena di nullità dell'atto successivo di esercizio dell'azione. Se le parole hanno un senso, si direbbe che l'avviso del pubblico ministero segni (anzi, valga semplicemente ad esternare) la fine delle indagini.

La questione assume rilievo sotto molteplici profili. La proroga del termine per la durata massima della custodia è ammessa ad esempio (fuori dal caso peculiare della perizia disposta sullo stato di mente dell'imputato) soltanto «nel corso delle indagini preliminari» (comma 2 dell'art. 305 c.p.p.), ed in effetti si registra qualche incertezza circa la legittimità di richieste successive alla spedizione dell'avviso di cui all'art. 415-bis, anche se prevale ampiamente l'opinione favorevole, la quale dunque, se non altro per implicito, postula che la fase delle indagini non è chiusa dall'adempimento in questione.

Una propensione nello stesso senso si manifesta anche sul contiguo terreno della richiesta di proroga della durata delle indagini, che deve essere presentata prima della scadenza  del relativo termine, e che logicamente presuppone l'immanenza della fase investigativa del procedimento: anche qui si afferma, non senza distonie, che la richiesta non è preclusa dalla spedizione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari.

Di questa situazione, non del tutto stabile ma chiaramente segnata dalla prevalenza dell'opinione che l'avviso non chiuda la fase delle indagini, si deve tener conto tornando all'argomento delle notifiche per l'imputato irreperibile.

Accade spesso che le ricerche siano disposte, e registrino l'insuccesso che culmina con il decreto di irreperibilità, proprio al fine di notificare l'avviso di conclusione delle indagini preliminari.

Ora, se si considera quest'ultimo adempimento quale atto interno all'indagine preliminare, è naturale propendere per la «inefficacia» del decreto a fini di notifica della citazione a giudizio, posto che proprio l'atto di esercizio dell'azione penale determina la chiusura delle indagini. In altre parole, le indagini proseguono dopo l'avviso di conclusione ma si chiudono con l'atto di citazione, di talché per la notifica di quest'ultimo, necessariamente successiva, il decreto di irreperibilità emesso dal pubblico ministero perde ogni valore (comma 1 dell'art. 160 c.p.).

Una parte della giurisprudenza, infatti, aveva stabilito che, per la notifica della citazione diretta ex art. 552 c.p.p., fosse necessario lo svolgimento di nuove ricerche e la deliberazione di un nuovo decreto di irreperibilità, non essendo idoneo allo scopo quello emesso per la notifica dell'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p. (Cass., Sez. I, 28 gennaio 2003, n. 5698, Vedda, in C.E.D. Cass., n. 223312; Cass., Sez. I, 13 luglio 2005, n. 29226, Serigne, in Giust. pen.  2006, III, 490; Cass., Sez. II, 3 maggio 2006, n. 17999, P.m. in c. Arnesano, in Cass. pen. 2008, 651, con nota di P. Silvestri, Notificazione del decreto che dispone il giudizio e irreperibilità dell'imputato; per l'affermazione in generale dello stesso principio si vedano ad esempio Cass., Sez. II, 11 gennaio 2006, n. 4042, P.m. in c. Blidar, in C.E.D. Cass., n. 233371; Cass., Sez. II, 14 ottobre 2009, n. 2741, Tiperciuc, ivi, n. 246260).

C'era anche, e però, un cospicuo orientamento volto a «far salve» citazioni notificate con il rito degli irreperibili in base al decreto già emesso per l'avviso di chiusura della fase investigativa. L'idea di fondo è presto detta: l'avviso segna effettivamente la conclusione delle indagini preliminari, di talché le ricerche effettuate a fini di sua notifica, e comunque il connesso decreto di irreperibilità, non possono essere riferiti alla fase delle indagini. Non andrebbe dunque applicato il primo comma dell'art. 160 c.p.p., bensì il secondo, e la citazione potrebbe essere conseguentemente notificata con il rito degli irreperibili, senza necessità che vengano effettuate nuove ricerche e che venga nuovamente decretata l'irreperibilità dell'imputato (Cass., Sez. II, 23 luglio 2007, n. 29914, Manganaro, in Cass. pen. 2008, 4723, con nota di E. Aprile, Sulla efficacia del decreto di irreperibilità emesso per la notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini). Agli argomenti fondati sulla lettera dell'art. 415-bis si sono aggiunte considerazioni sistematiche o comunque improntate a criteri di opportunità, che le Sezioni unite hanno poi ripreso e addirittura valorizzato : «anche la ratio della norma appare pienamente rispettata sol considerando che il decreto di irreperibilità per la notifica dell'avviso ex art. 415 bis cod. proc. pen., viene emesso, di regola, in prossimità temporale al decreto di citazione a giudizio, quando la situazione di fatto che riguarda l'indagato non può aver subito modifiche di rilievo» (Cass., Sez. II, 24 maggio 2007, n. 35078, Calcatelli, in C.E.D. Cass., n. 237756; in seguito, nello stesso senso, Cass., Sez. II, 18 marzio 2009, n. 18576, Puglisi, ivi, n. 244444; Cass., Sez. II, 9 febbraio 2010, n. 8029, Braho, ivi, n. 246449; Cass., Sez. II, 18 novembre 2010, n. 42957, Ambrogi, ivi, n. 249122; Cass., sez. V, 11 luglio 2011, n. 34828, A., ivi, n. 250944; Cass., sez. V, 15 dicembre 2011, n. 8592/12, Moussaid, ivi, n. 251948).

 

3. Della soluzione adottata dalle Sezioni unite si è già detto. Secondo la Corte, l'orientamento favorevole alla ripetizione delle ricerche sarebbe frutto di un equivoco: il comma 1 dell'art. 160 c.p.p. non pone quale discrimine per l'efficacia del decreto precedente l'esercizio dell'azione penale, ma solo la fine delle indagini preliminari; tanto questo è vero che la legge consente espressamente la notifica senza nuove ricerche anche in un caso di avvenuto esercizio dell'azione penale, cioè quello in cui la richiesta di rinvio a giudizio promuove l'udienza preliminare.

Per quel che si comprende (ma si veda infra), la Corte parrebbe aver concluso che le indagini preliminari non finiscono  con la spedizione dell'avviso di cui all'art. 415-bis, essendo possibile che vi siano investigazioni successive tanto su istanza di parte che d'iniziativa del pubblico ministero. Viene prospettata una cesura fondata sulla discovery, che non chiude la fase, ma interrompe la possibilità del pubblico ministero di investigare prima che l'indagato abbia avuto contezza delle acquisizioni precedenti.

Allo stesso tempo, le Sezioni unite non sembrano considerare risolutivo l'argomento che la citazione a giudizio valga comunque a definire la fase (ciò che si desume, per altro, solo dal riferimento alla notifica degli avvisi per l'udienza preliminare).

Pare insomma che si configuri un legame di continuità fra il decreto iniziale, la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini, l'emissione del decreto di citazione e la relativa notifica.

Fatto sta che «non sembrano sussistere ragioni ostative» alla soluzione che salvaguarda l'efficacia del decreto iniziale. Una tale conservazione sembra alla Corte armonica dal punto di vista sistematico (e per questo, si direbbe, giustificata), posto che il «metodo» della vocatio in iudicium resta lo stesso per la «chiamata» all'udienza preliminare e quella al giudizio su citazione diretta (anche se, per vero, la celebrazione in contumacia del giudizio di merito è, nel primo caso, «garantita» da ulteriori ricerche per la notifica del decreto di rinvio a giudizio).

 

4. Assumendo a giustificazione concorrente del proprio assunto il carattere solo rituale di indagini eventualmente ripetute senza soluzione di continuità tra avviso di conclusione e citazione a giudizio, la Corte si è trovata a valutare l'eventualità che la soluzione invece vi sia, dato lo svolgimento di indagini nella fase interposta tra la notifica dell'avviso e la citazione.

E qui, su presupposti espressi in termini assai generali, le Sezioni unite affermano la necessità di reiterare le ricerche ed il decreto di irreperibilità. Due le giustificazioni, una delle quali conviene citare testualmente: «in tale ipotesi le indagini non sarebbero state in concreto concluse». L'altra, più comprensibile, è che la «presunzione di inutilità» giustificata dalla prossimità dei due atti da notificare verrebbe meno.

Sennonché la Corte si riferisce genericamente a «ulteriori» indagini su richiesta dell'interessato (o meglio del suo difensore) o per iniziativa del pubblico ministero. È appena necessario rilevare che: le nuove indagini possono non avere alcuna attinenza, neppure la più indiretta, con il problema della reperibilità dell'interessato; le nuove indagini possono comunque durare un tempo brevissimo, lasciando inalterata la (scarsa) aspettativa di utilità delle nuove ricerche; può esservi un lungo tempo tra notifica dell'avviso di conclusione e atto di citazione senza che siano svolte indagini, e tuttavia con probabilità sempre più elevata che nuove ricerche conducano al reperimento dell'interessato.

La giustificazione razionale della regola non sembra dunque irresistibile. Pare chiaro, comunque, che dovrà essere adottato un criterio del tutto automatico, che colleghi la necessità di ripetizione al compimento di un qualunque atto di indagine, quale che sia il tempo trascorso dalla precedente notifica. Sul terreno che interessa, l'esercizio di discrezionalità giudiziale sulla «utilità» di nuove ricerche alla luce del novum sarebbe inconcepibile. E comunque il disinteresse della Corte per ogni articolazione del ragionamento sembra palesare una piena opzione in favore dell'automatismo indicato.