ISSN 2039-1676


28 giugno 2012 |

Confisca ex art. 240 co. 1 c.p. dell'autoveicolo utilizzato per commettere una rapina: quale nesso deve sussistere tra l'instrumentum sceleris e il reato?

Nota a Cass. pen., sez. VI, ud. 27 aprile 2012, Pres. De Roberto, est. Aprile, imp. Coman

1. La confisca facoltativa degli strumenti del reato prevista dall'art. 240 co. 1 c.p. ("cose che servirono o furono destinate a commettere un reato" nel linguaggio della legge, laddove con le prime s'intendono le cose effettivamente utilizzate dal reo per la commissione dell'illecito, con le seconde le cose che avrebbero dovuto essere impiegate, ma concretamente non lo furono) costituisce uno dei temi meno dibattuti dalla dottrina più recente tra i tanti, e ben più esplorati, che l'ablazione patrimoniale occasiona - si pensi alla confisca antimafia, alla confisca per equivalente, alla confisca dell'autoveicolo, solo per citare i casi più noti. Si tratta però di un argomento degno di non minor attenzione, da un lato perché trattandosi di strumento previsto dalla parte generale del codice è suscettibile di tante applicazioni quanti sono i reati presenti nel nostro ordinamento (rispetto ai quali - nessuno escluso - è ipotizzabile uno strumento servente); dall'altro giacché il legislatore, oltre a facoltizzare laconicamente il potere ablatorio del giudice, nulla dice circa i criteri che l'interprete è tenuto a seguire nell'applicazione della misura[1], e questo silenzio è foriero di notevoli incertezze applicative.

 

2. Tra le varie cose che possono assurgere ad instrumenta sceleris, e quindi essere confiscate, la Corte di cassazione si è occupata più volte, e lo ha fatto anche nella sentenza qui in commento, della confiscabilità dell'autoveicolo utilizzato per commettere il reato, e in particolare in riferimento all'auto utilizzata per il trasporto di sostanze stupefacenti. Le incertezze ruotano attorno al nesso di asservimento/strumentalità che deve legare la cosa - nel caso, l'autoveicolo - al reato, e sul punto si possono distinguere due diversi orientamenti nella giurisprudenza di legittimità.

Secondo alcune sentenze perché si possa confiscare l'autovettura è necessario che venga dimostrato una non episodica connessione strumentale tra il bene e il reato, sub specie di collegamento stabile con l'attività criminosa che palesi che il mezzo di trasporto, se lasciato nella disponibilità del reo, renda in futuro probabile il ripetersi dell'attività criminosa[2]. In riferimento al traffico di stupefacenti ciò accade, secondo la Cassazione, quando il mezzo è stato modificato con accorgimenti finalizzati ad aumentare le capacità di trasporto o ad occultare la sostanza. Questo primo orientamento altro non è che l'applicazione allo specifico caso dell'autoveicolo dell'orientamento più restrittivo della giurisprudenza sulla confiscabilità degli strumenti del reato, in base al quale è necessario che vi sia un rapporto di stretta causalità tra la cosa e il bene, nel senso che essa deve costituire condicio sine qua non per la realizzazione del reato nella forma voluta dall'agente[3]. E questa prassi giudiziale si sposa con l'opinione della dottrina maggioritaria per la quale solo se il bene si sia dimostrato indispensabile per la realizzazione dell'illecito può costituire un rafforzamento per il reo del convincimento a commettere ulteriori reati, in quanto potrebbe essere riutilizzato a tal fine[4].

Secondo un altro gruppo di sentenze l'autovettura può essere invece confiscata quando abbia semplicemente agevolato la commissione del reato e sia potenzialmente utile per la consumazione di altri delitti della stessa natura[5]. Questo allentamento del nesso di strumentalità della cosa rispetto al reato, che deve in buona sostanza non dimostrare una funzionalità criminosa ma semplicemente agevolare la commissione del reato, trova eco in un'opinione piuttosto risalente in dottrina, per la quale sarebbe confiscabile tutto ciò che, di fatto o nel semplice programma del colpevole, ha avuto un'importanza strumentale[6].

 

3. Il caso de quo è indicativo delle differenze cui possa portare l'adozione dell'uno o dell'altro orientamento. Il GUP di Trento disponeva, contestualmente all'applicazione di pena su richiesta delle parti in relazione ai reati di cui agli artt. 110, 624 bis e 61 co. 1 n. 5 c.p. e 110, 648 c.p., la confisca dell'autoveicolo di proprietà di uno dei due rei con la quale essi si erano recati nel luogo del delitto e avrebbero voluto trasportare la merce rubata. Nella motivazione del provvedimento di primo grado il provvedimento ablatorio viene così motivato: "solo utilizzando l'autovettura i due poterono raggiungere la frazione di Casez [...] altrimenti irraggiungibile in tempi brevi e con mezzi pubblici [...] e solo tramite la stessa potevano (o meglio avrebbero potuto) portare  via con loro la refurtiva. E dunque non può negarsi in concreto il nesso di necessaria strumentalità, che impone la misura di sicurezza patrimoniale". Il proprietario dell'autoveicolo ricorreva in Cassazione, ritenendo illegittimo il provvedimento: egli evidenziava non solo l'occasionalità dell'utilizzo dell'autovettura, ma anche il fatto che essa non possedesse caratteristiche tali da renderla pericolosa intrinsecamente e che il giudice di prime cure avesse omesso di motivare in relazione alla pericolosità sociale dell'agente quale elemento da prendere in necessaria considerazione in relazione al bene da confiscare.

Nonostante il parere favorevole del Sostituto Procuratore generale all'accoglimento del ricorso, la Cassazione ha confermato il provvedimento del giudice di primo grado, e lo ha fatto sulla base di un terzo orientamento "intermedio" tra i due suesposti, che da un lato "superi l'idea di un necessario nesso di indispensabilità tra la cosa ed il reato" e dall'altro non tralasci "un indispensabile controllo sulla esistenza di una strumentalità in concreto tra il bene e il reato, in ragione delle specifiche caratteristiche del primo e delle modalità e circostanze di commissione del secondo". Secondo i giudici di legittimità, le cose che servirono a commettere il reato - confiscabili ex art. 240 cp. 1 c.p. - devono essere quelle impiegate nell'esplicazione dell'attività punibile, senza che sia richiesto il requisito di indispensabilità; e ciò dal momento che la confisca è "una misura di sicurezza patrimoniale che tende a prevenire la consumazione di futuri reati mediante l'esproprio di cose che, per essere collegate all'esecuzione di illeciti penali, manterrebbero, se lasciate nella disponibilità del reo, viva l'idea e l'attrattiva del reato".

Pertanto secondo la Corte, la confisca dell'autoveicolo è legittima, nel caso di spaccio di sostanze stupefacenti, se la sostanza trasportata sia di quantitativo tale da renderne necessario l'utilizzo, o se, nel caso di furto, la merce trasportata sia talmente voluminosa da renderne "impossibile il trasporto a braccia".

 

4. Alcuni passaggi della sentenza della Corte non possono dirsi pienamente condivisibili.

Anzitutto, è da contestarsi la pretesa medianità della soluzione scelta dalla Cassazione, se non altro perché il riferimento alle cose che mantengono viva l'idea e l'attrattiva del reato non fa che riprendere un noto passo della relazione ministeriale del Guardasigilli Rocco al codice penalespesso richiamato da quella dottrina e quella giurisprudenza più propense ad allargare l'area delle res confiscabili, assottigliando il nesso di strumentalità/asservimento[7]. Si tratta infatti di un'espressione dal significato semantico così vago, da legittimare la confisca di tutto ciò che, in qualche modo collegandosi al reato, lo mantiene vivo nella memoria del reo e potrebbe incentivare quest'ultimo a commetterne altri.

E questa medianità è poi sconfessata dall'esito concreto cui perviene la Cassazione, in riferimento al quale non è dato riscontrare alcun elemento distintivo rispetto all'orientamento più permissivo di altre pronunce della Cassazione. La confisca di tutto ciò che sia collegato al reato "da uno stretto nesso strumentale che riveli effettivamente la possibilità futura del ripetersi di un'attività punibile", si sostanzia - e di questo si trae conferma dal fatto che la Cassazione avalli il provvedimento del giudice di prime cure - nell'ablazione di cose che, semplicemente, abbiano agevolato la commissione del reato (nel caso di specie, l'autovettura, vista la lontananza del luogo del furto e la voluminosità della refurtiva). Ma allora, resta da chiedersi quale strumento - in pratica, quale cosa - non agevoli la commissione di un reato: qualsiasi oggetto inventato dalla tecnica (un'autovettura, uno zaino, delle scarpe da ginnastica, una torcia) è capace di rendere più facile un'attività umana, anche illecita. Confiscare ciò che ha agevolato la commissione del reato - e che pertanto, secondo la Cassazione, ne manterrebbe viva l'idea e l'attrattiva - equivale a confiscare pressoché tutto ciò che sia stato impiegato per commetterlo, il che pare francamente eccessivo e traduce la confisca in un ingiustificato strumento repressivo. Si confisca lo zaino, perché ha consentito al ladro di trasportare più refurtiva? Si confiscano le scarpe da ginnastica, che gli hanno consentito di correre più velocemente per darsi alla fuga? Si confisca la torcia, con la quale ha potuto vedere al buio, evitando di accendere la luce e svegliare gli inquilini addormentati? Quale la funzione preventiva di tali forme di confisca? Quale, in fin dei conti, la pericolosità della cosa in tali circostanze, in riferimento al reato concretamente realizzatosi e ad altri reati della stessa indole, ammesso e non concesso che di pericolosità della cosa possa poi legittimamente discorrersi? [8]

Se si vuole mantenere la funzione genuinamente preventiva della confisca degli instrumenta sceleris ed evitare che - cosa assai facile, in tema di misure di sicurezza - essa scivoli verso una connotazione puramente repressiva, è allora necessario, sulla scia dell'orientamento maggioritario della stessa Cassazione, richiedere un vincolo strumentale di stretta necessità tra essi e il reato, nel senso che lo strumento deve dimostrarsi infungibile rispetto a quel tipo di realizzazione criminosa (il grimaldello usato per aprire la saracinesca nel furto, la moto usualmente utilizzata per compiere degli scippi) o immediatamente significativo, sul piano lesivo, nei confronti del reato (l'autovettura modificata per occultare il trasporto degli stupefacenti).

 


[1] A tacere di un altro tema di estremo interesse, che però non verrà affrontato in questa sede: l'utilizzo dei verbi "servire" e "destinare" ha portato la dottrina maggioritaria a ritenere incompatibile la confisca degli strumenti del reato con i reati colposi, giacché le due espressioni sottintenderebbero una utilizzazione o una predisposizione in chiave finalistica della cosa, non rintracciabile nel paradigma colposo dell'illecito penale. Alcuni autori invece hanno rilevato che tale inconciliabilità potrebbe sussistere solo in riferimento al verbo destinare, e non al verbo servire, e che proprio in relazione ai reati colposi si potrebbe realizzare quella pericolosità del rapporto reo-cosa che la confisca richiede, data dall'utilizzo non diligente, non prudente o imperito che l'agente ha fatto della cosa.

[2] Cass. pen., sez. VI, 1 marzo 2007, Muro Martinez Losa, in Cass. pen., 2008, p. 1909; Cass. pen., sez. II, 20 aprile 2011, n. 21420; Cass. pen., sez. III, 19 gennaio 2012, n. 5050; Cass. pen., sez. VI, 29 marzo 2012, n. 13176, reperibili su DeJure.

[3] Cfr. Cass. pen., sez. IV, 24 settembre 1994, n° 10106, Violato, in Riv. pen., 1995, II, p. 1096.

[4] Gatta G., Sub art 240, in Codice penale commentato, a cura di Marinucci G., Dolcini E., Milano 1999, p. 1417; Grasso G., Sub art 240 in Commentario sistematico al codice penale, a cura di Romano-Grossi-Padovani, Milano, 1994, p. 526; Fioravanti L., Brevi riflessioni in tema di confisca facoltativa, in Giur. it., 1992, II, c. 506; Mantovani F., Diritto penale, p.te generale, V ed., Padova, 2008, p. 838. Vi è tuttavia un'opinione ancor più rigorosa in dottrina meritevole quanto meno di approfondimento che ricollega il mezzo alla tipicità del fatto di reato e richiede una diretta strumentalità lesiva rispetto al bene giuridico tutelato, come potrebbe accadere per il grimaldello rispetto a una rapina compiuta con scasso; cfr. Alessandri A., La confisca nel diritto penale, in Dig. disc. pen., III, Torino, 1989, p. 48; Maugeri A.M., Le moderne sanzioni patrmoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 2001, p. 119.

[5] Cass. pen., sez. VI, 2 marzo 1989, Rivoli et al., in Riv. pen., 1990, p. 447; Cass. pen., sez. II, 3 dicembre 2003, n. 838,  Luyderer, Rv. 227864; Cass. pen., sez. IV, 17 giugno 2004, n. 34365, Schoti, Rv. 229094.

[6] Spizuoco R., L'interpretazione dell'art 240 c.p. e la pericolosità, in Giust. pen. 1972, II, c. 382.

[7] Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, I, p. 245: "cose che, provenendo da fatti illeciti penali, o in alcuna guisa collegandosi alla loro esecuzione, mantengono viva l'idea e l'attrattiva del reato".

[8] Correttamente la Cassazione ha ritenuto di non dover svolgere alcun indagine sulla pericolosità sociale del reo, trattandosi di misura di sicurezza reale, e non personale. La dottrina più risalente, sulla base dei lavori preparatori citati, teorizzava in effetti un concetto di pericolosità sociale "per osmosi", giacché la pericolosità dalle cose passerebbe al soggetto: cfr. Bettiol G.-Pettoello Mantovani, Diritto penale, p.te generale, XII ed., Padova, 1986, p. 990; Cacciavillani I., Giustozzi R., Sulla confisca, in Giust. pen., 1974, c. 463; Guarneri G., La confisca, in Nov.mo dig. pen., Torino, 1957, p. 40; Gullo D., La confisca, in Giust. pen., 1981, c. 42; Massa M., La confisca, in Encicl. dir., VIII ed., Milano, 1961, p. 983. Tale concetto è tuttavia decisamente avversato da parte della dottrina più recente: cfr. Alessandri A., La confisca, cit., p. 34; Fioravanti L., Brevi cenni, cit., c. 506; Furfaro S., La confisca, in Dig. disc. pen., agg. 2005, Torino, p. 202; Grasso G., Sub art. 240, cit., p. 253.