ISSN 2039-1676


26 ottobre 2012

Lettura di dichiarazioni assunte al di fuori del dibattimento e art. 6 CEDU in una recente sentenza di merito

Trib. Milano (sent.), ud. 25.06.2012 (dep. 02.07.2012), Pres. Gamacchio, Est. Locurto

ISTRUZIONE DIBATTIMENTALE - LETTURE CONSENTITE - Interpretazione conforme all'art. 6 CEDU - Idoneità a fondare in via esclusiva la responsabilità dell'imputato - Esclusione

L'orientamento giurisprudenziale della Corte di Strasburgo secondo il quale non può pronunciarsi una sentenza di condanna laddove l'unico elemento di prova a sostegno dell'ipotesi accusatoria siano le dichiarazioni di un testimone che la difesa dell'imputato non abbia avuto occasione di controinterrogare nel corso delle indagini preliminari o in dibattimento non può essere trascurato in una corretta esegesi, costituzionalmente orientata, della norma di cui all'art. 512 c.p.p., e ben può integrare gli approdi interpretativi raggiunti dalla giurisprudenza nazionale in tema di art. 192 c.p.p., fornendo al giudice ulteriori parametri per il corretto esercizio dell'ampio potere discrezionale che tale norma gli attribuisce nella fase di valutazione della prova.

 

Riferimenti normativi: c.p.p art. 512
  c.p.p. art. 526
  c.p.p. art. 192
  CEDU art. 6

 

 

NOTA REDAZIONALE: La sentenza del Tribunale del Milano offre un'interessante applicazione del principio, a più riprese affermato dalla Corte EDU, secondo il quale una pronuncia di condanna non può fondarsi esclusivamente o in misura determinante sulle dichiarazioni di un testimone che la difesa non abbia avuto occasione di contro-interrogare nel corso delle indagini preliminari o in dibattimento, indipendentemente dal fatto che questi si sia sottratto al contraddittorio in modo consapevole e volontario (cfr. ex multis Corte EDU, sent. 13 ottobre 2005, Bracci c. Italia, e sent. 8 febbraio 2007, Dashamir Kollcaku c. Italia).

Sulla scorta della pronuncia del 25 novembre 2010 delle SS.UU., n. 27918, il Tribunale ritiene che il suddetto principio debba essere tenuto in considerazione ai fini di una corretta esegesi dell'art. 512 c.p.p. e, più in generale, delle norme in tema di valutazione della prova dettate dal codice di rito.

Tra queste, quella che forse più agevolmente consente l'ingresso nell'ordinamento interno del principio di diritto affermato dalla Corte EDU - senza alcuna necessità di procedere a una sostanziale "disapplicazione" del combinato disposto degli artt. 512 e 526 c.p.p. - è l'art. 192 c.p.p., che attribuisce al giudice un rilevante potere discrezionale in relazione a tale complessa fase e, per altro verso, detta regole pregnanti in tema di apprezzamento della prova indiziaria: gli approdi interpretativi del diritto di Strasburgo ben possono contribuire, infatti, a riempire di contenuto la richiamata norma, imponendo al giudice di merito non solo di effettuare un attento vaglio sulla credibilità oggettiva e soggettiva del teste, ma anche di porre la testimonianza in relazione con quanto emerge dalle risultanze processuali per verificare se la stessa trovi conforto in elementi estrinseci rispetto alle dichiarazioni del teste (e in particolare della persona offesa), qualora le stesse non siano state assunte in contraddittorio.

L'esito di tale valutazione, si badi, non è necessariamente una sentenza di assoluzione perché la prova del fatto è insufficiente e/o contraddittoria: quel che il diritto di Strasburgo impone è, semplicemente, che le dichiarazioni acquisite al di fuori del contraddittorio siano supportate da altri elementi; con la conseguenza che, qualora ciò accada, anche le  suddette dichiarazioni ben potranno contribuire a fondare un giudizio di condanna, nel pieno rispetto delle garanzie difensive di matrice europea.

La sentenza si segnala per la chiarezza e la completezza dell'apparato motivazionale, oltre che per l'attenzione riservata alle istanze provenienti dalle fonti sovranazionali, non così scontata nella prassi quotidiana dell'attività giurisdizionale: essa costituisce, pertanto, un buon "modello" e mostra, se mai ve ne fosse bisogno, quanto fondamentale sia il ruolo dei giudici di prime cure nel trasformare i principi affermati dalla Corte EDU, e poi recepiti dalle supreme magistrature nazionali, in "diritto vivente". (Massima e nota redazionale a cura di Angela Colella).