ISSN 2039-1676


03 dicembre 2010 |

C. cost., 3.12.2010, n. 353 (ord.), Pres. De Siervo, Rel. Criscuolo

La Consulta sulla convalida dell'arresto quale presupposto di ammissibilità  del giudizio direttissimo

La Corte costituzionale è stata chiamata due volte, in tempi recenti, ad occuparsi di una questione obiettivamente delicata in materia di giudizio direttissimo. Si tratta com’è noto di un rito speciale che prescinde dal vaglio preliminare sulla sostenibilità dell’accusa, posto che l’imputato viene presentato direttamente al giudice del dibattimento. Affinché le ragioni della speditezza non assumano un peso eccessivo, rispetto alle esigenze di completezza dell’indagine preliminare e di piena assicurazione delle opportunità difensive, il rito direttissimo è storicamente costruito su una presunzione di «semplicità» dell’opera di accertamento. Una presunzione attualmente fondata, nel modello tipico regolato dal codice, sulla pregressa confessione dell’imputato, o sull’intervenuta sorpresa di questi nella flagranza del reato che gli viene ascritto.
 
A tale ultimo proposito è stabilito, naturalmente, che la correttezza del provvedimento assunto d’urgenza sia stata accertata dal giudice, di talché assume rilievo il  solo arresto convalidato. Tanto questo è vero che, quando il giudice dibattimentale adito per il rito direttissimo non ritiene di convalidare l’arresto, gli atti vanno restituiti al pubblico ministero perché proceda con le forme ordinarie (a meno che non vi sia, in senso contrario, l’accordo tra le parti). Analogamente, quando la convalida sia stata richiesta al giudice delle indagini preliminari, la successiva presentazione dell’imputato al giudice del dibattimento è consentita, nel termine di legge, solo per il caso di arresto convalidato.
 
Proprio questa possibile disgiunzione tra verifica di regolarità dell’arresto e verifica «sostanziale» circa i presupposti del giudizio direttissimo è stata oggetto delle questioni di legittimità costituzionale risolte dalla Corte. Si lamentava, in sostanza, che il giudice dibattimentale è costretto a celebrare il rito anche quando, nonostante l’intervenuta convalida ad opera del giudice delle indagini preliminari, non ritenga legittimo l’arresto effettuato in danno dell’imputato. Si chiedeva, di conseguenza, una pronuncia manipolatoria dell’art. 449, comma 4, c.p.p., tale da consentire nei casi indicati un provvedimento di restituzione degli atti al pubblico ministero, analogo a quello che il giudice assume quando gli sia stata direttamente affidata anche la verifica sul provvedimento di arresto. Nell’attuale conformazione, infatti, la disciplina censurata violerebbe l’art. 24 Cost. (in ragione della carente sindacabilità sui presupposti di un rito che comprime le garanzie della difesa) e, per ragioni analoghe, l’art. 111 Cost.
 
La Consulta ha dichiarato la questione infondata con la sentenza n. 229 del 2010, e manifestamente infondata con la recentissima ordinanza n. 353 del 2010.
 
Questi gli snodi essenziali del ragionamento. Per consolidata giurisprudenza costituzionale, spetta alla discrezionalità legislativa la conformazione degli istituti processuali, salvo il limite della manifesta irragionevolezza. La pienezza del sindacato giudiziale sulla legittimità dell’arresto è assicurata nell’ambito del procedimento di convalida, che contempla la possibilità del ricorso per cassazione contro il relativo provvedimento (comma 4 dell’art. 391 c.p.p.). Da tempo, infine, la stessa giurisprudenza costituzionale ha stabilito che le forme peculiari del giudizio direttissimo non comportano una violazione del diritto di difesa, la cui concreta esplicazione deve atteggiarsi diversamente a seconda delle ragionevoli differenze che possono segnare i modelli procedimentali.
 
C’è da dire che la pienezza del sindacato giudiziale sui presupposti del rito è un argomento sensibile (basti pensare alle discussioni sui casi di richiesta «tardiva» nelle fattispecie di cd. direttissima atipica), e che la giurisprudenza ha spesso prospettato un rapporto di dipendenza necessaria tra le giustificazioni «sostanziali» del rito e la indiscutibile compressione delle opportunità difensive. Tuttavia le questioni sollevate scontavano un presupposto implicito del tutto asistematico, e cioè che al giudice di merito spetti un sindacato ampio ed invariabile sui provvedimenti introduttivi del giudizio (non è così, ad esempio, per l’evidenza della prova sottesa al decreto di giudizio immediato). Le stesse questioni, d’altra parte, miravano all’introduzione di un meccanismo atipico di controllo giudiziale sul fondamento di un altro provvedimento giudiziale, che avrebbe per inciso generato interferenze non controllabili con il procedimento di convalida.