ISSN 2039-1676


12 marzo 2013 |

Mancanza di consenso informato in un intervento di interruzione volontaria della gravidanza: violato l'art. 8 Cedu.

C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 15 gennaio 2013, pres. Casadevall - Csoma c. Romania

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Nel maggio del 2002, la ricorrente, un'infermiera professionista, si sottoponeva ad un intervento di interruzione volontaria della gravidanza, affidandosi ad un medico dello stesso ospedale in cui lei prestava servizio. All'esito di tale procedura, subentrano, tuttavia, alcune complicazioni che richiedono il trasferimento della ricorrente in un centro ginecologico specializzato; qui, a fronte delle sue condizioni critiche, le viene praticato un intervento di isterectomia totale.

Dopo aver presentato un esposto al collegio dei medici dell'ospedale in cui è stato effettuato l'aborto - i quali rilevano l'assenza di consenso informato circa le possibili conseguenze di un tale intervento, nonché la mancata effettuazione di esami clinici pre-operatori - la ricorrente sporge denuncia per negligenza medica. Nel novembre dello stesso anno, si apre, quindi, un procedimento penale a carico del medico che aveva effettuato l'intervento di interruzione della gravidanza, nel quale la donna si costituisce parte civile.

Dopo una serie di perizie medico legali, che escludono un comportamento negligente da parte del medico (in quanto quest'ultimo avrebbe  provveduto immediatamente al trasferimento della paziente in un centro specializzato, salvandole la vita), il pubblico ministero archivia il procedimento. Si sottolinea come tale provvedimento si sia basato esclusivamente su tali perizie, senza prendere in considerazione la relazione del collegio dei medici e, quindi, senza tenere in considerazione la mancanza, nel caso di specie, del consenso informato.

La ricorrente lamenta la violazione del diritto alla vita privata per non essere stata informata circa le possibili conseguenze dell'intervento di interruzione della gravidanza e per non essere stata sottoposta ad esami clinici pre-operatori.

La Corte europea, dopo aver ricordato che le questioni relative alla responsabilità degli Stati per negligenza medica rientrano nel campo di applicazione dell'art. 8 Cedu - sottolineando, in particolare, che dall'articolo in parola discende l'obbligo per tutti gli Stati membri di imporre, alle aziende ospedaliere pubbliche o private, la predisposizione di mezzi adeguati per assicurare che sia effettivamente acquisito il consenso del paziente al trattamento medico, corredato di una esaustiva informazione sui rischi prevedibili connessi a tale trattamento -, rileva che, nel caso di specie, la paziente non è stata informata circa i rischi dell'intervento di interruzione della gravidanza.

Essendosi, pertanto, verificata un'interferenza nella vita privata della ricorrente, avendo quest'ultima subito un intervento da cui è conseguita la perdita della capacità di procreare, lo Stato potrebbe essere riconosciuto responsabile di una violazione dell'art. 8 Cedu ove non abbia predisposto rimedi sanzionatori effettivi.

A tal riguardo, i giudici di Strasburgo notano che la ricorrente si è costituita parte civile nel procedimento penale a carico del medico e che tale procedimento si è concluso con provvedimento di archiviazione fondato esclusivamente sulle perizie medico legali; non è stata, infatti, presa in considerazione la relazione del collegio dei medici con la quale veniva rilevata la mancanza di consenso informato. Tale rimedio, astrattamente "valido", si è rivelato concretamente ineffettivo: nonostante la Corte europea non sia chiamata a valutare la correttezza della decisione assunta dai giudici nazionali, trova comunque inaccettabile che, date le gravi conseguenze riportate dalla ricorrente, un tale intervento sia stato compiuto senza il rispetto delle regole relative al consenso informato.

Avendo, inoltre, rilevato che lo Stato, in simili casi, non prevede un'assicurazione obbligatoria per il risarcimento del danno da trattamento medico, la Corte europea conclude ravvisando una violazione dell'art. 8 Cedu.