ISSN 2039-1676


06 giugno 2013 |

La Corte europea e il caso Tymoshenko: condannata l'Ucraina per plurime violazioni degli art. 5 e 18 Cedu.

Nota a C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 30 aprile 2013, Pres. Spielmann, Tymoshenko c. Ucraina

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1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte europea affronta una vicenda giudiziaria che ha avuto un'ampia eco mediatica, alla luce del ruolo politico e istituzionale già rivestito dall'imputata, Yuliya Volodymyrivna Tymoshenko, per due volte Primo ministro del Governo ucraino nel quinquennio 2005-2010 e, poi, candidata alle elezioni per la Presidenza della Repubblica, perse contro Victor Yanukovic, suo principale avversario politico sin dai tempi della c.d. Rivoluzione arancione.

Questa, in estrema sintesi, la vicenda. Alcuni mesi dopo la sconfitta alle elezioni presidenziali del 2010, la ricorrente - all'epoca alla guida del principale partito di opposizione - è sottoposta a diversi procedimenti penali per gravi reati contro la pubblica amministrazione e condannata a vari anni di reclusione. Nel corso di uno dei dibattimenti, in particolare, la ricorrente svolge personalmente il contro-esame del Primo ministro in carica, citato dal pubblico ministero come testimone d'accusa: secondo pubblico ministero e giudice, il controesame è caratterizzato da ripetute intemperanze della ricorrente, che, in conseguenza di ciò, è posta, lo stesso giorno e per ordine dell'autorità giurisdizionale procedente, in custodia cautelare a tempo indeterminato, avendo intralciato la giustizia e dimostrato totale mancanza di rispetto verso l'autorità. Nel corso delle numerose, successive udienze la ricorrente e il suo difensore presentano reiterate richieste tese alla revoca della custodia cautelare o alla sua sostituzione con una misura meno afflittiva: le istanze difensive sono sempre rigettate, benché noti esponenti della società civile e del clero si fossero formalmente resi disponibili per accogliere l'imputata agli arresti domiciliari e fosse stata offerta una significativa cauzione. La ricorrente rimane in custodia cautelare in via preventiva, su ordine del giudice, sino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

 

2. Davanti alla Corte europea, la ricorrente lamenta anzitutto varie violazioni dell'art. 3 Cedu.

Quanto alle condizioni della detenzione, la ricorrente si duole delle precarie condizioni igienico-sanitarie delle celle, nonché dell'inadeguatezza dell'alimentazione, non compatibile coi disturbi allergici gastrointestinali che l'affliggevano. Per la Corte europea, invece, la doglianza non è ricevibile: alla luce del materiale in suo possesso, risulta che le condizioni detentive - per quanto «non confortevoli» - non sono state tali da raggiungere la soglia di severità richiesta per integrare una violazione dell'art. 3 Cedu. Altresì non ricevibile è la doglianza circa la lamentata inadeguatezza del trattamento medico cui è stata sottoposta la ricorrente. Per la Corte europea, quest'ultima ha mostrato un atteggiamento poco collaborativo con le autorità sanitarie, non accettando sempre le terapie prescritte. L'amministrazione ucraina ha appositamente trasferito la ricorrente in un centro clinico specializzato, ove i trattamenti sanitari, svolti da specialisti, sono stati supervisionati da un noto medico convocato appositamente da Berlino. In breve, le autorità ucraine hanno assicurato un trattamento sanitario effettivo e trasparente.

La Corte europea accerta, inoltre, la non violazione del divieto di tortura sotto il profilo sostanziale e processuale. La ricorrente aveva lamentato la non effettività delle indagini svolte dalle autorità ucraine su un preteso episodio di torture commesse dalla polizia ai suoi danni, in occasione di una traduzione dal penitenziario al centro clinico specializzato. In realtà, le autorità ucraine hanno tempestivamente avviato un procedimento penale effettivo, a seguito della denuncia della ricorrente: fra l'altro, è risultato che le ecchimosi sul corpo di quest'ultima non sono compatibili con la descrizione dell'episodio resa dalla ricorrente, che ha pure rifiutato ulteriori accertamenti disposti dalle autorità ucraine per meglio chiarire la natura delle lesioni.

 

3. Viceversa, sono tutte fondate le diverse doglianze formulate dalla ricorrente circa la violazione, sotto vari profili, dell'art. 5 Cedu. Più in particolare, quest'ultima aveva lamentato la violazione dell'art. 5 comma 1 lett. b Cedu, in forza dell'illegittimità della custodia cautelare subita; dell'art. 5 comma 3 Cedu, per l'ingiustificata protrazione della stessa; dell'art. 5 comma 4 Cedu, non avendo ella goduto di un ricorso giurisdizionale effettivo ai fini del controllo sulla legalità della detenzione; infine, dell'art. 5 comma 5 Cedu, per la mancanza di rimedi interni volti a far valere la violazione dell'art. 5 Cedu ed ottenere un'adeguata riparazione.

Anzitutto, la Corte europea evidenzia come i provvedimenti che applicano e prorogano la custodia cautelare nei confronti della ricorrente siano privi di qualsivoglia indicazione in ordine alla durata massima della misura, protrattasi sino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Orbene, la privazione della libertà personale per un lasso di tempo indefinito è, in sé, contraria al principio di legalità che governa la materia in forza dell'art. 5 Cedu. D'altra parte, la custodia cautelare è stata applicata e mantenuta, non solo senza indicazione precisa delle ragioni che la potessero giustificare, ma, soprattutto, sulla base di motivi estranei a quelli consentiti dall'art. 5 comma 1 Cedu, quali il comportamento poco rispettoso tenuto dalla ricorrente nei confronti del giudice nel dibattimento. Infine, non è neppure chiaro perché una misura meno afflittiva (come, ad esempio, il divieto di allontanamento dalla città sede del giudizio) non sarebbe stata sufficiente. In definitiva, l'applicazione e il mantenimento della custodia cautelare sino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna risultano arbitrari e contrari al principio di legalità, in aperta violazione dell'art. 5 Cedu.

Quanto alla violazione dell'art. 5 comma 4 Cedu, il mantenimento della custodia cautelare è stato più volte "riesaminato" dai giudici competenti, ma i relativi provvedimenti non sono rispettosi della garanzie previste dalla disposizione convenzionale. I giudici de libertate ucraini hanno sostanzialmente ignorato tutti i numerosi argomenti difensivi, addotti in fatto e in diritto dalla ricorrente e dal suo difensore per giustificare la richiesta di revoca della custodia cautelare o, quanto meno, quella della sua sostituzione con una misura meno afflittiva.

Infine, quanto alla violazione dell'art. 5 comma 5 Cedu, la legge ucraina prevede uno strumento riparatorio per il solo caso in cui l'illegittimità della detenzione sia stata accertata da un giudice internazionale. Nessun'altra violazione dell'art. 5 Cedu è, invece, presa in considerazione dall'ordinamento interno, che resta, perciò, caratterizzato da una lacuna non compatibile con gli standard imposti dalla previsione convenzionale.

 

4. La ricorrente lamenta la violazione dell'art. 5 Cedu da un ulteriore punto di vista. L'applicazione e il mantenimento della custodia cautelare sarebbero avvenuti in spregio anche dell'art. 18 Cedu, poiché la privazione della libertà personale avrebbe avuto, in realtà, l'esclusivo scopo di tenere lontana la ricorrente dalla vita politica attiva e di impedirle di partecipare alle elezioni politiche nazionali dell'ottobre del 2012.

Anche tale motivo di ricorso è fondato. I provvedimenti cautelari adottati contro la ricorrente - tesi a punire quest'ultima per la sua condotta processuale irrispettosa nei confronti del giudice (già oggetto dell'accertata, autonoma violazione dell'art 5 comma 1 Cedu) - hanno avuto il surrettizio scopo d'impedirle l'esercizio dei diritti civili e politici.