ISSN 2039-1676


23 settembre 2012 |

La Corte di Strasburgo dichiara l'arresto e la detenzione del leader ucraino Lutsenko contrari agli articoli 5 e 18 CEDU.

Nota a sentenza Corte EDU, sez. V, 3 luglio 2012, Lutsenko c. Ucraina.

1. La sentenza in epigrafe si segnala all'attenzione in quanto rappresenta la terza occasione in oltre cinquant'anni di attività della Corte in cui viene riconosciuta la violazione del principio di tassatività delle restrizioni ai diritti sanciti dalla Convenzione fissato dall'articolo 18 (sul punto v. più diffusamente Il caso Lutsenko davanti alla Corte europea dei diritti dell'Uomo, in questa Rivista, 22 maggio 2012). La Corte mette qui in luce come la restrizione della libertà personale del ricorrente celasse l'intento persecutorio dell'autorità giudiziaria ucraina nei confronti del ricorrente, "colpevole" di aver cercato di esercitare i propri diritti, e conclude pertanto che l'arresto e la detenzione dello stesso hanno costituito violazione degli articoli 5 e 18 della CEDU.

Yuriy Lutsenko, leader del partito d'opposizione, è stato ministro dell'Interno fino al gennaio 2010. Alla fine dello stesso anno, la procura aveva aperto nei suoi confronti dapprima un'inchiesta su presunti benefici che egli avrebbe procurato al suo autista grazie alla propria posizione, e poi un'altra per abuso di funzioni, accusandolo di aver autorizzato alcune operazioni illegali. All'indomani dell'apertura di questo secondo procedimento, Lutsenko fu arrestato e condotto, circa venti ore più tardi, davanti ad un giudice, perché gli fosse applicata la custodia in carcere. La Corte ha riscontrato nel comportamento delle autorità ucraine sette violazioni della Convenzione, di seguito illustrate.

 

2. La Corte ritiene innanzitutto che l'arresto sia stato arbitrario, poiché eseguito senza la necessità di impedire la fuga o la prosecuzione dell'attività criminosa del ricorrente, che al tempo era cessato già da un anno dalla carica di ministro. La Corte sottolinea come l'arresto non fosse finalizzato a condurre l'indagato davanti al giudice competente, in quanto eseguito nel quadro del secondo procedimento penale, mentre l'udienza celebrata il giorno successivo è stata dedicata esclusivamente all'esame della richiesta di custodia cautelare che la procura aveva avanzato relativamente al primo procedimento. Ciò considerato, la Corte dichiara la violazione dell'articolo 5 §1 CEDU. Ulteriore violazione dello stesso articolo vi sarebbe stata invece relativamente alla detenzione del ricorrente, che ad avviso della Corte non sarebbe stata giustificata dalla necessità di garantire la presenza dell'imputato al processo.

I giudici di Strasburgo conducono una serrata critica degli argomenti utilizzati dalle autorità ucraine per motivare il provvedimento di custodia del ricorrente, e cioè: la negligenza del medesimo nello studiare il fascicolo, l'utilizzo dei media come strumento di pressione sui testimoni e la non ammissione della propria colpevolezza per i reati a lui ascritti. La Corte contesta la prima ragione in quanto, sebbene la negligenza dell'imputato possa in principio comportare un rallentamento del procedimento, tuttavia la custodia in carcere non rappresenterebbe una misura adeguata, senza considerare che il tribunale avrebbe omesso di valutare l'argomento sottoposto dal ricorrente, secondo il quale lo studio del fascicolo è un diritto e non un dovere dell'imputato, e pertanto un'eventuale condotta negligente in proposito non potrebbe far scattare sanzioni a suo carico.

Sul secondo punto, la Corte rimprovera alle autorità di non aver chiarito né in che modo i testimoni sarebbero stati concretamente influenzati, né in che modo la detenzione sarebbe stata una risposta adeguata a tale comportamento. In ogni caso, secondo l'opinione della Corte, essendo il ricorrente una figura politica di primo piano, è naturale che abbia espresso pubblicamente la propria opinione sul procedimento che lo vedeva coinvolto. D'altra parte, secondo costante giurisprudenza, laddove la detenzione miri a limitare la libertà di espressione di un individuo, è sanzione giustificata solo se siano in serio pericolo altri diritti fondamentali (v., in proposito, sent. Corte EDU, Grande Camera 18 dicembre 2008, Mahmudov e Agazade c. Azerbaijan, n. 35877/04, e sent. Corte EDU 17 dicembre 2004, Grande Camera, Cumpănă e Mazăre c. Romania, n. 33348/96).

Per quanto riguarda il terzo argomento, la Corte si dice preoccupata per il fatto che i giudici ucraini abbiano deciso sulla detenzione "punendo" l'imputato per aver rivendicato i fondamenti stessi dell'equo processo.

Infine la Corte esprime dissenso per il fatto che nessun termine sia stato fissato per la custodia del ricorrente (sul punto v. anche sent. Corte EDU 10 febbraio 2011, Kharchenko c. Ucraina, no. 40107/02).

 

3. La Corte dichiara poi la violazione dell'articolo 5 §2 CEDU poiché il ricorrente è venuto a conoscenza della richiesta di arresto, formulata dalla procura il 25 dicembre 2010, solo durante l'udienza del 27, e cioè oltre venti ore dopo l'esecuzione dello stesso. Tale articolo prevede infatti che ogni persona arrestata sia messa a conoscenza delle ragioni per le quali viene private della libertà, così da potersi rivolgere ad un giudice per contestare il provvedimento (di recente, v. sent. Corte EDU 21 aprile 2011, Nechiporuk e Yonkalo c. Ucraina, n. 42310/04). Pertanto, nel caso in cui siano state aperte più inchieste sullo stesso individuo, le autorità dovrebbero fornire informazioni su ciascuna di esse, se il materiale raccolto per ciascuna di esse può servire a motivare (o a contestare) la detenzione (così anche sent. Corte EDU 15 dicembre 2009, Leva c. Moldova, n. 12444/05).

 

4. Nel dichiarare la violazione dell'articolo 5 § 3 CEDU, la Corte ricorda che perché questo possa dirsi rispettato occorre che il controllo giudiziale sulla detenzione sia automatico ed indipendente dall'esplicita richiesta dell'interessato, poiché è proprio in ciò che si distingue dal diritto, previsto all'art. 5 § 4, di promuovere il giudizio di revisione. Nel caso di specie, il giudice davanti al quale fu portato il ricorrente all'indomani del suo arresto, non solo non ha esaminato la legalità dell'arresto come l'interessato chiedeva, ma non era neanche a ciò preposto, come lo stesso governo conferma. La Corte ritiene inoltre che vi sia ulteriore violazione dell'articolo 5 §3 CEDU in relazione all'ordinanza di custodia, della quale né l'imputato né il suo legale hanno avuto notizia fino all'udienza. In quest'ultima circostanza, poi, il merito della richiesta della procura non è stato adeguatamente valutato, né è stata presa in considerazione alcuna misura alternativa. Inoltre, non vi sarebbe stata alcuna parità tra le parti, come si evince dal fatto che è stato impedito alla difesa ogni ulteriore esame del fascicolo (per una considerazione analoga, v. sent. Corte EDU 25 ottobre 2007 Lebedev c. Russia, n. 4493/04).

 

5. La Corte dichiara anche la violazione dell'articolo 5 § 4 CEDU, in quanto al ricorrente non sarebbe stato concesso un riesame della legalità della sua detenzione. Ogni persona arrestata o detenuta, infatti, ha diritto di chiedere non solo un controllo del rispetto delle regole di procedura, ma anche delle ragioni di fondo poste a giustificazione della restrizione della propria libertà (nello stesso senso v. sent. Corte EDU 26 marzo 2002, Butkevičius c. Lituania, n. 48297/99, e sent. Corte EDU 27 novembre 2008, Solovey e Zozulya c. Ucraina, n. 40774/02 e 4048/03). La Corte di appello di Kiev, invece, avrebbe rigettato la richiesta di riesame del ricorrente limitandosi a riproporre il ragionamento del giudice di prima istanza, senza replicare ad alcuno degli argomenti avanzati dalla difesa e senza tenere in considerazione un'ulteriore richiesta di rilascio su cauzione, sostenuta da un gruppo di deputati e dal difensore civico ucraino.

 

6. Il fatto che i procedimenti siano iniziati poco dopo la cessazione del ricorrente dalla carica di ministro e poco prima delle elezioni legislative in cui egli era impegnato, la doglianza del ricorrente medesimo che i procedimenti a suo carico si inseriscano nel quadro di una più ampia opera di repressione politica, nonché il fatto che una delle principali ragioni poste a fondamento della sua detenzione sia stata il suo rapporto con i media, sono indizi che la Corte considera sufficienti per procedere ad un'analisi dei fatti sotto la lente dell'articolo 18 CEDU. La Corte precisa che per sostenere la violazione di tale articolo non basta il mero sospetto che un certo diritto sia stato limitato impropriamente, o che lo scopo delle autorità fosse diverso da quello fatto palese, ma che occorre un alto standard probatorio, come testimonia il fatto che si registrino solo due precedenti (sent. Corte EDU 19 maggio 2004, Gusinskiy c. Russia, n. 70276/01, caso in cui la restrizione della libertà del ricorrente era stata ordinata allo scopo di fargli vendere le proprie società allo stato, e sent. Corte EDU 13 novembre 2007, Cebotari c. Moldova, n. 35615/06, in cui l'arresto del ricorrente era legato ad una richiesta pendente davanti all'autorità giudiziaria). La Corte spiega inoltre come tale articolo non abbia vita autonoma, ma possa essere applicato solo in combinato con altri articoli della Convenzione. Nel caso di specie, la Corte ne dichiara la violazione in combinato con l'articolo 5 CEDU. Ad avviso della Corte, è naturale che il ricorrente, accusato di abuso di ufficio, abbia replicato a tale attacco tramite i media. Gli inquirenti, considerando tale comportamento bastevole per ordinarne l'arresto, hanno accusato il ricorrente di sviare l'opinione pubblica circa i crimini da lui commessi, di discreditare la magistratura ed influenzare il processo per evitare di incorrere in responsabilità penale. Secondo la Corte, proprio l'argomentazione degli inquirenti dimostra il tentativo di punire il ricorrente per aver pubblicamente manifestato dissenso per le accuse a lui mosse, proclamando la propria innocenza come aveva diritto di fare. Ne risulta la violazione dell'articolo 18 CEDU poiché la restrizione alla libertà del ricorrente, permessa dall'articolo 5 § 1 (c), è stata applicata per ragioni diverse da quella di portarlo davanti alla competente autorità giudiziaria nel sospetto della commissione di reati.

 

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