ISSN 2039-1676


01 luglio 2013 |

Sulla disciplina sanzionatoria del furto di armi: un intervento chiarificatore da parte della Corte costituzionale

Corte cost., 13 giugno 2013, n. 140, Pres. Gallo, rel. Lattanzi

1. Una questione di legittimità costituzionale, sollevata in base ad un presupposto interpretativo ritenuto erroneo, ha consentito alla Consulta di mettere in chiaro il senso della disciplina concernente il furto di armi, ed in particolare del furto che avvenga in un luogo di privata dimora e sia punibile, dunque, a norma dell'art. 624-bis c.p.

È opportuno, anzitutto, ricostruire il quadro delle disposizioni pertinenti al tema. Verso la fine degli anni '70, in fase di pieno sviluppo del fenomeno terroristico, era stata introdotta una norma di aggravamento delle pene per il furto di armi, quando commesso in armerie o comunque in locali specificamente adibiti alla custodia delle armi medesime (art. 4, comma 1, della legge 8 agosto 1977, n. 533)[1]. Una tipica "norma fotografia", che colpiva la particolare gravità di fatti normalmente compiuti al fine di procurarsi strumenti di offesa alla persona, più che un profitto di carattere patrimoniale. Le pene erano ulteriormente aumentate nel caso ricorressero anche alcune delle aggravanti previste dall'art. 625 c.p., compresa la fattispecie di cui al n. 1: l'essersi il colpevole introdotto in un luogo destinato ad abitazione.

 La normativa ha poi subito diverse modifiche, tra le quali rileva, in questa sede, quella connessa al c.d. pacchetto sicurezza del 2001. Nell'occasione si decise - visto che spesso l'aggravante del furto in abitazione o quella dello «strappo» della cosa dalla persona venivano neutralizzate mediante il riconoscimento di attenuanti generiche - di trasformare lo stesso «furto in abitazione» e quello con strappo in autonome ipotesi di reato, punite in modo più grave del furto «ordinario». La nuova fattispecie era quella, ancor oggi vigente, dell'art. 624-bis c.p. (art. 2 della legge 26 marzo 2001, n. 128).

Il legislatore della novella non trascurò di «sistemare» la parte restante del quadro normativo. La vecchia aggravante del furto in abitazione fu soppressa. Quanto alla specifica figura circostanziale del 1977, concernente il furto di armi, si pervenne ad una completa riscrittura dell'art. 4 della legge n. 533. Restò fermo (comma 1) il generale aggravamento di pena per i furti concernenti armi custodite in armerie od in luoghi deputati alla loro custodia (comma 1). Venne eliminato, nel quadro delle fattispecie di ulteriore aggravamento (trasferite al comma 2), il riferimento alla figura dell'abrogato n. 1 dell'art. 625 c.p., cioè all'ipotesi del fatto commesso violando l'altrui abitazione. Nel contempo (nuovo comma 3) la pena «più aggravata» - cioè quella prevista al comma 2 per alcuni dei casi descritti nell'art. 625 c.p. - fu estesa anche «ai delitti di cui all'articolo 624-bis del codice penale aggravati ai sensi del comma 1»).

 

2. Come si vede, la normativa presenta un problema, che risale alle sue origini, anche se la riforma del 2001 ha parzialmente mutato i termini della questione.

Si tratta di stabilire se e come sia possibile che un furto in armeria o in un luogo destinato alla custodia delle armi si risolva, al tempo stesso, in un «furto in abitazione». Prima della novella la questione nasceva dal raccordo tra la ulteriore aggravante riferita al n. 1 dell'art. 625 c.p. e la situazione circostanziale «di base», comune all'intera disciplina dell'art. 4, cioè la pertinenza del fatto ad armi custodite in armeria o altro luogo appositamente deputato. Dopo la novella, l'identica questione è posta dal raccordo tra la citata situazione «di base» e l'applicazione dell'aggravante alla fattispecie del «furto in abitazione» prevista dal nuovo art. 624-bis c.p.[2]

La risposta al quesito, data dalla prevalente dottrina, è che si può immaginare un luogo di abitazione o privata dimora che sia deputato alla custodia di armi (ad esempio, una stanza dedicata presso l'abitazione di un collezionista)[3]. Comunque, l'agente può ben violare luoghi di privata dimora anche per entrare in una armeria (ad esempio se questa si trova in un edificio destinato anche ad abitazione, ed il ladro attraversa l'edificio per introdurvisi). V'è oltretutto una tendenza giurisprudenziale a comprendere nel concetto fissato nell'art. 624-bis c.p. qualunque luogo per l'accesso al quale l'avente diritto può introdurre criteri selettivi[4]. Più si consolida tale tendenza, maggiori divengono le possibilità di una concomitante integrazione delle fattispecie. Il che varrebbe a maggior ragione (e fino ad evocare conflitti tra le due previsioni) quando si affermasse l'indirizzo secondo cui anche gli esercizi commerciali, e dunque anche le armerie, dovrebbero essere considerati luoghi di «privata dimora» ai sensi dell'art. 624-bis c.p.[5]

 

3. Il Giudice che ha sollevato la questione in commento, invece, ha inferito dalle norme una diversa disciplina. Sarebbe «ambiguo» il significato del comma 3 dell'art. 4 (le pene "ulteriormente aggravate" del comma 2 si applicano ai delitti di cui all'articolo 624-bis del codice penale aggravati ai sensi del comma 1). D'altra parte, non sarebbe concepibile una concomitante qualificazione del locus commissi delicti quale «armeria» e quale «luogo di privata dimora». Dovrebbe ritenersi, quindi, che la fattispecie del citato comma 3, cioè l'aggravante speciale riferibile al nuovo delitto di furto in abitazione, trovi applicazione sul semplice presupposto che l'oggetto del furto sia un'arma, a prescindere dalla destinazione "dedicata" del luogo del fatto. In altre parole, il legislatore avrebbe voluto colpire con particolare severità anche il furto commesso in una normale abitazione, quando riguardi un'arma: un riferimento all'oggetto, e non alle caratteristiche proprie del luogo del reato.

Posta questa premessa, tuttavia, il sistema presenterebbe gravi incoerenze sul piano sanzionatorio. Il furto di un'arma in abitazione sarebbe punito più gravemente (reclusione da cinque a dodici anni) del furto in un'armeria (reclusione da tre a dieci anni), o al più nella stessa misura, quando ricorrono per il fatto commesso in armeria anche le ulteriori circostanze indicate al comma 2 dell'art. 4.

Dunque, violazione del principio di uguaglianza e di finalizzazione rieducativa della pena, sub specie del difetto di proporzionalità della pena nel caso del furto «in abitazione» (reato contestato nel giudizio a quo).

 

4. Come anticipato, la lettura che il rimettente ha operato delle disposizioni contenute nell'art. 4 della legge n. 533 del 1977 è parsa erronea alla Consulta. Si tratta in effetti di una soluzione in aperto contrasto con la lettera del comma 3, che stabilisce un determinato trattamento per i delitti qualificabili ex art. 624-bis c.p. e al tempo stesso «aggravati ai sensi del comma 1» dello stesso art. 3: delitti commessi, cioè, «nelle armerie ovvero in depositi o in altri locali adibiti alla custodia» delle armi.

La «amputazione» operata riguardo al chiaro disposto dal comma 1 non può essere giustificata in base al mero rilievo della pretesa inconciliabilità tra la sede tipica del delitto di cui all'art. 624-bis c.p. ed il concetto di armeria. A parte la considerazione che la norma incriminatrice non allude più alle abitazioni ma ai «luoghi di privata dimora», sembrano risolutivi i due rilievi sinteticamente enunciati dalla Corte.

Il primo è che, come già segnalato in apertura, la pretesa incompatibilità non sussiste: nella sentenza si formulano gli esempi del «locale dell'abitazione di un collezionista destinato alla custodia delle armi collezionate o quello dell'armeria che costituisce anche dimora dell'armiere, o anche quello della introduzione in un luogo di privata dimora per raggiungere un locale adibito alla custodia delle armi». In ogni caso, quand'anche la pretesa incompatibilità sussistesse, ciò non autorizzerebbe a superare, con effetti di aggravamento del trattamento sanzionatorio, ed in senso contrario alla direzione costituzionalmente preferibile, la chiara enunciazione letterale della norma censurata.

 

5. Insomma, secondo l'interpretazione della Corte, le fattispecie di cui all'art. 4 della legge n. 533 del 2007 sarebbero tutte riferibili ad un furto "qualificato" dal luogo di commissione: una armeria, od un sito assimilabile.

Ove non si tratti anche di un luogo di privata dimora, la pena detentiva sarà quantificata a partire da tre anni di reclusione e fino a dieci (comma 1). Sarà punito meno il furto di un'arma in privata dimora (da uno a sei anni, ex art. 624-bis c.p.), ma la soluzione non sembra irrazionale, mancando il disvalore peculiare dell'accesso ad un luogo deputato proprio alla custodia di armi. Ed infatti, se tale disvalore si aggiunge a quello della violazione di una privata dimora, i valori sanzionatori crescono rispetto alle due ipotesi precedenti, collocandosi tra i cinque e i dodici anni di reclusione (comma 3, in relazione al comma 2, dell'art. 4 citato).

Alla stessa pena (comma 2) sarà condannato chi, commettendo il furto in armeria, tenga anche uno dei comportamenti descritti all'art. 625 c.p., ma senza violare una privata dimora (ad esempio, associando altre due persone o più nella realizzazione del fatto). Quando poi gli stessi comportamenti ricorrano per un furto in armeria con violazione della dimora privata, si perverrà al massimo livello sanzionatorio, grazie all'interazione tra l'aggravante del comma 3 dell'art. 4 e quella del comma 3 dell'art. 624-bis c.p.

Una progressione non indiscutibile, ma certamente lontana da quella manifesta irrazionalità, e da quella palese ed ingiustificata sperequazione tra situazioni assimilabili, che, sole, avrebbero potuto rendere ammissibile il sindacato della Consulta sulle scelte sanzionatorie del legislatore.

 


[1] Per favorire la più immediata comprensione dei riferimenti normativi si trascrive, di seguito, il testo vigente dell'art. 4 della legge n. 533 del 1977: «1. Se il fatto previsto dall'articolo 624 del codice penale è commesso su armi, munizioni od esplosivi nelle armerie ovvero in depositi o in altri locali adibiti alla custodia di armi, si procede d'ufficio e si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni e della multa da euro 206 a euro 1.549. 2. Se concorre, inoltre, taluna delle circostanze previste dall'articolo 61 o dall'articolo 625, numeri 2), 3), 4), 5) e 7), del codice penale, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni e della multa da euro 1.032 a euro 3.098. 3. La pena di cui al comma 2 si applica ai delitti di cui all'articolo 624-bis del codice penale aggravati ai sensi del comma 1. 4. La pena prevista al comma 3 è diminuita fino a due terzi quando il fatto è di lieve entità».

 

[2] Conviene subito ricordare, per altro, che nel testo dell'art. 624-bis è fatto più generico riferimento ai luoghi destinati a «privata dimora». Si veda infra.

[3] Con vario accento, nel senso della compatibilità tra le due previsioni, si vedano tra gli altri Bellagamba-Vigna, Armi, munizioni, esplosivi, Milano, 2008, p. 196 ss.; Mazza-Mosca-Pistorelli, La disciplina di armi, munizioni ed esplosivi, Padova, 2002, p. 188 ss.; Russo, Sistema penale di armi, esplodenti, munizioni, caccia e tiro, Roma, 2012, p. 1063 ss.

[4] Ad esempio, secondo Cass., Sez. IV, 30 settembre 2008, n. 40245, P.M. in proc. Aljmi, in C.e.d. Cass., n. 241331, «deve ritenersi luogo destinato in tutto o in parte a "privata dimora" (il) luogo in cui l'ingresso può essere selezionato a iniziativa di chi ne abbia la disponibilità». Per una recentissima qualificazione nel senso anzidetto del cortile costituente parte comune di un condominio, si veda Cass., Sez. IV, 10 gennaio 2013, n. 4215, B., ivi, n. 255080.

[5] In tal senso, ad esempio, Cass., Sez. V, 2 luglio 2010, n. 30957, Cirlincione, in C.e.d. Cass., n. 247765. In senso contrario, per altro, ulteriore giurisprudenza: da ultimo, Cass., Sez. IV, 24 gennaio 2013, n. 11490, P.G. in proc. Pignalosa, ivi, n. 254854.