ISSN 2039-1676


08 ottobre 2013 |

Pubblicità  e segretezza nel processo penale. Essentialia di una difficile integrazione

A proposito del libro di Nicola Triggiani, "Giustizia penale e informazione. La pubblicazione di notizie, atti e immagini", Cedam, Padova, 2012

Numerose fonti in materia di informazione giudiziaria si collocano a livello di norme fondamentali e "dintorni": l'art. 21 della nostra Costituzione; l'art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 10 dicembre 1948); l'art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (adottata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con l. 4 agosto 1955, n. 848); l'art. 19 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (adottato a New York il 16 dicembre 1966 e reso esecutivo con l. 25 ottobre 1977, n. 881).

La ricognizione potrebbe proseguire ed aprirsi ad altre fonti, per includere, in prospettive di maggior dettaglio, disposizioni in materia penale, sostanziale e processuale, nonché in ambito deontologico. Fonti di riflessione, o per lo meno di suggestione, sono anche importanti sentenze della Corte Costituzionale. In linea di tendenza, a fronte di un impianto codicistico rimasto invariato negli anni, si possono apprezzare significative modifiche nella normativa deontologica, sia essa rivolta agli operatori della giustizia, sia essa rivolta agli operatori dell'informazione.

In una prospettiva diacronica è inevitabile il confronto con regole e regolamentazioni prevalentemente non recenti. In breve, se può apparire superato fondare un'attuale ed aggiornata esplorazione in tema di "giustizia penale e informazione" su indicazioni normative facilmente definibili come datate, va detto che è datato anche il cliquet di condurre la riflessione giuridica muovendo dall'acquisizione sic et simpliciter del dato normativo, prima di (e talvolta a prescindere da) un'adeguata ricognizione delle problematiche connesse al funzionamento delle norme. Superando queste sedimentazioni, il volume di Nicola Triggiani propone un nuovo anello di congiunzione tra passato (normativo) e presente (applicativo): ripartendo dalle norme possono essere esplorate le ragioni per cui le prassi - lo "stato reale" del rapporto tra giustizia penale e mass media - hanno preso il sopravvento sulle previsioni normative.

Al lettore appare chiaro che, da un lato, la ricerca segue il filo rosso dell'antitesi sistemica "pubblicità" versus "segretezza" e che, dall'altro, il volume si sofferma su aspetti particolari, sia perché correlati, talvolta, a peculiari dinamiche procedimentali, sia  perché connessi, talaltra, a profili assiologici del tema, nella sua attualità. Pubblicità e riservatezza compongono un'antinomia nella quale paradossalmente convivono entrambe in termini di valore: in un'ottica di ideale complementarità, entrambe sono dotate di fondamento costituzionale.

Di più, il volume si presta anche ad altre e molteplici chiavi di lettura: tra le altre, la centralità della persona sia nel momento della pubblicità, sia in quello della riservatezza. Esigenza esterna al singolo individuo, la prima focalizza la diffusione, talvolta la diffusività, di contenuti indistintamente rivolti a ciascun componente della collettività; il diritto si manifesta, qui, nella sua identità più "collaudata", declinandosi come strumento di controllo dell'opinione pubblica sull'attività e sulla trasparenza dell'esercizio della funzione giudiziaria. Al contrario, il segreto protegge singoli individui e le loro aspettative, i loro diritti, alla non intrusività dei mezzi di informazione. In altri termini, la pubblicità è regola di un agire pubblico, qual è l'amministrazione della giustizia; la riservatezza ne costituisce una deroga.

Si definiscono, con queste note modali, i ruoli del percorso informativo, da un lato ravvivato - di più, sostenuto - dall'apertura all'interesse generale (presupposto ineludibile del suo esercizio), dall'altro compresso dalle chiusure che, in nome di interessi particolari, gli vengono apportate. Le direttrici di questo volume pongono bene in risalto quanto la regola (pubblicità) arrivi a fagocitare le eccezioni (segretezza), con conseguente violazione di prerogative individuali meritevoli di riconoscimento, anche perché assiologicamente fondate, al pari delle prerogative collettive - la pubblicità è conoscenza - assunte al rango di regole "più" generali, delle quali si fanno interpreti gli operatori dell'informazione.

Non va taciuto che anche riservatezza e segreto, da altra visuale, possono risultare connotati in termini di pubblicità: anche la riservatezza è un interesse "pubblico", nella misura in cui non sarebbe tollerabile che la vita privata di ognuno fosse di dominio pubblico. La riservatezza del singolo è dunque condizione indispensabile della vita in società. In più, è connotata pubblicisticamente anche la presunzione di non colpevolezza, minacciata in modo insidioso dal diffondersi di notizie riferite, rectius (ri)elaborate, dai mezzi di informazione. Così, le notizie che "sfuggono" alla rete delle garanzie sono di grande stimolo per il topos del processo mediatico; eppure nessun consesso civile può tollerare che la colpevolezza venga accertata fuori del processo e da soggetti non rivestiti delle necessarie qualifiche e professionalità.

Proprio la centralità dell'uomo, del resto, spiega l'attenzione particolare, mai scontata, ai soggetti che sono "contenuti" in atti o immagini soggetti a divulgazione: soggetti normali, ai quali riconoscere spazi incomprimibili di riservatezza, e soprattutto soggetti "deboli", da proteggere in modo rafforzato, come la persona in vinculis e come il soggetto minorenne, beneficiario, quest'ultimo, di una buona tenuta del segreto, eccezion fatta per riprovevoli episodi di senso contrario. Anche nelle osservazioni conclusive torna in primo piano un concetto di umanità, fatto di cultura del rispetto e della sana informazione, nonché di sensibilità etica, che soli sono in grado di preservare l'attuale funzionamento della giustizia da un pronostico di inevitabile deriva: l'umanità, qui, degli operatori dell'informazione, protagonisti necessari di una nuova prospettiva per l'equilibrio tra giustizia penale e informazione.

Chiari i passaggi che portano all'explicit: la compressione delle istanze di riservatezza va a beneficio di ingerenze dell'informazione, se non, più correttamente, vere e proprie intrusioni. Occorre allora monitorare - il volume offre una panoramica più che esaustiva - il rapporto tra procedimento penale ed informazione.

SI tratta di una dialettica che incontra le sue patologie lungo tutto l'iter della giustizia penale. Il segreto investigativo è nei fatti lettera morta, stante la sostanziale disapplicazione delle norme che lo regolano; il fenomeno si estende a macchia d'olio, e finisce per involgere gli atti processuali soggetti a divieto di pubblicazione; ben venga, peraltro, la già segnalata "diseguale" maggior tenuta del segreto in materia di notizie e immagini attinenti ai minorenni.

Nel dettaglio, l'informazione si svolge sul processo e nel processo; numerose sono le criticità. Scorrendo le pagine della monografia si legge che l'informazione sul processo manifesta acute problematicità applicative che entrano in tensione con la sua dimensione assiologica: non è possibile non richiamare il diritto all'informazione e alla cronaca giudiziaria «come mezzo di controllo dell'opinione pubblica sull'amministrazione della giustizia» (p. XI). Al contempo, e al contrario, il c.d. processo mediatico è raccoglitore "bulimico" di conoscenze, con apertura indifferenziata a qualsiasi possibile elemento, oggetto di cognizione, e di decisione, di un «tribunale dell'opinione pubblica» (p. XVII). Questo meccanismo è strumento di propulsione di un verdetto da formulare ratione personae, sulla base della formula "in dubio contra reum", sbocco naturale di una contestazione del tutto irrituale, talvolta puramente emotiva. Il processo si celebra nei luoghi più vari e tra soggetti i più differenti (esperti di diritto e non), caricando il reo, presunto tale fino a prova contraria, di una difesa extraprocessuale (mediatica) propedeutica alla serenità del processo giurisdizionale. Sostanzialmente nasce un'accattivante (per i colpevolisti) o inaccettabile (per gli innocentisti) inversione dell'onere della prova, da esercitare, peraltro, sul medesimo palcoscenico mediatico che ha portato alla "formulazione dell'accusa"; provocatoriamente, si potrebbe dire che onus probandi incumbit ei qui respondit.

In definitiva, la costellazione di problemi tecnico-giuridici e le puntuali disamine di profili strettamente ermeneutici non privano l'indagine di ulteriori aperture culturali; in primis, in chiave di sintesi possiamo dire che: se talvolta l'uomo è tutelato dal segreto (la collettività deve poter conoscere), talaltra l'uomo è tutelato nel segreto (l'individuo deve essere preservato); gli operatori dell'informazione sono chiamati ad osservare un limite garantito anche da presidi penalistici, del tutto simbolici (essendo del tutto irrisorio il "prezzo" da pagare in caso di violazione) ma culturalmente univoci (l'incriminazione è linea di confine tra valore e disvalore). Il percorso dell'ineffettività - vera carenza della normativa di settore - si compie concretamente attraverso rituali applicativi metodologicamente impropri: disapplicazione di norme e principi, in nome di una dimensione prasseologica che risulta essere assiologicamente infondata e dogmaticamente inconsistente.

Decisive le pagine finali per l'emersione dell'idea, agganciata all'ineffettività, di segnalare - ardua ed indeclinabile prerogativa della dottrina - nuove aperture da percorrere in una prospettiva de lege ferenda. La proposta consiste nell'auspicare riforme che rendano meno estesi il segreto investigativo e il divieto di pubblicazione di atti processuali; in particolare, a fronte dell'attuale "fuga di notizie", che assume (o rischia di assumere) spesso i connotati di un vero e proprio esodo, si propende per una oggettiva, e quindi fedele, conoscibilità erga omnes di gran parte di quanto oggi è soggetto a divieto di pubblicazione. In altri termini, i pochi e ben definiti rimedi de iure condendo ruotano intorno alla riduzione delle aree soggette a segreto, nella prospettiva che la conoscenza giunga a tutti nello stesso modo. A questi rimedi, tuttavia, l'A. accompagna un facile pronostico di ineffettività, dal quale discende un ultimo, conclusivo, auspicio: solo rimedi, chiaramente non giuridici, che attivino una più consapevole sensibilità culturale ed etica possono risanare i rapporti tra giustizia penale e informazione.

Prima di rassegnare le conclusioni, in più, Nicola Triggiani valorizza un excursus dei profili di illiceità, leggi ricadute nel diritto penale sostanziale, rivenienti dalla collisione tra regole e principi in materia di pubblicità e regole e principi in materia di segretezza. Una sensibilità viva alla dimensione interdisciplinare della giustizia penale: leggiamo così del sistema penale; eppure, come ampiamente segnalato, la vera composizione del sistema si realizza fuori del sistema, nella crescita culturale della nostra società.