Sommario:
1. Genesi della nuova aggravante comune
L’art. 3 della
l. 26 novembre 2010, n. 199 (c.d. svuota carceri) ha ampliato il catalogo delle circostanze aggravanti comuni di cui all’art. 61 c.p. inserendo un nuovo n. 11-
quater, che configura come inedita aggravante
“l’avere il colpevole commesso un delitto non colposo durante il periodo in cui era ammesso a una misura alternativa”.
La genesi di questa nuova aggravante si spiega considerando la ragione contingente che ha spinto il legislatore a configurarla. L’
occasio legis è rappresentata dall’introduzione, con l’art. 1 della citata l. n. 199/2010, di una
nuova misura alternativa alla detenzione in carcere – l’
“esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a dodici mesi” –, che presenta rapporti molto stretti con la detenzione domiciliare di cui all’art. 47-
ter ord. penit. e che ha carattere temporaneo, perseguendo il dichiarato obiettivo di fronteggiare l’
attuale situazione di sovraffollamento carcerario, in vista dell’attuazione di un piano straordinario di edilizia penitenziaria (per espressa previsione legislativa la nuova misura - sulla quale v. ampiamente
Turchetti, Legge ‘svuotacarceri’ e esecuzione della pena presso il domicilio: ancora una variazione sul tema della detenzione domiciliare?, in questa Rivista; Balsamo,
Novità legislative: Legge 26 novembre 2010, n. 199, recante "disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno", in www.cortedicassazione.it) - ha carattere temporaneo: non potrà infatti essere applicata oltre il 31 dicembre 2013).
Secondo i
dati forniti dal Ministero della Giustizia durante i lavori preparatori della l. n. 199/2010, la nuova misura interesserebbe, attualmente, circa 8.000 condannati in via definitiva, per i quali potrebbero dunque aprirsi le porte del carcere. Orbene, l’introduzione dell’aggravante in esame, unitamente al contestuale inasprimento delle sanzioni per il delitto di
evasione di cui all’art. 385 c.p., operato dall’art. 2 della medesima legge, sembra spiegarsi in chiave generalpreventiva, cioè con l’intento di predisporre un
deterrente alla commissione di delitti (non colposi) da parte dei beneficiari delle misure alternative alla detenzione in carcere: della misura di nuova introduzione come delle altre già previste dall’ordinamento. Ed è un intento che si comprende ancor più se si considera che la neointrodotta misura alternativa – a differenza della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-
ter ord. penit. – può essere applicata
anche nei confronti dei
recidivi reiterati (
cfr. Turchetti, op. cit., § VI), cioè di soggetti in relazione ai quali è già stato formulato un giudizio di
accentuata capacità a delinquere.
Riferendosi a una condizione personale del colpevole – quella di persona ammessa a una misura alternativa allorché commette un delitto non colposo – l’aggravante è inquadrabile tra quelle aventi natura soggettiva ai sensi dell’art. 70 c.p. E poiché non rientra tra quelle disciplinate dall’art. 118 c.p., può comunicarsi ai concorrenti alle condizioni fissate in via generale dall’art. 59, co. 2 c.p.
Il suo fondamento sembra risiedere nella maggior colpevolezza per il fatto commesso tradendo l’atto di fiducia dell’ordinamento, rappresentato dall’ammissione del reo ad una misura alternativa alla detenzione al carcere, per l’esecuzione di una pena detentiva riportata in occasione della condanna per un precedente reato; misura alternativa che, al di là del fine di deflazione penitenziaria, è per sua natura votata a un nobile obiettivo – il reinserimento del condannato nella società – che postula una cooperazione da parte di chi subisce la pena, e che questi immancabilmente frustra se commette un delitto non colposo durante il tempo in cui è ammesso a qualsivoglia misura alternativa.
3. Riferibilità ai soli delitti non colposi.
Per espressa previsione legislativa, l’aggravante è riferibile ai soli delitti non colposi – cioè ai delitti dolosi e preterintenzionali: non può pertanto trovare applicazione in relazione alle contravvenzioni e ai delitti colposi.
Mentre l’esclusione dei delitti colposi è senz’altro coerente con la predetta ratio dell’aggravante, non altrettanto ci sembra possa dirsi per le contravvenzioni commesse con dolo, la cui realizzazione nel periodo in cui l’agente è ammesso a una misura alternativa tradisce, al pari della commissione di un delitto doloso, la fiducia riposta dall’ordinamento in chi ne beneficia (si pensi ad esempio al soggetto che, in regime di detenzione domiciliare, realizzi il reato contravvenzionale di fabbricazione o commercio non autorizzato di armi, di cui all’art. 695 c.p.).
4. Concetto di ‘misura alternativa alla detenzione in carcere’.
In particolare – oltre alla suddetta nuova ipotesi di
‘detenzione nel domicilio’ di cui all’art. 1 l. n. 199/2010 (cfr.
Turchetti, op. cit., § 7) – vengono in rilievo le misure disciplinate dagli artt. 47 s. ord. penit. (
affidamento in prova al servizio sociale,
detenzione domiciliare,
semilibertà) e dall’art. 94 t.u.l.stup.
(affidamento in prova in casi particolari).
L’aggravante non si riferisce invece (come emerge anche dai citati lavori preparatori) a istituti che
non configurano
in senso tecnico delle
vere e proprie misure alternative alla detenzione in carcere (
cfr. Balsamo, op. cit., § 4): il riferimento è, in particolare, alle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, di cui agli artt. 53 s. l. 24 novembre 1981, n. 689, nonché alle ipotesi di rinvio (
ex artt. 146 e 147 c.p.) e sospensione dell’esecuzione della pena detentiva (ai sensi degli artt. 656, co. 5 c.p.p. e 90 t.u.l.s.t.u.p.).
5. Concetto di ‘ammissione’ ad una misura alternativa: configurabilità dell’aggravante in caso di applicazione provvisoria della misura?
Riferendosi alla commissione di un delitto non colposo durante il periodo in cui il colpevole era
“ammesso” a una misura alternativa alla detenzione in carcere, la legge adopera un’espressione che, a nostro avviso, senza violare il divieto di analogia
in malam partem, può essere estesa all’ipotesi della realizzazione del fatto durante l’
applicazione provvisoria di una misura alternativa alla detenzione in carcere, che comporta pur sempre, infatti, una
“ammissione” del condannato alla misura alternativa, per quanto non definitiva (cfr. a tal proposito, per la
detenzione domiciliare, l’art. 47-
ter, co. 1-
quater ord. penit.; per la
semilibertà, l’art. 50, co. 6 ord. penit.; per l’
affidamento in prova dei detenuti per reati connessi allo stato di tossicodipendenza, l’art. 94, co. 2 t.u.l.stup.). Ci pare che la soluzione qui proposta (
conf. Balsamo, op. cit., § 4) da un lato non travalichi la lettera della legge e, dall’altro lato, appaia conforme alla
ratio dell’aggravante: chi è
ammesso in via provvisoria a una misura alternativa alla detenzione tradisce
vieppiù la fiducia in lui riposta dall’ordinamento accordando la misura.
Il regime di applicazione provvisoria non è invece previsto per l’ordinario affidamento in prova al servizio sociale, in relazione al quale l’art. 47, co. 4 ord. penit. contempla la sola sospensione dell’esecuzione della pena in presenza di una domanda di affidamento supportata da concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura. In caso di reato commesso durante la sospensione dell’esecuzione della pena, così disposta, l’aggravante non ci pare pertanto configurabile: non può dirsi, infatti, che il colpevole sia stato, in questo caso, “ammesso”, anche solo in via provvisoria, all’affidamento in prova al servizio sociale.
6. Rapporti con il delitto di evasione.
L’aggravante non è configurabile – in base alla regola generale stabilita dall’incipit dell’art. 61 c.p. – in relazione ai reati che contemplano tra i loro elementi costitutivi, ivi compresi i presupposti della condotta, la commissione del fatto nel periodo di tempo in cui l’agente è ammesso a una misura alternativa alla detenzione in carcere.
Non sarà pertanto aggravato ex art. 61 n. 11-quater il delitto di evasione (artt. 385 c.p. e 47-ter, co. 8 ord. penit.) commesso dal condannato in stato di detenzione domiciliare allontanandosi dal proprio domicilio, ovvero dal condannato in regime di semilibertà (cfr. art. 51, co. 2 ord. penit.) che si assenti senza giustificato motivo per più di dodici ore dall’istituto penitenziario. L’ammissione a una misura alternativa alla detenzione, infatti, è un presupposto della condotta di evasione.
Potrà invece essere aggravato ai sensi dell’art. 61 n. 11-quater c.p. il delitto non colposo, diverso da quello di evasione e con questo concorrente – ad es., la rapina –, commesso da chi si allontana dal luogo in cui è stato di detenzione domiciliare, ovvero da chi, essendo in stato di semilibertà, non rientra per tempo nell’istituto.
Non è forse inutile precisare, peraltro, che l’aggravante in esame non postula necessariamente la commissione del delitto di evasione, ben potendo chi è sottoposto a una misura alternativa commettere un delitto non colposo – quale che sia – senza al contempo realizzare un fatto di evasione: si pensi, per tutti, al caso di, trovandosi in stato di detenzione domiciliare, maltratti o uccida nel domicilio una persona convivente.
7. Rapporti con la recidiva aggravata ex art. 99, co. 2, n. 3 c.p.
Ogniqualvolta un soggetto abbia commesso un delitto non colposo durante il periodo di ammissione a una misura alternativa alla detenzione, conseguente a una condanna definitiva per un altro delitto non colposo, si pone il problema del concorso, reale o apparente, tra l’aggravante di cui al n. 11-quater e la recidiva aggravata ex art. 99, co. 2, n. 3, che riguarda, tra l’altro, l’ipotesi in cui il recidivo commetta un delitto non colposo “durante l’esecuzione della pena”. Da un lato, infatti, la recidiva, al pari dell’aggravante in esame, riguarda (dopo la riforma del 2005) i soli delitti non colposi; dall’altro lato, le misure alternative alla detenzione rappresentano indubbiamente modalità di “esecuzione” della pena ai sensi dell’art. 99, co. 2, n. 3 c.p.
Tale problema ci sembra debba essere risolto, ai sensi della regola stabilita per il concorso apparente di circostanze dall’art. 68, co. 1 c.p., nel senso dell’applicazione, nell’ipotesi considerata, della sola aggravante della recidiva, che comporta un aumento di pena maggiore (fino alla metà) e “comprende in sé” l’altra, della quale assorbe l’intero disvalore.
Se tale soluzione è corretta, l’ambito applicativo della nuova aggravante comune, parzialmente sovrapponibile a quello della recidiva aggravata ex art. 99, co. 2, n. 3 c.p., risulta significativamente eroso. La nuova aggravante potrà infatti trovare applicazione, in ultima analisi, nelle due seguenti ipotesi:
a) quando la misura alternativa alla detenzione, durante l’esecuzione della quale viene commesso un delitto non colposo, consegue alla condanna per un precedente delitto colposo o per una contravvenzione: in questo caso la recidiva, che presuppone la commissione di un delitto non colposo dopo la commissione di un altro delitto non colposo, è senz’altro fuori gioco;
b) quando il giudice ritenga di non applicare la contestata aggravante della recidiva. In questo caso, infatti, non si porrà il problema del concorso tra le due aggravanti in esame, e dovrà trovare applicazione quella prevista dal’art. 61 n. 11-quater c.p. A un esito opposto – applicazione obbligatoria della recidiva ed esclusione, ai sensi dell’art. 68, co. 1 c.p., dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 11-quater c.p. – si dovrà invece pervenire ogniqualvolta il (secondo) delitto non colposo commesso dal recidivo è uno di quelli indicati nell’art. 407, co. 2, lett a) c.p.p. (ad es., l’omicidio o l’associazione di tipo mafioso): in tal caso, infatti, l’applicazione dell’aggravante della recidiva è obbligatoria ai sensi dell’art. 99, co. 5 c.p.