ISSN 2039-1676


09 gennaio 2011 |

Corte EDU, grande camera, sent. 16.12.2010, Pres. Costa, ric. n. 25579/05, A, B e C c. Irlanda

Viola l'art. 8 Cedu la mancata adozione di strumenti normativi idonei a garantire il diritto di interrompere la gravidanza in caso di pericolo per la vita (e non per la mera integrità  fisio-psichica) della gestante

Con l’importante sentenza qui segnalata, e sulla quale ci si riserva di effettuare a breve un approfondimento, la grande camera ha affrontato la questione della compatibilità con la Convenzione delle restrizioni all’interruzione volontaria della gravidanza previste dalle leggi irlandesi, pronunciandosi sul ricorso proposto da tre donne residenti in Irlanda che, proprio in ragione della disciplina particolarmente restrittiva vigente in quel Paese, avevano dovuto recarsi in Inghilterra per abortire.
 
Dopo aver respinto le doglianze fondate sugli artt. 2 e 3 Cedu, la Corte ha analizzato la vicenda sotto l’angolo visuale dell’art. 8 della Convenzione, giungendo a conclusioni differenziate per le prime due ricorrenti, da un lato, e per la terza ricorrente, dall’altro.
 
Quanto alle prime due ricorrenti, la grande camera ha preso in esame la norma suddetta nella sua dimensione negativa (id est, come fonte di obblighi di astensione per lo Stato), per valutare se le restrizioni previste dalle leggi irlandesi in tema di interruzione volontaria della gravidanza costituissero un’interferenza legittima, necessaria e proporzionata al diritto al rispetto alla vita privata e familiare sancito da detta norma. Essa ha ritenuto che, non avendo la gravidanza posto in pericolo la vita delle prime due ricorrenti, tali restrizioni fossero compatibili con la Convenzione: la scelta effettuata dalle autorità irlandesi di non ammettere l’aborto in caso di mero pregiudizio per l’integrità fisio-psichica della gestante, ma solo in caso di rischio per la vita della stessa, è compatibile con l’art. 8 della Convenzione, poiché essa rientra nell’ampio margine di apprezzamento riconosciuto in materia agli Stati membri. Margine di apprezzamento che non può venire in alcun modo ridotto dalla considerazione che quasi tutti gli Stati firmatari prevedono una disciplina dell’interruzione volontaria della gravidanza assai meno restrittiva di quella irlandese, la quale non riconosce nel pregiudizio per la salute della donna una delle cause che legittimano l’aborto.
 
La grande camera ha, invece, ravvisato una violazione dell’art. 8 Cedu nella sua dimensione positiva – come fonte di obblighi di intervento per le autorità statali – in riferimento alla terza ricorrente, che, in via di guarigione da un cancro e ignara di essere incinta, si era vista prospettare dai sanitari il rischio di recidiva del tumore proprio a causa della gravidanza. La decisione della Corte è stata motivata dalla mancata attuazione, a livello di legge ordinaria, dell’art. 40 della Costituzione irlandese, che pure riconosce il diritto alla vita della donna e impone che esso venga garantito dalle leggi dello Stato.
 
Dalla pronuncia in commento pare, dunque, di potersi ricavare il principio per cui gli Stati membri godono di un amplissimo margine di apprezzamento in materia di aborto, il cui unico limite – per quel che concerne la compressione dei diritti della donna – va ravvisato nell’obbligo per le autorità statali di ammettere l’interruzione della gravidanza nel caso in cui questa comporti un pregiudizio (non per l’integrità psico-fisica ma) per la vita della gestante.