16 settembre 2014 |
Derubricazione del reato e oblazione: l'imputato come novello Nostradamus?
Nota a Cass., Sez. un. pen., 26 giugno 2014 (dep. 22 luglio 2014), n. 32351, Pres. Santacroce, Est. Macchia, Ric. Tamborrino
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Abstract. Il comma 4-bis dell'art. 141 disp. att. c.p.p., introdotto dall'art. 53 della legge 16 dicembre 1999 n. 479 (cd. Carotti), dispone, in ossequio a quanto deciso dalla Corte costituzionale con sentenza n. 530 del 1995, che "in caso di modifica dell'originaria imputazione in altra per la quale sia ammissibile l'oblazione, l'imputato è rimesso in termini per chiedere la medesima. Il giudice, se accoglie la domanda, fissa un termine non superiore a dieci giorni, per il pagamento della somma dovuta. Se il pagamento avviene nel termine il giudice dichiara con sentenza l'estinzione del reato."
Si è ritenuto in giurisprudenza che questa disposizione, mentre opera in presenza di una modifica della contestazione da parte del pubblico ministero, non può trovare applicazione di fronte a una diversa qualificazione giuridica del fatto da parte del giudice. Allorché la derubricazione configuri una contravvenzione punita con la sola ammenda, l'imputato può essere privato del diritto di accedervi, qualora non abbia cautelativamente proposto l'istanza prima delle conclusioni del p.m.? Le Sezioni unite rispondono affermativamente con una decisione che lascia aperti vari interrogativi e secondo la quale l'imputato cui sia stato contestato un reato non suscettibile di oblazione e che ritenga non corretta la qualificazione giuridica del fatto ha l'onere di formulare tempestivamente la relativa istanza, restandogli preclusa la facoltà di essere ammesso al beneficio qualora il giudice in sentenza dia al fatto una qualificazione che ne consentirebbe l'applicazione.
SOMMARIO: 1. Un antico formalismo. - 2. La questione controversa e la rimessione. - 3. Le Sezioni unite: il clou della motivazione. - 4. A confronto con la Corte EDU. - 5. De minimis.