ISSN 2039-1676


16 aprile 2015 |

Come interpretare la nozione di "quasi flagranza" legittimante l'arresto? La questione al vaglio delle Sezioni Unite

Cass. pen., Sez. V, ord. 18 febbraio 2015 (dep. 24 marzo 2015), n. 12282, Pres. Lombardi, Rel. Guardiano

 

1. La Quinta Sezione penale della Cassazione ha sottoposto al massimo Collegio una questione relativa all'esatto significato da attribuire alla nozione di "quasi flagranza", detta anche flagranza impropria o indiziaria[1]: si tratta - come noto - di una delle forme dello "stato di flagranza" descritte dall'art. 382, comma 1, c.p.p., requisito indefettibile per procedere all'arresto, obbligatorio (art. 380 c.p.p.) o facoltativo (art. 381 c.p.p.), dell'autore di un reato[2].

Nel caso di specie, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Locri non convalidava l'arresto operato pochi giorni prima dalle Forze dell'ordine a carico di un indagato per lesioni personali aggravate. Posto che all'individuazione dell'autore del gesto delittuoso si era giunti solo in forza delle dichiarazioni della persona offesa e la perquisizione personale e locale presso l'abitazione dell'indagato non aveva fatto rilevare alcuna traccia del reato, il giudice concludeva per l'insussistenza del requisito della "quasi flagranza" e per l'illegittimità dell'arresto.

Avverso l'ordinanza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica, deducendo inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e inosservanza delle norme processuali.

Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, tuttavia, chiedeva il rigetto del ricorso, ritenendo che, tra i diversi orientamenti emersi nella giurisprudenza di legittimità, era da preferire quello fatto proprio dal giudice per le indagini preliminari: configurare lo stato di "quasi flagranza" avrebbe condotto, infatti, a un apprezzamento di elementi probatori estranei alla ratio dell'istituto, il quale si caratterizza per un'immediata, autonoma e diretta percezione da parte degli agenti operanti delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l'indiziato[3].

 

2. La Quinta Sezione ha preso atto che sulla questione si sono consolidati due orientamenti giurisprudenziali.

Secondo un primo indirizzo, lo stato di "quasi flagranza", che rende legittimo l'arresto, non sussiste quando la polizia giudiziaria abbia appreso i fatti non direttamente, ma dalla denuncia della persona offesa e abbia proceduto all'inseguimento dell'indagato solo dopo la consumazione dell'ultima frazione della condotta delittuosa[4]. Non vale a configurare tale status neppure l'ipotesi in cui si sia proceduto all'inseguimento del sospettato dopo un lasso di tempo significativo, utilizzato per raccogliere informazioni dalla stessa persona offesa o da altri soggetti o, ancora, dichiarazioni confessorie dello stesso accusato[5]. L'eccezionale attribuzione, ai sensi del comma 3 dell'art. 13 Cost., a soggetti diversi dall'autorità giudiziaria del potere di privare della libertà un individuo, non può che trovare giustificazione nella altissima probabilità della colpevolezza dell'arrestato. Così, il lemma "inseguire", denotante l'azione del "correre dietro chi fugge", e l'ulteriore requisito cronologico di immediatezza, "subito dopo il reato", richiesto dall'art. 382 c.p.p., postulano la necessaria «correlazione funzionale tra la diretta percezione dell'azione delittuosa e la privazione della libertà del reo fuggitivo» (pag. 8).

In altri termini, se l'inseguimento da parte delle Forze dell'ordine ha avuto inizio - come nel caso in esame - «non già a seguito e a causa di una diretta percezione dei fatti, ma per effetto e solo dopo l'acquisizione di informazioni da parte di terzi», ciò non vale a considerare l'indagato in "quasi flagranza" di reato[6].

Nella giurisprudenza di legittimità si registra, tuttavia, un orientamento di segno diametralmente opposto, secondo il quale la condizione di "quasi flagranza" «ricorre quando la polizia giudiziaria abbia proceduto all'arresto in esito a ricerche immediatamente poste in essere non appena avuta notizia del reato, anche se non subito concluse ma protratte senza soluzione di continuità»[7].

La nozione di inseguimento del reo, quindi, deve essere intesa in senso più ampio di quello strettamente etimologico di attività di chi corre dietro, tallona e incalza, a vista, la persona che fugge: tale nozione esprime un concetto comprensivo anche dell'attività di indagine immediatamente posta in essere che, seppur non subito conclusa, si protrae senza soluzione di continuità, sulla scorta degli elementi acquisiti ovvero delle indicazioni delle vittime, dei correi o di altre persone a conoscenza dei fatti[8].

 

3. La persistenza del contrasto ermeneutico, alla luce dell'inviolabilità del diritto fondamentale della libertà personale[9], ha reso necessario - ad avviso del giudice rimettente - l'intervento regolatore del massimo Collegio. Questi dovrà evidentemente chiarire il modo in cui vanno intesi i due elementi che risultano fondamentali nella costruzione della "quasi flagranza": da un lato, l'inseguimento del reo da parte dei soggetti titolari del potere di arresto (ufficiale o agente di polizia giudiziaria o privato cittadino) e, dall'altro lato, la percezione dell'azione delittuosa.

 


[1] F. Caprioli, Indagini preliminari e udienza preliminare, in G. Conso-V. Grevi-M. Bargis, Compendio di procedura penale, 7ª ed., Padova, 2014, 550. Nella "quasi flagranza" la percezione sensoriale del reato è sostituita dalla percezione diretta di fattori di evidenza probatoria tale da consentire un immediato e inequivoco riferimento a una condotta criminosa appena perpetrata e al suo autore (cfr., in tal senso, K. La Regina, Arresto in flagranza, fermo di indiziato di delitto e doveri della polizia giudiziaria, in Dir. pen. proc., 2014, 1047).

[2] V. amplius, K. La Regina, L'udienza di convalida dell'arresto in flagranza o del fermo: dal genus alla species, Padova, 2011, 133 ss.; per una ricostruzione storica dell'istituto, L. Filippi, L'arresto in flagranza nell'evoluzione normativa, Milano, 1990.

[3] Così, tra le altre, Cass. pen., Sez. V, 1 settembre 1999, n. 3032, Carrozzino, in Cass. pen., 2000, 3064; nonché, Cass. pen., Sez. I, 17 marzo 1997, n. 6642, P. m. in proc. Palmarini, in C.E.D. Cass., n. 207085, che esclude la flagranza «in caso di mera, seppur verosimile, confessione di reato poco prima commesso, non accompagnata dall'evidente collegamento delle tracce percepibili con la persona del reo». Per un approfondimento, v. F. Casa, voce Flagranza, in Dig. disc. pen., III Agg., I, Torino, 2005, 518 ss.

[4] V. Cass. pen., Sez. VI, 28 maggio 2010, n. 20539, P. m. in proc. R.G., in C.E.D. Cass., n. 247379.

[5] Cfr. Cass. pen., Sez. V, 19 maggio 2010, n. 19078, Festa, in C.E.D. Cass., n. 247248. In tal senso anche, Cass. pen., Sez. II, 24 febbraio 2006, n. 7161, P. m. in proc. Morelli, in Arch. n. proc. pen., 2007, 247.

[6] Recentemente, Cass. pen., Sez. I, 16 ottobre 2014, n. 43394, P. m. in proc. Q.R., in C.E.D. Cass., n. 260527; Cass. pen., Sez. IV, 5 aprile 2013, n. 15912, P. m. in proc. Cecconi, ivi, n. 254966; Cass. pen., Sez. III, 27 settembre 2011, n. 34918, P. m. in proc. Z.C., ivi, n. 250861.

[7] Cfr. in tal senso, Cass. pen., Sez. I, 22 febbraio 2012, n. 6916, V.F., in C.E.D. Cass., n. 252915.

[8] In tal senso, Cass. pen., Sez. II, 16 dicembre 2010, n. 44369, Califano, in C.E.D. Cass., n. 249169; Cass. pen., Sez. I, 6 luglio 2006, n. 23560, P. m. in proc. Dottore, in Arch. n. proc. pen., 2007, 654, secondo la quale non è indispensabile la coincidenza tra il momento iniziale della fuga e quello in cui comincia l'inseguimento, purché l'arresto non intervenga dopo la cessazione della fuga o dopo che sia terminato l'inseguimento.

[9] Nel senso di ritenere la "flagranza" un limite costituzionale ai poteri coercitivi della polizia giudiziaria, O. Forlenza, Multe se la società "risparmia" sugli steward, in Guida dir., 2010, 47, 39.