ISSN 2039-1676


9 dicembre 2015 |

Per Guido Galli: in ricordo di un Maestro

Le parole scritte da Adolfo Ceretti, che di seguito pubblichiamo, sono state pronunciate il 21 marzo 2014 in occasione di un incontro organizzato dall'Associazione Nazionale Magistrati (Sezione di Milano), e pensato come una sorta di orazione civile collettiva per Guido Galli ed Emilio Alessandrini, e per tutte le vittime del terrorismo. L'orazione collettiva ha coinvolto alcune persone (Livia Pomodoro, Gad Lerner, Armando Spataro, Milena Gabanelli, Giuseppe Tarantola, Umberto Ambrosoli, Ferdinando Pomarici, Moni Ovadia, Adolfo Ceretti, Rosario Di Gioisa) che sono state invitate a  leggere, recitare, condividere con il pubblico la loro idea di questi "Uomini Giusti".

Nel pubblicare l'intervento del Prof. Adolfo Ceretti, illustre criminologo che di Guido Galli, docente di Criminologia nell'Università Statale di Milano, è stato allievo, la nostra Rivista intende portare un contributo e un omaggio alla memoria di Guido Galli, che venerdì prossimo, 11 dicembre, alle 17, con una cerimonia pubblica presso l'Univeristà stessa (presso la Sala Napoleonica di Via S. Antonio, 10), sarà premiato come 'laureato benemerito' dall'Associazione dei Laureati in Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano. Il programma e la locandina dell'incontro sono accessibili attraverso la notizia segnalata sul margine destro di questa pagina. 

Con l'occasione noi tutti di Diritto Penale Contemporaneo ci stringiamo attorno alla famiglia Galli, colpita nei giorni scorsi da un improvviso lutto per la scomparsa della Sig.ra Bianca Berizzi Galli, moglie di Guido Galli, donna straordinaria che per oltre trent'anni ha retto la sua famiglia e portato con dignità il peso e la testimonianza di un atroce atto di terrorismo.

(Gian Luigi Gatta)

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But to live outside the law you must be honest.

Bob Dylan, 1966

 

A che cosa stava pensando il Prof. Guido Galli alle ore 16.50 del 19 marzo del 1980? Me lo sono chiesto tante volte. Certamente troppe. E continuo a chiedermelo. Ero stato un suo studente. Avevo seguito il suo corso di Criminologia. Entusiasta dei suoi insegnamenti gli avevo chiesto di seguirmi, come Relatore, nella stesura della mia tesi di laurea. La distanza che in quegli anni separava i Docenti dagli studenti era ancora siderale. Ma con lui, e pochi altri, si poteva parlare e ragionare senza troppe sovrastrutture - rispolverando il linguaggio di allora - sui temi che già appassionavano me e i miei compagni di corso.

"I giovani non hanno bisogno di sermoni. Hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo". Così ammoniva Sandro Pertini nel suo discorso di fine anno, il 31 dicembre 1978, pochi mesi dopo la sua elezione a Presidente della Repubblica. E per tutti i suoi studenti Guido Galli era un esempio di onestà, di coerenza e di altruismo, che tracimavano durante le sue lezioni. In ogni sua lezione.

Proprio quell'anno, precisamente nel mese di aprile del 1978, Raffaello Cortina aveva pubblicato un suo volume intitolato La politica criminale in Italia negli anni 1974-1977. Questo libro raccoglieva i pensieri che il nostro Professore ci aveva donato in quell'anno accademico. Chiunque abbia avuto la fortuna di leggerlo può confermare come, in controluce, le tre "virtù" che ho nominato emergano in ogni pagina. Cito dalla premessa: "Viviamo, certo, tempi scuri: ma gli strumenti per uscirne non devono essere totalmente inidonei alla difesa delle istituzioni e della vita dell'individuo; od indiscriminatamente compressivi della libertà individuale, in nome di 'ragioni di emergenza' il cui sbocco frequente ci è purtroppo ben noto".

Guardava e vedeva lontano, Guido Galli. Vedeva e ci insegnava "come in tempi e terreni tanto fertili per l'espandersi della criminalità ... assai poco possa una 'politica criminale' che si esprime in modo incerto, tardivo, contraddittorio ed episodico, attraverso scelte che troppe volte risentono di fattori emozionali e appaiono rimedi velleitari"In questa frase ritrovo un'intuizione che sarà sviluppata solo vent'anni più tardi da David Garland, Professore di Criminologia nella New York University e probabilmente uno dei più brillanti studiosi viventi di questa disciplina. Dovendo definire l'incurvatura che la politica criminale ha assunto nei Paesi anglosassoni e poi negli altri Paesi Occidentali agli inizi del millennio, Garland sottolinea come i Governi tendano sempre più a ricorrere a provvedimenti legislativi o a politiche che diano alla gente l'illusione che si stia facendo qualcosa contro il dilagare del crimine. Si tratta di misure che riguardano temi cruciali, dal punto di vista simbolico, della penalità. Ma si tratta per lo più di risposte "populiste" che tendono a essere emotive, catartiche e regressive, che tendono a manipolare le emozioni collettive per il proprio tornaconto politico, al fine di rassicurare un pubblico spaventato.

Oggi - se fosse qui con noi - quali opinioni avrebbe, allora, Guido Galli delle politiche penali, del ruolo in cui gran parte del mondo politico cerca di iscrivere la magistratura, del destino che ha avuto la questione carceraria - non dimenticherò mai le sue lezioni sull'individualizzazione del trattamento penitenziario -, delle diseguaglianze sociali, delle umiliazioni che quotidianamente uomini e donne socialmente vulnerabili devono patire per sopravvivere in questo mondo?

Scrive Martha Nussbaum: "Noi umani abbiamo bisogno della legge precisamente perché siamo vulnerabili a ferite e lesioni di molti tipi...". Sono convinto che Galli avrebbe condiviso questa concezione della legge, soprattutto perché si rivela un vettore di senso per ridare fiato a un progetto di fraternità aperto e inclusivo, in un'epoca in cui tutti gli uomini sono accomunati dalla condivisione della propria vulnerabilità e debolezza di fronte alle minacce da essi stessi prodotte, e da quel rischio supremo e definitivo che è l'autodistruzione. In tutta l'umanità dei magisteri di Galli, nei suoi dolci sorrisi tibetani - come li ho timidamente definiti alcune volte dialogando con Alessandra, una delle sue figlie - c'era, in nuce, un suggerimento a pensare la questione criminale dentro a una visione più ampia della società, chiamata già allora - perché dilaniata da conflitti laceranti - a rompere ogni forma di isolamento solipsistico e a riattivare il desiderio del legame comunitario.

Oggi sono propenso a credere - consapevole che è una posizione minoritaria - che solo una reciprocità che comporta uno sporgersi verso l'altro e che trova un riferimento simbolico nel dispositivo del dono può darci la possibilità di uscire dall'autoaffermazione narcisistica che contraddistingue la tarda modernità, e che induce a relazioni apatiche e strumentali, all'utile individuale. Non ne sono certo, ma credo, nel profondo, che il mio interesse per lo studio del dono, inteso come la forma originaria dello scambio che sfugge alla logica mercantile, e indicato come un nuovo paradigma teorico e operativo per orientare le relazioni tra le persone - anche nel campo della giustizia -, sia nato proprio nell'aula 309 di via Festa del Perdono.

La forza del dono sta nel porsi a uguale distanza dall'interesse e dalla gratuità. Si distanzia dalla logica utilitaristica spezzando l'equilibrio perfetto del contratto su cui si regge l'economia di mercato. Chi dona si aspetta di essere ricambiato, intende instaurare relazioni che esigono forme di reciprocità e, in tal modo, si affida all'altro assumendosi il rischio, l'incertezza di non essere ricambiato. Il dono è dunque un atto di fiducia nella possibilità di costruire forme di legame e di fraternità. Che la fiducia sia stata bene o mal riposta è il rischio dell'affidarsi, ma è un rischio che vale la pena di correre perché consente di volgere lo sguardo altrove, fuori da sé.

A che cosa stava pensando il Prof. Guido Galli alle ore 16.50 del 19 marzo del 1980? Naturalmente non lo so e non lo saprò mai. Dialogando con me stesso ho però provato a mettere a fuoco alcuni pensieri, alcune rappresentazioni, alcuni concetti che associo, nel ricordo, alla sua persona.

Per chiudere desidero dare un abbraccio anche a Marco Alessandrini. Non ho mai incontrato Tuo padre, Marco. Insieme, Tu, io e altri amici abbiamo avuto l'occasione, però, di confrontarci in più occasioni su temi riguardanti la criminalità, la società e la politica. Voglio naturalmente condividere anche con Te questi miei pensieri.