ISSN 2039-1676


14 marzo 2011 |

L'attività di gestione di rifiuti in violazione delle prescrizioni del provvedimento di autorizzazione (art. 256, c. 4 del D. Lgs. 152/06) tra "mera condotta" e "pericolo astratto"

Nota a Cass. pen., sez. III, 02.02.2011 (dep. 21.02.2011), n. 6256; Pres. Teresi, Est. Ramacci, ric. Mariottini

Con la sentenza che può leggersi in allegato la Corte di Cassazione, Sez. III, torna ad affermare che l’inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione necessaria allo svolgimento di attività di gestione di rifiuti, punita all’art. 256 c. 4 del D. lgs. n. 152/06,integra un reato formale, per la cui realizzazione non occorre che la condotta sia idonea alla creazione di una “situazione di concreto pregiudizio per il bene giuridico protetto”.

 

Nel caso di specie, gli imputati venivano condannati in primo grado per aver eseguito un trasporto di rifiuti non pericolosi in assenza della dovuta copertura del carico e senza disporre della copia autentica del provvedimento di iscrizione all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la raccolta e il trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi.

 

L’accertamento del giudice di merito aveva quindi ad oggetto due condotte che, seppur unite nella rilevanza penale sub specie di “inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione”, si presentavano distinte sul piano dei fatti, attenendo la prima direttamente al fenomeno dell’inquinamento, e la seconda, invece, all’osservanza delle regole amministrative. Rispetto ad entrambe le condotte gli imputati ricorrevano in Cassazione lamentando la mancata valutazione della loro inidoneità a provocare lesioni ambientali.

 

Nel rigettare il ricorso, con la sentenza annotata la Cassazione sottolinea la natura di reato di mera condotta previsto dall’art. 256 c. 4 del D. lgs. n. 152/06, e ricorda la rilevanza del bene strumentale del controllo amministrativo al fine della tutela ambientale, per escludere la necessità di un rapporto diretto tra la condotta incriminata e la lesione al bene ambientale finale.

 

La sentenza si pone così sulla scia di alcuni precedenti conformi che negano rilievo all’“idoneità della condotta a recare concreto pregiudizio al bene finale” (Cass. Pen. Sez. III, 14.03.2007, n. 15560) e sottolineano il ruolo di controllo “del rispetto della normativa e dei correlati standards” sotteso alle autorizzazioni previste nel settore ambientale (ad es., Cass. Pen. Sez. III, 13.04.1996, n. 3589).

 

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Centrale rispetto alla sentenza in esame è il problema dell’offensività e dell’individuazione dei beni immediatamente e mediatamente attinti dall’offesa nel settore diritto penale dell’ambiente.

 

Consolidata da tempo l’idea della necessità di un’offesa a un bene giuridico meritevole di tutela per la configurazione di un reato, la Corte Costituzionale ha più volte affrontato il problema del rispetto del principio di offensività nei reati a tutela anticipata (frequentissimi in materia ambientale), affermando la legittimità di fattispecie di pericolo astratto, purché la valutazione legislativa della pericolosità di una classe di comportamenti non sia arbitraria e irrazionale (c.d. offensività in astratto) ed il giudice eviti di applicare la norma penale a fatti del tutto privi di potenzialità lesiva (c.d. offensività in concreto), (cfr. ad esempio, C. Cost. n. 333/1991, n. 265/2005, n. 225/2008).

 

Nei reati ambientali, tuttavia, è proprio la natura del danno, risultato della somma di comportamenti ripetuti e seriali, a rendere obbligata la scelta di prescindere dall’idoneità lesiva del singolo fatto. Nondimeno, senza arrivare a trasformare i reati ambientali di pericolo astratto in reati di pericolo concreto, da più parti è stata sottolineata la necessità di un recupero di offensività concreta, ad esempio ammettendo che l'imputato superi la presunzione del legislatore offrendo prova negativa.

 

Le valutazioni della difesa volte ad escludere l’offensività rispetto alla concreta condotta vengono disattese nella sentenza in esame, affermando che il requisito della lesività è legato alla “struttura stessa della norma”. Più in generale, in materia di gestione illecita di rifiuti, la giurisprudenza di legittimità ha escluso di poter applicare in funzione di filtro della rilevanza penale il principio di offensività, secondo lo schema consolidato in tema di falso grossolano o di calunnia ictu oculi inverosimile (cfr. Cass. pen. sez. III, 27.09.2007, n. 35621, Cass. pen., sez. III, n. 12374/2005: in questo caso di abbandono di rifiuti la difesa segnalava come indice di inoffensività l'occasionalità della condotta, e la Corte rispondeva che “l'abbandono di rifiuti, anche occasionale (…) non è considerato dal legislatore fatto inoffensivo”).

 

Nel caso in esame, il mancato rispetto della prescrizione di coprire i rifiuti durante il trasporto mantiene un rapporto, seppur lontano, con il bene tutelato, e sembra quindi rispettare il cuore dell’offensività in astratto. Decisamente più problematica invece l’altra condotta posta in essere avente ad oggetto la copia autentica dell’iscrizione all’Albo nazionale, tipizzata con riferimento al bene intermedio del controllo amministrativo e senza relazione con il bene finale.

 

Gli illeciti penali in materia di ambiente, infatti, non sempre tipizzano condotte che, per quanto lontane, rendono comunque intelligibile un rapporto con il bene finale (come la mancata copertura dei rifiuti durante il trasporto), ma spesso sanzionano il mancato rispetto di norme amministrative di controllo  di natura puramente formale e sono strutturati secondo diversi modelli di c.d. accessorietà al diritto amministrativo. Sotto questo profilo, va segnalato che l’art. 256 c. 4 del d. lgs. 152/2006 è stato definito dalla Sezione III della Corte di Cassazione, una “norma penale in bianco” e un esempio della c.d. “amministrativizzazione del diritto penale” (Cass. Pen. Sez. III, 27 marzo 2008, n. 20277).

 

Sotto questo profilo discutibile appare dunque la decisione della S.C. di disattendere la tesi difensiva sull’inesistenza di un’offesa in mancanza di una copia autentica dell’iscrizione regolare all’Albo, ancorché si tratti di una soluzione conforme agli orientamenti consolidati della Corte (cfr. ad es.  Cass. pen. sez. III, 15.12.2010, n. 3881, in cui addirittura il reato de quo era stato ravvisato in un’ipotesi in cui l’imputato aveva effettuato il trasporto dei rifiuti  avendo a disposizione solo la copia fotostatica dell’autorizzazione).