ISSN 2039-1676


16 marzo 2011 |

L'Unione europea estende le misure restrittive alle istituzioni finanziarie libiche

Congelamento dei beni a livello UE e possibili conseguenze nell'ordinamento italiano

1. Dopo aver non poco esitato a causa del profondo intreccio di interessi economici creatosi tra diversi paesi europei ed il dinamismo finanziario del regime libico, l'Unione europea ha rotto gli indugi. Il Consiglio, riunito il 10 marzo 2011 in sessione straordinaria, ha deciso di estendere alle istituzioni finanziarie libiche le misure restrittive già adottate nei confronti di Gheddafi, dei membri della sua famiglia e di primari esponenti del regime.
 
Con la Decisione 2011/156/PESC ed il Regolamento (UE) n. 233/2011 del 10 marzo 2011,  il Consiglio dell’Unione europea ha infatti disposto il ‘congelamento’ degli assets controllati dalla Libyan Investment Authority (LIA) e dalla Lybian Arab Foreign Investment Company (LAFICO), nonché dalla Banca centrale libica e da altre tre società sospettate di essere «controllate da Mu’ammar Gheddafi e dalla sua famiglia e potenziali fonti di finanziamento del regime». In ragione della sua stretta associazione con il regime, il congelamento dei fondi e delle risorse economiche è stato esteso ad un’altra persona fisica – la ventisettesima – Mustafa Zarti, cittadino austriaco e vicepresidente del Consiglio di amministrazione della LIA, nonché membro del comitato esecutivo della National Oil corporation, presidente della società petrolifera Tamoil e vicepresidente della Firs energy bank nel Bahrein.
 
La Decisione ed il Regolamento del 10 marzo 2011 implementano la Decisione del Consiglio 2011/137/PESC del 28 febbraio 2011 ed il Regolamento (UE) n. 204/2011 del 2 marzo 2011, con i quali il Consiglio dell’Unione europea aveva già adottato una serie di misure restrittive nei confronti di Gheddafi, della sua famiglia e delle altre persone coinvolte nelle gravi violazioni dei diritti dell’uomo e negli attacchi perpetrati ai danni delle popolazioni civili, quali l’embargo sulla fornitura di armamenti e altro materiale bellico (art. 1), il divieto di ingresso o di transito nel territorio degli Stati membri delle persone indicate nella black list (art. 5), ed infine il congelamento dei fondi e delle risorse economiche a queste ultime riconducibili (art. 6).
 
Per quanto riguarda in particolare il congelamento dei fondi e delle risorse economiche, l’Unione europea non si è limitata a trasporre la black list adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con la Risoluzione 1970 del 26 febbraio 2001, e limitata a Gheddafi e al nucleo ristretto della sua famiglia (allegato III della Decisione 2011/137/PESC). In virtù dei poteri attribuiti dall’art. 29 del Trattato sull’Unione europea (TUE) e dall’art. 215 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il Consiglio dell’Unione europea ha esteso il congelamento dei fondi e delle risorse economiche a figure apicali del regime libico, come il ministro della difesa, il comandante delle forze armate ed i responsabili dei Comitati rivoluzionari, direttamente implicati negli atti di violenza perpetrati nelle ultime settimane contro la popolazione civile (allegato IV della Decisione 2011/137/PESC).
 
 
2. Il sistema delle black lists, nella sua particolare articolazione tra ordinamento internazionale ed europeo, è ai più noto per aver generato uno dei più interessanti contenziosi della storia dell’integrazione europea, cristallizzato dalla sentenza Kadi della Grande Sezione della Corte di giustizia (Cause riunite C-402/05 e C-415/05, 3 settembre 2008). Con tale sentenza, la Corte di giustizia, obliterando l’orientamento precedentemente espresso dal Tribunale di primo grado, ha affermato che i principi fondamentali dell'Unione europea, in particolare quelli che garantiscono sfere soggettive individuali, costituiscono un limite a qualsiasi atto comunitario, sia pure adottato in attuazione di risoluzioni del Consiglio di sicurezza. Il regolamento contestato non assicurava infatti all'individuo alcuna tutela giurisdizionale nei confronti delle misure restrittive applicate dal Consiglio e determinava una interferenza sproporzionata sul godimento del diritto di proprietà privata. Inoltre, la Corte di Giustizia ha sottolineato che l’esigenza di un controllo giurisdizionale ad opera dei giudici europei è vieppiù necessario in ragione dell’assenza nell’ambito dell’ordinamento delle Nazioni Unite di forme di controllo sulla legalità delle misure restrittive adottate nei confronti di singoli individui rispettose dei diritti fondamentali.
 
A distanza di quasi tre anni dalla sentenza Kadi, il quadro normativo delle misure restrittive individuali disposte da organismi internazionali si è modificato, tanto nell’ordinamento delle Nazioni Unite quanto nell’ordinamento dell’Unione europea, al fine di rafforzare il sistema delle garanzie applicabili ai destinatari delle misure. Con la risoluzione 1904 del 17 dicembre 2009, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha introdotto, in materia di terrorismo internazionale, la procedura di radiazione dalle black list con il coinvolgimento di una nuova figura ­– Il Mediateur o Ombudsperson – dotato di una certa (ancorché insufficiente) terzietà rispetto al Comitato delle sanzioni, a cui è affidata la gestione delle black list.
 
Nell’ambito dell’Unione europea, il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha innanzitutto previsto una diversa procedura di adozione delle misure restrittive di natura patrimoniale sulla base della loro fondamento giustificativo (co-decisione, e quindi coinvolgimento del Parlamento europeo, per le misure restrittive di prevenzione o contrasto del terrorismo adottate ex art. 75 TFUE; maggioranza qualificata per le misure restrittive adottate ex art. 215 TFUE in caso di interruzione o riduzione delle relazioni economiche e finanziarie con uno o più paesi terzi, come nel caso della Libia). I due dispositivi, distinti solo teleologicamente e non materialmente, ritrovano una disciplina unitaria nell’ambito del  controllo di legalità. L’art. 275 del TFUE introduce infatti una deroga alla regola generale dell’esclusione della competenza della Corte di giustizia in materia di politica estera e sicurezza comune allo scopo di garantire il controllo di legalità delle decisioni che prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche adottate dal Consiglio in base ai propri poteri in materia di politica estera e di sicurezza comune.
 
Le misure restrittive adottate dal Consiglio di Sicurezza e dal Consiglio dell’Unione europea nei confronti di Gheddafi, del suo entourage e delle istituzioni finanziarie da lui controllate costituiscono un primo banco di prova degli effetti di tale rinnovato quadro normativo. Il risultato è senza dubbio la permanenza di un disequilibrio tra le garanzie previste dall’ordinamento internazionale e le garanzie previste dall’ordinamento europeo. A differenza del sistema delle Nazioni Unite, che non prevede per la situazione in Libia alcun controllo di legalità o procedura di revisione dell’iscrizione dei nominativi nella black list, il sistema europeo sembra rifiutare ogni distinzione implicita tra differenti categorie di ‘nemici’, sanguinari dittatori da un lato,  terroristi, nazionali o internazionali, reali o presunti tali, dall’altro, sottoponendo le misure restrittive adottate nei confronti degli uni e degli altri alle stesse garanzie di controllo giurisdizionale. Come già indicato a più riprese dalla Corte di giustizia, e sancito dalla dichiarazione n. 25 annessa al Trattato di Lisbona, nello spazio giuridico europeo il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali «implica, in particolare, che sia prestata la dovuta attenzione alla protezione e al rispetto del diritto al giusto processo delle persone o entità interessate. A tal fine, e per garantire una revisione giudiziaria esauriente delle decisioni che sottopongono una persona o entità a misure restrittive, tali decisioni devono essere basate su criteri chiari e distinti. I criteri dovrebbero essere adeguati alle caratteristiche specifiche di ciascuna misura restrittiva».
 
 
3. Ritornando alle misure restrittive adottate dal Consiglio dell’Unione europea nei confronti delle istituzioni finanziarie libiche, occorre aggiungere in conclusione di questa breve nota qualche parola in merito all’attuazione di tali misure nell’ordinamento italiano.
 
Come è noto, invero, alcune di queste istituzioni finanziarie sono titolari di partecipazioni azionarie nelle principali società italiane (il fondo LIA detiene il 2% di Finmeccanica, l'1% di Eni, il 2,59 di Unicredit, che peraltro si ritrova con un altro 4,6% di capitale controllato dalla Banca centrale libica). Alla luce del Decreto Legislativo 22 giugno 2007, n. 109, che in attuazione  della direttiva 2005/60/CE, disciplina le «misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l'attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale», l’organo competente a dare attuazione alle misure restrittive adottate dalle Nazioni Unite e dall’Unione europea è il Comitato di sicurezza finanziaria. ‘Cabina di regia’ interistituzionale, istituita presso il Ministero del Tesoro, il Comitato di sicurezza finanziaria ha il compito di coordinare l’attività delle diverse (e non poche) amministrazioni competenti in materia, che dovranno procedere direttamente al congelamento dei fondi e delle risorse economiche, così da impedirne «movimentazione,  trasferimento, modifica, utilizzo o gestione dei fondi o di accesso ad essi, così da modificarne il volume, l'importo, la collocazione, la proprietà, il possesso, la natura, la destinazione o qualsiasi altro cambiamento che consente l'uso dei fondi, compresa la gestione di portafoglio» (art. 1, lett. e). Gli effetti del congelamento – che il Decreto legislativo configura come un provvedimento di carattere amministrativo e non giudiziario, ricorribile dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – sono disciplinati dall’art. 5 del Decreto legislativo: i fondi e le risorse economiche sottoposti a congelamento non possono costituire oggetto di alcun atto di trasferimento, disposizione o utilizzo da parte dei soggetti designati e gli atti dispositivi posti in violazione di tale divieto sono affetti da nullità.
 
Il sistema finanziario nazionale è in fibrillazione, mentre il Governo italiano si è dichiarato pronto a dare attuazione alle misure restrittive. Dalle scarse informazioni reperibili in merito, risulta da un comunicato del Ministero del tesoro che il Comitato di sicurezza finanziaria si è già riunito il 5 marzo 2011 per «verificare la corretta applicazione in Italia» delle sanzioni stabilite dall'Unione europea con la decisione del 28 febbraio scorso ed il regolamento del 2 marzo. Lo stesso comunicato avverte che nei prossimi giorni il compito del Comitato «sarà quello di operare per assicurare il costante monitoraggio della situazione e per predisporre l'immediata ed efficace applicazione di eventuali nuove decisioni dell'Unione europea rispetto al congelamento di beni libici negli stati membri».
 
Adesso che i nuovi dispositivi comunitari sono entrati in vigore, non resterà che attendere i provvedimenti con cui le amministrazioni competenti procederanno al congelamento delle partecipazioni azionarie detenute dalle istituzioni finanziarie libiche nelle società italiane. Tuttavia, in ragione della rilevanza strategica, oltreché economica, di queste ultime, nonché della persistente ambiguità della posizione del nostro Governo nei confronti del regime libico anche dinanzi ai crimini di massa che quest’ultimo sta perpetrando dinanzi agli occhi della comunità internazionale, evoluzioni inattese non sono da escludere.