ISSN 2039-1676


29 marzo 2011 |

Sull'applicabilità  dell'art. 517 c.p. ('Vendita di prodotti industriali con segni mendaci') agli oggetti di design

Nota a Cass. pen., sez. III, 2.2.2011 (dep. 21.2.2011), n. 6254, Pres. Teresi, Rel. Ramacci

Con la sentenza che può leggersi in allegato la Suprema Corte si è soffermata sulla fattispecie di vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art. 517 c.p.) in relazione ai c.d. “oggetti di design”.

 

Anzitutto, la Cassazione ha ribadito che, per la configurabilità del reato previsto dall’art. 517 c.p., non sono richiesti la registrazione o il riconoscimento di un marchio né, tantomeno, la sua effettiva contraffazione o la concreta induzione in errore dell’acquirente sul prodotto acquistato, essendo sufficiente la mera attitudine a trarre in inganno il consumatore sulle caratteristiche essenziali del prodotto (v., tra le altre, Cass., Sez. III, 9 giugno 2009 n. 23819).

 

La S.C. ha altresì precisato che il bene giuridico oggetto di tutela non è l’interesse dei consumatori o quello degli altri produttori, ma quello generale attinente all’ordine economico, tanto che la messa in vendita o in circolazione di prodotti con segni mendaci determina, di per sé, una lesione effettiva e non meramente potenziale della lealtà degli scambi commerciali (v. Cass., Sez. III, 15 gennaio 2008 n. 2003).

 

Tali principi trovano, peraltro, riscontro nella collocazione del reato nel codice penale tra i delitti contro l’industria e commercio, diversamente da quelli di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti modelli e disegni (articolo 473 c.p.) e di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (articolo 474 c.p.) inseriti tra i delitti contro la fede pubblica.

 

La questione peculiare affrontata nella sentenza in esame riguarda la configurabilità del reato con riferimento agli oggetti di design, ossia quei “manufatti, prodotti anche in serie, il cui elemento caratterizzante si può dire individuato, principalmente, nel particolare profilo estetico, nelle singolari caratteristiche funzionali o di progettazione ovvero dalle particolari metodologie di lavorazione e produzione applicate”.

 

Rientrano, senz’altro, in tale tipologia, gli oggetti di arredamento appositamente creati da un determinato autore, ancorché conosciuto nell’ambito di un limitato settore quale, nel caso di specie, quello dell’arredamento.

 

In particolare, nel procedimento sottoposto all’esame della Suprema Corte, tale caratteristica qualificante dei prodotti risultava accresciuta dalla presenza degli specifici elementi distintivi, non solo stilistici, quali la numerazione del singolo manufatto prodotto in serie limitata o la sigla con le iniziali dell’autore, elemento, quest’ultimo, che maggiormente può rendere distinguibile l’opera anche per la tipologia del carattere utilizzato e la sua particolare collocazione sull’oggetto. La peculiarità degli oggetti era, inoltre, individuata nella circostanza che le foto di alcuni di essi erano state pubblicate su una nota rivista di arredamento, corredate da una didascalia con indicazione del nome dell’autore.

 

La Suprema Corte è pervenuta quindi alla conclusione che, in relazione a tali prodotti, è correttamente configurabile il delitto di cui all’art. 517 c.p. poiché “gli oggetti cosiddetti di design, la cui produzione si contraddistingue per la stretta correlazione tra aspetti prettamente industriali e sensibilità artistica dell’autore che ne determinano la originalità e la riconoscibilità da parte dei consumatori, ancorché interessati ad uno specifico ambito commerciale, traggono da tale peculiarità il loro segno distintivo che ne consente l’esatta individuazione e, conseguentemente, garantisce la loro originalità e la provenienza da un determinato produttore”.