ISSN 2039-1676


05 luglio 2016 |

Una sentenza storica: condannato in Senegal l'ex dittatore del Ciad Hissène Habré per crimini Internazionali

Camera Africana Straordinaria d'Assise, sent. 30 maggio 2016, Procuratore Generale v. Hissène Habré

Il presente contributo si basa sulla «sintesi delle conclusioni» della Camera Africana Straordinaria d'Assise, di cui è stata data lettura in data 30 maggio 2016. Quando il testo integrale della sentenza, comprensivo delle motivazioni, sarà disponibile, seguirà un commento più approfondito.

Per leggere il «Résumé des Conclusions de la Chambre Africaine Extraordinaire d'Assises Contenues dans le Jugement» qui in commento, clicca sotto su "Download documento".

 

1. Il verdetto. Lo scorso 30 maggio 2016, le Camere Straordinarie istituite in seno alla Corte del Senegal[[1]] si sono pronunciate nei confronti di Hissène Habré, l'ex presidente del Ciad, condannandolo all'ergastolo per crimini contro l'umanità, crimini di guerra e tortura (anche quale crimine autonomo), commessi nel periodo in cui era al potere, tra il 1982 ed il 1990.

I giudici hanno concluso che Habré fosse colpevole, in primo luogo, della repressione degli oppositori politici e di alcune popolazioni del Ciad meridionale, in secondo luogo, delle atrocità inflitte nei confronti dei prigionieri di guerra ed, infine, di varie forme di violenza sessuale commesse nei confronti di numerose detenute.

 

2. L'importanza della sentenza. Si tratta della prima sentenza di condanna di un capo di stato sulla base del principio della giurisdizione universale. Si tratta del diritto/dovere di ogni Stato di processare e condannare o procedere all'estradizione (c.d. aut dedere aut judicare) degli autori di certi crimini, così gravi da essere considerati lesivi della comunità internazionale nel suo complesso, a prescindere dal luogo in cui siano stati commessi e dalla nazionalità della vittima o degli autori - criteri sui quali generalmente gli Stati fondano la giurisdizione delle proprie corti in caso di reati comuni -.

Tale pronuncia costituisce un precedente importante nella continua evoluzione della giustizia penale internazionale, il cui obiettivo è combattere l'impunità - in primo luogo - dei leader militari e politici, quali principali responsabili della commissione dei crimini più gravi,  per crudeltà e numero di vittime, considerati lesivi dell'intera comunità internazionale.

 

3. I crimini accertati. In primo luogo, le Camere hanno accertato che, già nelle settimane successive alla presa di potere da parte di Habré, la Direzione della Documentazione e della Sicurezza Ciadiana (DDS) e la Brigata Speciale di Intervento Rapido (BSIR), il «braccio armato» della DDS, avessero instaurato una vera e propria politica persecutoria volta alla repressione degli oppositori politici e delle popolazioni del Sud del Ciad. Si precisa che, nella ricostruzione della Corte, tali popolazioni furono perseguitate non per motivi etnici o razziali (sono mancate così le basi per la configurabilità del crimine di genocidio), ma in quanto considerate nemiche del regime.

Gli individui sospettati di essere oppositori politici e i membri delle comunità prese di mira furono sottoposti ad esecuzioni sommarie o imprigionati. In un sistema carcerario parallelo a quello ufficiale, i detenuti furono poi costretti a condizioni di vita spaventose, stipati in celle sovraffollate, insalubri, infestate da insetti e privati delle necessarie cure mediche. Furono inoltre vittime di atroci forme di tortura, tra le quali, la c.d. di «abatachar», la c.d. tortura della «baguette», la violenza sessuale (commessa sia nei confronti di uomini che di donne) e la c.d. «dieta nera», consistente nella privazione di acqua e cibo.

Nel corso del processo, è stato dimostrato che la tortura fosse praticata sistematicamente e su larga scala, al punto da poter essere considerata un vero e proprio metodo di governo e conservazione del potere per il regime.

Ritenuta sufficientemente provata la commissione di tali crimini, nell'ambio di un attacco sistematico o generalizzato contro la popolazione civile (elemento di contesto dei crimini contro l'umanità), la Corte ha concluso che gli stessi integrassero sia crimini contro l'umanità - nelle forme di omicidio, commissione sistematica e su larga scala di esecuzioni sommarie, rapimento di persone e sparizione, tortura, stupro e schiavitù sessuale - che tortura, considerata quale crimine autonomo.         

La Corte ha accertato altresì che i soldati di Habré avessero sottoposto i prigionieri di guerra a condizioni di detenzione inumane, identiche a quelle riservate agli oppositori politici e ai membri delle popolazioni perseguitate. La Corte ha qualificato queste condotte come crimini di guerra - nelle forme di omicidio, tortura, trattamenti inumani, detenzione illegale e trattamenti crudeli - commessi in violazione delle Convenzioni di Ginevra del 1949 (nel contesto sia di conflitti interni, sia di conflitti internazionali [[2]]).

La Corte ha infine ritenuto provato che le donne in stato di detenzione avessero sistematicamente subito abusi sessuali, in particolare durante gli interrogatori e che numerose donne fossero state costrette a vivere come schiave sessuali, nei campi militari. Secondo l'interpretazione della Corte, la gravità di queste condotte è stata tale da integrare sia i crimini contro l'umanità di stupro, tortura e schiavitù sessuale, che specifiche forme di manifestazione del crimine autonomo di tortura.

 

4. L'attribuibilità dei crimini a Habré. Accertata la commissione di queste atrocità da parte del regime di Habré, la Corte ha poi esaminato il fondamento della responsabilità personale del leader, differenziando il titolo di responsabilità a seconda del diverso contributo da lui apportato alla commissione dei vari crimini di cui è stato giudicato colpevole.

La Corte ha innanzi tutto ritenuto provato che il dittatore avesse più volte personalmente costretto una donna a rapporti sessuali e fosse quindi individualmente e direttamente responsabile per tale stupro , anche inquadrato quale crimine di tortura. Le Camere hanno poi ritenuto dimostrato che Habré avesse personalmente ordinato, sfruttando la propria posizione di autorità, l'uccisione di due soldati e fosse quindi colpevole di omicidio volontario.  

La Corte ha altresì concluso che sussistessero elementi di prova sufficienti per affermare che le ondate repressive susseguitesi negli anni della dittatura fossero collegate ed orientate alla realizzazione di un disegno comune, consistente nella volontà di reprimere e prevenire ogni opposizione, attraverso l'instaurazione di un regime di terrore, oggetto di una c.d. impresa criminale comune[[3]]. La Corte ha infatti ritenuto che, al fine di realizzare questo comune obiettivo, i membri del regime avessero fatto ricorso in modo concordato ad omicidi, esecuzioni sommarie e sistematiche, sequestri, rapimenti, torture ed in generale, ad atti inumani. Al contrario, i giudici hanno escluso che la commissione dei crimini di stupro e schiavitù sessuale fosse parte del piano comune; tuttavia, tali crimini sarebbero stati una "conseguenza naturale e prevedibile" dell'esecuzione di tale piano comune, e pertanto l'imputato è stato considerato responsabile anche di tali crimini  In effetti, le vittime delle torture erano detenute in un clima di violenza diffusa ed istituzionalizzata, in uno stato di estrema vulnerabilità e prive di protezione. Il contributo di Habré a tale impresa criminale è stato giudicato dalla Corte essenziale e determinante per la commissione dei crimini suddetti. L'accusa ha inoltre dimostrato che il dittatore esercitasse sulla organizzazione un controllo effettivo e partecipasse attivamente all'"impresa". In ragione di ciò, Habré è stato ritenuto responsabile per tutti i crimini compiuti da tale "impresa criminale comune", compresi quelli di natura sessuale.

Va osservato, che il concetto di impresa criminale comune è stato elaborato dalla giurisprudenza dei Tribunali Internazionali per la ex Jugoslavia e per il Ruanda al fine di estendere ai leader militari e politici la responsabilità per i crimini non materialmente commessi dagli stessi, sulla base di un meccanismo di «reciproca attribuzione». Occorre notare che gli Statuti di tali tribunali prevedono una disciplina in materia di responsabilità individuale sostanzialmente identica a quella dello Statuto delle Camere Straordinarie del Senegal che hanno giudicato il dittatore ciadiano. La forma estensiva di questo tipo di responsabilità, cui pare ispirarsi la Corte, è fondata sull'idea dell'assunzione del rischio e consente di stabilire la responsabilità di tutti i partecipanti all'impresa criminale comune - ovvero di tutti coloro che hanno prestato un contributo significativo alla stessa - per tutti i crimini commessi nell'ambito dell'impresa, ovvero, non solo per quelli rientranti nel piano comune, ma anche per quelli in esso non ricompresi, purché stabilito che si trattasse di "naturale e prevedibile conseguenza" del comune disegno criminoso.

La Corte ha da ultimo accertato che Habrè fosse responsabile quale superiore gerarchico, per i crimini di guerra commessi dai suoi subordinati. Il leader, infatti, nella sua qualità di «Capo degli Eserciti» [[4]], aveva diretto in prima persona le operazioni militari ed aveva esercitato un effettivo controllo sulle truppe. Pertanto, sapeva o quantomeno aveva ragione di sapere che i prigionieri di guerra fossero esposti a sevizie, esecuzioni sommarie e condizioni di detenzione inumane e, tuttavia, pur potendo, non era intervenuto per prevenire e/o punire tali condotte criminali.

 

5. La giurisdizione universale e l'istituzione delle Camere Straordinarie in Senegal. Analizzando più nel dettaglio il contesto nel quale la Corte è stata istituita ed ha operato, deve innanzi tutto sottolinearsi che la stessa rappresenta il primo esempio di giustizia internazionale in cui un paese africano, interviene direttamente per reprimere gravi crimini di portata internazionale commessi in un altro paese africano così delineando, anche attraverso l'Unione Africana (UA), un sistema di giustizia "regionale" alternativo a quello della Corte Penale Internazionale (criticata per essersi occupata in questo primo decennio esclusivamente di situazioni africane).

Si tratta indubbiamente di una grande vittoria per le vittime, che hanno avuto un ruolo fondamentale nell'instaurazione del processo nei confronti di Habré. Hanno infatti ottenuto giustizia dopo anni di tentativi e di pressioni esercitate in molteplici sedi: presso il governo senegalese, il governo belga, il Comitato delle Nazioni Unite contro la Tortura, l'Unione Africana e la Corte Internazionale di Giustizia.

I primi tentativi di ottenere giustizia risalgono al 2000, quando alcune delle vittime tentarono di instaurare un processo penale in Senegal, ove si era rifugiato Habrè, sulla base del principio della giurisdizione universale (previsto dalla Convenzione Onu sulla Tortura). Le vittime agirono con l'obiettivo di ottenere giustizia nel paese in cui il dittatore si trovava, come era avvenuto pochi anni prima nei confronti di Augusto Pinochet, l'ex dittatore cileno arrestato in Inghilterra su mandato di arresto spagnolo (non a caso, Habrè è stato soprannominato «il Pinochet Africano»). Tuttavia, la Corte d'Appello prima e la Corte di Cassazione poi, dichiararono la mancanza di giurisdizione delle corti senegalesi. Allo stesso tempo, alcune vittime chiesero giustizia in Belgio, sulla base del principio della giurisdizione universale, ai tempi previsto con clausola molto ampia nell'ordinamento belga. A seguito di tale richiesta, nel 2005, il Belgio emise un mandato di arresto e chiese al Senegal l'estradizione dell'ex dittatore ciadiano. L'UA intervenne sulla questione nel 2006: premesso che procedere nei confronti di Habré era un compito dell'Africa, onde evitare l'intervento di un paese esterno quale il Belgio, l'UA chiese al Senegal di processare l'ex dittatore ciadiano. Conseguentemente, il Senegal modificò la propria legge interna per introdurre una norma sulla giurisdizione universale per i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità, il genocidio e la tortura. Tuttavia, la Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale (CEDEAO), intervenuta nel 2011 su richiesta di Habrè, giudicò tale modifica una violazione del principio di irretroattività e sostenne la possibilità per il Senegal di procedere nei confronti del leader solo attraverso la creazione di un Tribunale ad hoc. Nel frattempo, lo Stato belga aveva richiesto l'intervento della Corte Internazionale di Giustizia, la quale nel 2012 accertò la responsabilità internazionale del Senegal per aver violato la Convenzione contro la Tortura - ed in particolare, gli obblighi ivi sanciti di attivare un'inchiesta preliminare e di sottoporre il caso di fronte alle autorità giudiziarie -.

In questo contesto, nel 2013, sulla base di un accordo raggiunto tra l'UA ed il governo del Senegal, vennero istituite le Camere Straordinarie in seno alla Corte del Senegal, al fine di sottoporre a processo i maggiori responsabili per i crimini commessi in Ciad, tra il 1982 ed il 1990, ovvero nel periodo in cui Habré era al potere. Le Camere si caratterizzano per essere una «corte ibrida» o un «tribunale internazionalizzato». Si noti che, a differenza delle precedenti esperienze di tribunali internazionalizzati, le Camere si trovano in uno Stato terzo ed operano sulla base del principio della giurisdizione universale. In tal senso non si tratta della risposta del singolo Stato nel quale i crimini sono stati commessi, a fronte di un sistema giurisdizionale collassato o nell'ambito di un processo di pacificazione nazionale come strumento di giustizia di transizione, ma della risposta della comunità africana nel suo complesso, ove il Senegal si fa portatore delle istanze di giustizia "universale" delle vittime dei più gravi crimini commessi sul continente africano.

Può infine osservarsi come, trattandosi di un tribunale internazionalizzato, la Corte applichi sia il diritto internazionale che la legge senegalese. Sul punto, è interessante notare che, poiché il sistema senegalese è un sistema di civil law, le vittime hanno avuto la possibilità di partecipare in modo attivo ed efficace al processo, anche costituendosi parte civile.

Questa sentenza rappresenta una significativa vittoria per le vittime, ma è solo il primo passo di un percorso che continuerà nel prossimo futuro: il 13 giugno scorso, infatti, gli avvocati di Habré hanno proposto appello contro il provvedimento ed il caso dovrà essere ora giudicato dalla Camera Africana Straordinaria d'Assise d'Appello.

 


 [1] Di seguito, indifferentemente «la Corte» o «le Camere».

[2] L'intervento della Libia nella guerra civile ciadiana diede origine ad un conflitto di natura internazionale, la guerra libico-ciadiana (combattuta tra il 1978 ed il 1987), nella quale furono implicati anche Egitto, Sudan, Zaire, Stati Uniti d'America e Francia.

[[3]] I giudici parlano di «Entreprise Criminelle Commune», traduzione francese per «Joint Criminal Enterprise».

[[4]] «Chef des Armées».