ISSN 2039-1676


21 marzo 2017 |

Spedizione a mezzo posta della richiesta di restituzione in termini per impugnare una pronuncia contumaciale: per la tempestività vale la data di invio o di ricevimento?

Nota a Cass., Sez. I, ord. 15 dicembre 2016 (dep. 22 febbraio 2017), n. 8805, Pres. Cortese, Rel. Boni, Ric. Puica

Contributo pubblicato nel Fascicolo 3/2017

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1. Con l’ordinanza qui pubblicata, la prima Sezione della Cassazione ha investito il massimo Collegio dell’annoso quesito se il giudice, ai fini della verifica della tempestività della richiesta di restituzione nel termine per impugnare una sentenza contumaciale (o un decreto di condanna), spedita a mezzo posta raccomandata, debba fare riferimento alla data di inoltro o a quella di ricezione dell’atto.

Per una migliore comprensione della questione, va subito premesso che nel caso di specie è stata ritenuta applicabile la vecchia versione dell’art. 175, comma 2-bis c.p.p., vigente prima della novella operata dal Capo III della l. 28 aprile 2014 n. 67; e ciò – sebbene non sia stato esplicitato espressamente – in ragione dei profili di diritto intertemporale che hanno accompagnato tale importante riforma[1].

Com’è noto, infatti, il rimedio di cui i soggetti giudicati in contumacia possono servirsi per vedersi reintegrati nel loro fondamentale diritto a presenziare al processo rimane, ancora oggi, la sola rimessione in termini per proporre impugnazione, non potendo essi giovarsi della rescissione del giudicato[2].

 

2. La fattispecie concreta originava da una domanda di restituzione nel termine per impugnare ritenuta inammissibile da un giudice dell’esecuzione, in quanto considerata tardiva, posto che, sebbene spedita entro il termine – stabilito dall’art. 175, comma 2-bis c.p.p. – di 30 giorni dalla conoscenza effettiva del provvedimento, era pervenuta all’ufficio oltre la scadenza di tale lasso temporale.

Il caso, dopo una articolata vicenda processuale, giungeva in cassazione: in particolare, il difensore lamentava il fatto che la sentenza contumaciale fosse stata conosciuta in una data rispetto a cui l’istanza ex art 175, comma 2 doveva considerarsi tempestiva.

Con requisitoria scritta, il procuratore generale presso la Corte di cassazione aderiva all’impostazione sostenuta dalla difesa, richiedendo «l’annullamento dell’ordinanza impugnata».

 

3. Investita del ricorso, la Sezione I della Corte ha rilevato la presenza di un contrasto esegetico concernente il quesito se, ai fini della valutazione della tempestività di una domanda ex art. 175, comma 2, c.p.p., presentata a mezzo posta, si debba tener conto della data di spedizione dell’atto, oppure, invece, di effettiva ricezione dello stesso da parte dell’ufficio. Come puntualmente rilevato dalla ordinanza in esame, la giurisprudenza assolutamente maggioritaria della Suprema Corte, cui nella fattispecie concreta aveva aderito il giudice dell’esecuzione, ha, nel corso degli anni, preferito la seconda soluzione[3], considerando essenziale per il rispetto del termine, stabilito dall’art. 175, comma 2-bis, il fatto che l’istanza, inoltrata tramite servizio postale, pervenga fisicamente nella cancelleria del giudice entro trenta giorni dalla conoscenza effettiva del provvedimento.

Tale opinione trova il suo principale fondamento in un’interpretazione strettamente letterale dell’art. 175, comma 2-bis, c.p.p., il quale, statuendo che la richiesta di restituzione nel termine debba essere presentata, a pena di decadenza, nel termine suddetto, «non contiene alcun richiamo [testuale] alla facoltà di spedizione dell’atto a mezzo di raccomandata, riservata dall’art. 583 c.p.p. agli atti di impugnazione, ed estesa da specifiche norme processuali ad altri mezzi di gravame»[4].

Né, oltretutto, affermano alcune pronunce di tale indirizzo, potrebbe ritenersi comunque applicabile l’art. 583, comma 2 – che individua la data di proposizione dell’impugnazione in quella di spedizione della raccomandata – «comprendendo nella categoria degli atti di impugnazione anche la richiesta di restituzione nel termine, trattandosi di rimedio processuale privo della connotazione propria dell’impugnazione»[5].

Insomma, secondo tale opinione, anche ove si ammettesse come di per sé idoneo l’inoltro a mezzo posta dell’istanza ex art. 175, comma 2, c.p.p., la disciplina più vantaggiosa prevista per la spedizione delle impugnazioni non sarebbe comunque applicabile, posto che l’istituto della restituzione in termini «non costituisce un rimedio impugnatorio […] [ma un] rimedio eccezionale in rapporto a situazioni in cui un impedimento abbia determinato l’estinzione di un potere, essendo decorso il termine perentorio stabilito per il suo esercizio così che le parti siano poste nella condizione di esercitare effettivamente i diritti loro attribuiti ex lege»[6].

 

4. Una tesi del tutto antitetica è stata, invece, preferita da un’altra parte della giurisprudenza[7], la quale ha ritenuto che «l’accezione del termine “presentazione” di cui all’art. 175 c.p.p., non giustifichi, né sotto il profilo logico né sotto quello letterale, un’interpretazione tale da escludere che l’istanza di rimessione in termini per l’impugnazione possa ritenersi presentata tempestivamente nel momento in cui viene affidata, per la spedizione, al servizio postale»[8].

In particolare, la pronuncia più recente di questo filone giurisprudenziale ha precisato che il testo dell’art. 175 c.p.p., comma 2-bis, c.p.p. non dispone affatto espressamente che l’istanza, per essere ritenuta tempestiva, debba pervenire fisicamente, entro il lasso temporale stabilito dalla legge, presso l’ufficio giudiziario competente[9]. La dizione letterale di tale disposizione, infatti, si limita genericamente ad affermare che «la richiesta indicata al comma 2, è presentata, a pena di decadenza, nel termine di trenta giorni da quello in cui l’imputato ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento», senza indicare alcun luogo preciso; potendo, di conseguenza, ritenersi tempestivamente “presentata anche la richiesta meramente inviata entro tale termine.

A tale argomento testuale, si è aggiunta anche la considerazione secondo cui all’istanza di restituzione in termine per impugnare, dato il suo «stretto rapporto di strumentalità con l’atto principale al compimento del quale è diretta», devono essere ritenute pienamente applicabili le «norme concernenti la forma e la ricezione della dichiarazione di impugnazione e pertanto, qualora l’istanza sia inviata per posta, si applica la disposizione dell’art. 583, in base al quale l’atto si considera presentato alla data di spedizione della raccomandata o del telegramma»[10].

In ultima analisi, l’interpretazione che considera pienamente ammissibile la richiesta di restituzione in termini per impugnare spedita nei limiti temporali di cui all’art. 175, comma 2-bis, c.p.p., ma pervenuta all’ufficio in una data successiva, si fonda su argomenti valoriali: secondo i suoi sostenitori, infatti, la stessa risulterebbe preferibile in quanto convenzionalmente e costituzionalmente orientata.

Dal primo punto di vista, infatti, si è sostenuto che apparirebbe in contrasto con le finalità per cui il legislatore del 2005 ha inserito l’art. 175, comma 2-bis c.p.p., ovvero rimediare alle molteplici condanne che la Corte europea aveva rivolto nei confronti del sistema contumaciale italiano[11], una interpretazione di tale disposizione «che oggettivamente limitasse sia le modalità che i tempi per la presentazione della relativa istanza, in tal modo determinando un ulteriore, concreto ostacolo alla realizzazione, per il condannato assente e non rinunciante, del diritto alla celebrazione di un nuovo giudizio in sua presenza»[12].

Mentre, dal secondo punto di vista, si è testualmente richiamato il contenuto di alcune sentenze della Corte costituzionale, pronunciate in tema di notificazioni civilistiche, le quali hanno stabilito – quale principio generale, ritenuto pienamente applicabile anche al caso di specie – che «gli effetti della notificazione a mezzo posta devono […] essere ricollegati – per quanto riguarda il notificante – al solo compimento delle formalità a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, essendo la successiva attività di quest’ultimo e dei suoi ausiliari […] sottratta in toto al controllo ed alla sfera di disponibilità del notificante medesimo»[13].

Insomma, secondo tale opinione, una volta spedita l’istanza ex art. 175, comma 2, nel termine dei trenta giorni, non potrebbe farsi gravare sul richiedente il passaggio del tempo successivo all’inoltro, proprio perché da quel momento vengono svolti dagli agenti postali dei comportamenti del tutto estranei alla disponibilità dell’interessato.

 

5. L’ordinanza in commento, dopo aver delineato i confini del contrasto giurisprudenziale, si è limitata a rimettere la causa alle Sezioni Unite, senza sbilanciarsi su quale tra le due soluzioni sia preferibile.

Orbene, pur non essendo possibile valutare, dalla mera lettura del provvedimento impugnato, se effettivamente le Sezioni Unite potranno ritenere ammissibile il ricorso e quindi entrare nel merito della questione in esame, pare comunque auspicabile che nelle regiudicande future prevalga la tesi più garantista sostenuta dall’indirizzo, ad oggi, ancora minoritario.

L’esegesi maggioritaria pare, infatti, arroccata su una posizione figlia di un «formalismo esoso e gratuito»[14], che «comincia dove il diritto finisce»[15], la quale non tiene in debito conto il valore primario del diritto dell’imputato – convenzionalmente e oramai anche eurounitariamente tutelato[16] – a partecipare al proprio processo, che è sottostante all’istituto della rimessione in termini per impugnare una pronuncia contumaciale.

Posto che, infatti, come si è avuto modo di vedere, la lettera dell’art. 175, comma 2-bis non stabilisce affatto in modo espresso che l’istanza di restituzione in termini debba necessariamente essere presentata in cancelleria nel termine di 30 giorni, pare francamente eccessivo negare la tempestività di una richiesta, che permette all’imputato di essere finalmente messo in grado di esercitare un suo diritto fondamentale, sulla base, in sostanza, della sola constatazione che tale disposizione non richiama in modo espresso l’art. 583, comma 2, c.p.p.

Insomma, posto che il testo della legge parla solo di “presentazione” dell’istanza entro trenta giorni non si vede perché si debba aggiungere, tramite un’interpretazione restrittiva di una garanzia primaria, un ulteriore requisito (la necessaria consegna dell’atto in tale lasso temporale alla cancelleria) non normativamente stabilito

Senza contare che pare comunque condivisibile l’autorevole opinione di chi ritiene applicabile anche all’istituto della restituzione in termini la disciplina dettata dall’art. 583 c.p.p.[17]: il rimedio processuale[18] dell’art. 175, comma 2, c.p.p. presenta, infatti, a ben vedere, una ratio pienamente assimilabile – in quanto volta a garantire all’accusato la possibilità di vedere tutelato un suo diritto fondamentale che il previgente sistema contumaciale, basato sulla semplice regolarità formale delle notifiche, accettava il rischio di violare ex lege – a quella dei mezzi di impugnazione, che, per quanto riguarda l’imputato, sono a loro volta ideati al fine di permettergli di far valere la lesione di suoi diritti processuali o sostanziali.

Di modo che, in sostanza, vista l’eadem ratio delle fattispecie, la mancanza di una disposizione espressa che stabilisca la tempestività dell’istanza presentata entro i termini stabiliti dell’art. 175, comma 2-bis, ma pervenuta in cancelleria dopo tale data, pare comunque colmabile in via interpretativa tramite l’applicazione analogica dell’art. 583, comma 2, c.p.p.

D’altra parte, tenuto conto del fatto che l’art. 175 non indica in alcun modo quale forma sia necessaria utilizzare per richiedere la restituzione in termini, sembrerebbe del tutto illogico optare per un’esegesi che limiti ulteriormente la possibilità, per coloro che sono stati giudicati in contumacia, di ottenere un nuovo giudizio che si svolga in loro presenza, acuendo così la discriminazione che gli stessi già subiscono non potendo usufruire del – sotto certi versi – più effettivo rimedio della rescissione del giudicato[19], rispetto alla quale, peraltro, data la sua natura di impugnazione straordinaria, nessuno ha mai dubitato la possibilità di applicare l’art. 583 c.p.p.

In definitiva, in un sistema processuale come quello attuale che, secondo il costante insegnamento dei giudici europei, deve essere sempre più attento nel garantire dei diritti concreti ed effettivi e non meramente teorici ed illusori[20], non paiono esservi dubbi nel prediligere tra due interpretazioni quella volta alla più ampia estensione delle garanzie.

In tal modo, infatti, si tenta di sviluppare al massimo in via esegetica le potenzialità di un istituto, quale la restituzione in termini per impugnare, già di per sé considerato talmente deficitario dal punto di vista del grado di tutela dell’imputato da essere stato eliminato – salvo che per il decreto penale di condanna – dallo stesso legislatore italiano.

 

[1] In argomento, cfr., per tutti, H. Belluta, Le impugnazioni come rimedi ripristinatori: verso il giusto processo in assenza dell’imputato, in Aa.Vv., Strategie di deflazione penale e rimodulazioni del giudizio in absentia, a cura di M. Daniele-P.P. Paulesu, Torino, 2015, pp. 276 s.; G. Biscardi, Aspetti intertemporali, in Aa.Vv., Le impugnazioni straordinarie nel processo penale, a cura di P. Corvi, Torino, 2016, pp. 265 ss.; M. Bonetti, L’incidenza della riforma sui procedimenti in corso, in Aa.Vv., Il giudizio in assenza dell’imputato, a cura di D. Vigoni, Torino, 2014, pp. 273 ss.

[2] Cfr., sul punto, in giurisprudenza, tra le più recenti, Cass., Sez. IV, 9 marzo 2017, n. 11473, in dejure.it; Cass., Sez. II, 7 febbraio 2017, n. 6295, ivi; Cass., Sez. I, 6 luglio 2016, n. 48050, ivi. Cfr. anche Cass., Sez. Un., 17 luglio 2014, n. 36848, in questa rivista, 5 dicembre 2014.

[3] Aderiscono a tale esegesi, tra le molte, Cass., Sez. VI, 27 settembre 2016, n. 43088, in Ced. Cass., n. 268302; Cass., Sez. V, 15 gennaio 2016, n. 32148, ivi, n. 267493; Cass. Sez. I, 20 gennaio 2014, n. 6726, ivi, n. 259416; Cass., Sez. I, 17 febbraio 2009, n. 25185, ivi, n. 243808; Cass., Sez. II, 13 giugno 2007, n. 35339, ivi, n. 237759; Cass., Sez. VI, 5 maggio 2000, n. 2100, ivi n. 218341.

[4] Cfr., in questo senso, ad esempio, Cass., Sez. I, 20 gennaio 2014, n. 6726, cit.

[5] Cfr., Cass., Sez. I, 20 gennaio 2014, n. 6726, cit.

[6] Cfr. Cass., Sez. VI, 27 settembre 2016, n. 43008, cit.

[7] Appartengono a tale indirizzo, Cass., Sez. V, 14 gennaio 2016, n. 12529, in Ced. Cass., n. 266316; Cass., Sez. II, 11 dicembre 2013, n. 2234, ivi, n. 260046; Cass., Sez. VI, 17 maggio 2006, n. 19542, ivi, n. 234208.   

[8] Così, Cass., Sez. II, 17 maggio 2006, n. 19542 del 2006, cit. nonché, più recentemente, Cass. Sez, V, 14 gennaio 2016, n. 1252, cit.

[9] Cass. Sez, V, 14 gennaio 2016, n. 12529, cit.

[10] In questo senso, cfr. Cass., Sez. II, 11 dicembre 2013, n. 2234, cit. nonché, più recentemente, Cass. Sez, V, 14 gennaio 2016, n. 1252, cit. Ritengono applicabili alla restituzioni in termini per impugnare la disciplina generale sulle impugnazioni, tra le altre, Cass., Sez. II, 19 aprile 2013, n. 19183, in Ced. Cass., n. 255756; Cass., Sez. III, 13 gennaio 2006, n. 4506, in Arch n. proc. pen., 2007, p. 408.

[11] Ci si riferisce come noto a C. eur., 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia; C. eur., 18 maggio 2004, Somogyi c. Italia.

[12] Cass. Sez, V, 14 gennaio 2016, n. 12529, cit.

[13] In questo senso, cfr. Corte cost., 26 novembre 2002, n. 477, in www.cortecostituzionale.it.

[14] L’espressione è di F. Cordero, Procedura penale, 9a ed., Milano, 2012, p. 255.

[15] Cfr. S. Satta, Il formalismo nel processo (1958), in Id., Il mistero del processo, Milano, 2013, p. 86.

[16] Ci si riferisce, com’è noto, alla direttiva 2016/343/UE, del 9 marzo 2016, in G.U.U.E. 11 marzo 2016, L 65/1. In merito alle disposizioni concernenti il diritto a presenziare al processo contenute nella stessa si veda, per tutti, F. Alonzi, La direttiva UE sul diritto dell’imputato di partecipare al giudizio e la disciplina italiana sul processo in absentia, in www.lalegislazionepenale.eu, 21 settembre 2016.

[17] In questo senso, cfr., per tutti, G. Garuti, voce Restituzione in termini (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Annali II, t. I, Milano, 2008, p. 1019.

[18] In merito alla configurazione della restituzione in termini all’interno della categoria dei rimedi, cfr., per tutti, G. Ubertis, sub artt. 175-176, in Aa.Vv., Commentario del nuovo codice di procedura penale, diretto da E. Amodio-O. Dominioni, Milano, 1989, vol. II, p. 244.

[19] Com’è noto, infatti, nonostante la rescissione del giudicato presenti il difetto, particolarmente grave, di attribuire al condannato in assenza l’onere di provare la sua incolpevole mancata conoscenza del processo (sul punto, per tutti, A. Ciavola, Alcune considerazioni sulla nuova disciplina del processo in assenza e nei confronti degli irreperibili, in Dir. pen. cont.-Riv. Trim., 2015, n. 1, p. 208, a cui si rimanda anche per la bibliografia ivi citata) la stessa non priva più l’imputato «incolpevolmente contumace dell’intervento a un grado di giudizio concernenti i medesimi reati per i quali sia generalmente riconosciuto dall’ordinamento il diritto ad un doppio grado di giurisdizione di merito» (cfr. G. Ubertis, Sistema multilivello dei diritti fondamentali e prospettiva abolizionista del processo contumaciale, in Id., Argomenti di procedura penale, vol. III, Milano, 2011, p. 194).

[20] Così, tra le moltissime, C. eur., 13 maggio 1980, Artico c. Italia, §33.