ISSN 2039-1676


05 aprile 2017 |

Per le Sezioni Unite le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi sono applicabili nel giudizio d’appello solo se esplicitamente invocate nell’atto di impugnazione

Nota a Cass., SSUU, sent. 19 gennaio 2017 (dep. 17 marzo 2017), n. 12872, Pres. Canzio, Rel. Lapalorcia, Ric. Punzo

Contributo pubblicato nel Fascicolo 4/2017

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1. Con la sentenza in esame, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione compongono il contrasto giurisprudenziale che si era formato in relazione alla dibattuta possibilità, per il giudice d’appello, di applicare d’ufficio le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, disciplinate dalla l. 689/1981; in particolare, il Supremo Collegio si è espresso in senso negativo, facendo proprie le considerazioni già formulate in seno all’orientamento dominante della giurisprudenza di legittimità.

 

2. Il ricorso deciso dalle Sezioni Unite intendeva censurare una sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Bologna, con la quale i giudici del gravame – posti di fronte ad una richiesta di sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria formulata esclusivamente in sede di discussione – avevano confermato la condanna precedentemente inflitta in primo grado per il delitto di violazione di sigilli aggravato dalla custodia, ex art. 349, comma 2, c.p. (mesi quattro di reclusione ed € 800 di multa). Specificamente, il ricorrente lamentava la mancanza di motivazione in ordine all’applicabilità dell’art. 131-bis c.p., l’omessa decisione in relazione alla richiesta di riformulare il giudizio di bilanciamento delle circostanze (la Corte d’Appello, infatti, aveva ritenuto devoluta alla propria cognizione solamente la questione relativa alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena) e, da ultima, la violazione di legge in relazione agli artt. 597 c.p.p. e 53 L. 689/1981; con particolare riferimento all’ultimo motivo di doglianza, il ricorso evidenziava semplicemente come l’atto d’appello – sul punto – avesse soltanto ribadito la mancata decisione della Corte territoriale in punto di rideterminazione della pena.

 

3. Come anticipato, la Terza Sezione penale della Cassazione – con l’ordinanza n. 49631 dell’8 novembre 2016[1] – rilevava un contrasto giurisprudenziale proprio in ordine alla questione invocata con l’ultimo motivo di ricorso: i giudici rimettenti, infatti, enumeravano svariati precedenti giurisprudenziali contrapposti in ordine alla possibilità di applicare le sanzioni sostitutive in grado d’appello allorché l’atto di impugnazione – pur proponendo gravame contro le statuizioni relative al trattamento sanzionatorio  – non avesse devoluto tale specifica questione.

Avanti alle Sezioni Unite, il Procuratore Generale ha depositato una memoria con la quale ha sostenuto la tesi favorevole, formulando i seguenti motivi:

- l’art. 597 c.p.p. consentirebbe di equilibrare lo stringente carattere devolutivo dell’appello con la possibilità di adeguare la pena al caso concreto, mediante l’espansione dei poteri ufficiosi del giudice in caso di devoluzione della decisione sul trattamento sanzionatorio;

- la L. 689/1981, nel prevedere – in punto di sanzioni sostitutive – un potere discrezionale di carattere generale, dovrebbe operare anche nel contesto dell’art. 597, comma 5, c.p.p.[2]: in particolare, la norma invocata (che, nel prevedere le deroghe al principio devolutivo, comunque non cita la disciplina delle sanzioni sostitutive) descriverebbe una casistica di benefici del tutto omogenei a quelli previsti dalla stessa L. 689/1981;

- la soluzione favorevole, infine, sarebbe in linea con la generale tendenza dell’ordinamento alla riduzione dell’area delle pene detentive.

 

4. Le Sezioni Unite riconoscono, preliminarmente, l’erroneità in cui la Corte territoriale era incorsa nella valutazione dell’atto d’appello: con l’impugnazione, infatti, l’imputato – avendo richiesto un nuovo giudizio di comparazione delle circostanze – aveva effettivamente devoluto questioni inerenti al trattamento sanzionatorio, ulteriori rispetto a quella relativa alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena; ciononostante, il Supremo Collegio ha comunque concluso per l’infondatezza del ricorso.

La Cassazione, in primo luogo, indica i riferimenti di tutti i precedenti giurisprudenziali rilevanti e ne riepiloga le conclusioni: in particolare, l’orientamento contrario all’applicazione officiosa delle sanzioni sostitutive traeva spunto «dal carattere eccezionale dell’art. 597, comma 5, c.p.p. e dall’autonomia della questione relativa alla sostituzione della pena detentiva, tale da non poter essere ritenuta compresa nelle doglianze inerenti al trattamento sanzionatorio»; diversamente, l’orientamento favorevole si basava «oltre che sull’assenza di un divieto normativo, da un lato sul carattere generale del potere discrezionale attribuito al giudice dall’art. 58 della L. 689/1981, dall’altro sulla natura solo qualitativamente diversa delle sanzioni sostitutive rispetto alle pene e sulla loro minor consistenza rispetto agli altri benefici concedibili di ufficio, nonché sulla unitarietà del punto relativo alle varie componenti del trattamento sanzionatorio».

 

5. Il Supremo Collegio, successivamente, opera un ampio richiamo alla sentenza della Cassazione, Sez. VI, n. 6257 del 27 gennaio 2016: «tale ultima pronuncia si segnala perché, premesso il richiamo ai concetti di capo e punto della decisione e ricordato che deve intendersi per punto ogni singola statuizione della sentenza suscettibile di autonoma valutazione ed idonea ad essere oggetto di autonoma impugnazione, sussume nella nozione di punto il complesso delle questioni che attengono alla concessione delle pene sostitutive»; parallelamente, la sentenza ricorda come – nell’ambito dell’orientamento negativo – «i successivi sviluppi della giurisprudenza di legittimità si siano focalizzati intorno al rilievo del carattere eccezionale […] dell’art. 597, comma 5, c.p.p., che attribuisce poteri ufficiosi al giudice di appello in limitati e tassativi casi, tra i quali non è menzionata la sostituzione della pena detentiva».

Su queste premesse, dunque, le Sezioni Unite argomentano la propria adesione all’orientamento maggioritario:

- in primo luogo, la sentenza in esame sottolinea con forza la natura dell’art. 597, comma 5, c.p.p. quale norma eccezionale, come tale inapplicabile oltre i tassativi casi in essa considerati: «il divieto di interpretazione estensiva o analogica delle norme eccezionali preclude qualsiasi tentativo di includere l’applicazione delle sanzioni sostitutive nell’elenco, tassativo per come imposto dalla portata derogatoria della previsione, dei benefici concedibili ex officio dal giudice di secondo grado; né diversa conclusione può essere giustificata dal richiamo al criterio dell’adeguamento della pena al caso concreto, posto che […] si aprirebbe la possibilità di una inaccettabile estensione della deroga all’effetto devolutivo, tra l’altro in violazione delle norme sulla formalità delle impugnazioni, […] senza contare che la mancata menzione delle sanzioni sostitutive tra i “benefici” concedibili di ufficio dal giudice di secondo grado risponde pure al principio riassumibile nell’espressione ubi lex noluit tacuit»;

- in secondo luogo, le Sezioni Unite evidenziano come l’art. 58 della L. 689/1981 non possa assurgere a principio di portata generale, posto che lo stesso dato testuale della norma descrive un potere discrezionale esercitabile “nei limiti fissati dalla legge”: ciò significa «non solo che esso non è esercitabile ex officio in ogni stato e grado, ma anche che incontra un limite nel rispetto dell’ambito della cognizione del giudice di appello segnato dall’effetto devolutivo»;

- infine, la decisione del Supremo Collegio afferma l’insostenibilità delle argomentazioni volte a ritenere le questioni inerenti all’applicazione delle sanzioni sostitutive incluse nel punto della decisione relativo al trattamento sanzionatorio: la Cassazione, in particolare, oltre a ribadire il già ricordato precedente definito dalla sentenza n. 6257/2016 (v. supra), richiama espressamente anche la recentissima sentenza Galtelli (Cass., SSUU, n. 8825/2017)[3], secondo la quale «l’elevato tasso di specificità dell’atto di impugnazione richiesto dall’art. 581 c.p.p. […] impone l’indicazione per “punti” delle richieste e dei motivi, con la specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto alla base di ogni richiesta; […] attribuire carattere onnicomprensivo alla devoluzione del tema del trattamento sanzionatorio sembrerebbe distonico, quindi, con il combinato disposto degli artt. 581, comma 1, lettera c), 591, comma 1, lettera c) e 597, comma 1, c.p.p.».

 

6. Le Sezioni Unite, infine, dopo aver dichiarato l’inammissibilità degli ulteriori motivi di ricorso, hanno enucleato il seguente principio di diritto: «il giudice di secondo grado non può applicare le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi nel caso in cui nell’atto d’appello non risulti formulata alcuna specifica richiesta con riguardo a tale punto».

 

 

[1] Per leggere il testo dell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite – già pubblicata dalla nostra Rivista il 20 gennaio 2017, in allegato all’informazione provvisoria relativa alla presente decisione delle Sezioni Unite – si veda Per le Sezioni Unite l’applicazione delle sanzioni sostitutive deve essere espressamente richiesta coi motivi di appello.

[2] Per comodità del lettore, si riporta di seguito la disposizione dell’art. 597, comma 5, c.p.p.: «Con la sentenza possono essere applicate anche di ufficio la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze attenuanti; può essere altresì effettuato, quando occorre, il giudizio di comparazione a norma dell'articolo 69 del codice penale».

[3] Per un approfondito commento alla sentenza in questione, si rinvia a H. Belluta, Inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi: le Sezioni Unite tra l’ovvio e il rivoluzionario, in questa Rivista, 22 marzo 2017.