ISSN 2039-1676


10 ottobre 2017 |

Sospensione feriale e termini di deposito della sentenza

Cass., SSUU, sent. 20 luglio 2017 (dep. 18 settembre 2017), n. 42361 Pres. Canzio, Rel. Vessichelli, Ric. D’Arcangelo

Contributo pubblicato nel Fascicolo 10/2017

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1. Repetita iuvant. Ma è sempre così? La sentenza in rassegna offre un esempio della problematicità di questioni che possono presentarsi al banco giudiziario, specie quando si intersecano e sovrappongono normative di segno non univoco e di rango diverso, sì che gli argomenti desumibili hinc et inde possono sembrare idonei a suffragare soluzioni anche opposte.

Qui le Sezioni unite erano investite del problema dell’applicabilità della sospensione feriale ai termini di deposito della sentenza, già risolto oltre venti anni prima da un loro autorevole precedente[1] e riproposto da una sezione semplice a seguito del decreto-legge 12 settembre 2014 n. 132, convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014 n. 162, e confermano il monolitico orientamento della giurisprudenza sul tema, costantemente ribadito a partire da quel lontano precedente[2].

Merita rievocare brevemente i termini della vicenda.

Altair D’Arcangelo, condannato per il reato di cui all’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 con sentenza 28 luglio 2015 del tribunale di Chieti – che riservava, in dispositivo, il deposito dei motivi nel termine di 30 giorni, ma lo eseguiva tre giorni dopo – propose appello alla Corte dell’Aquila il 29 ottobre 2015. Con ordinanza 14 luglio 2016 quest’ultima lo dichiarò inammissibile per intempestività, sul rilievo che i 45 giorni di cui all’art. 585, comma 1, lett. c), c.p.p. erano spirati il 15 ottobre 2015, dovendo identificarsi il dies a quo nel 1° settembre 2015 per la sospensione feriale dei termini di impugnazione dal 1° al 31 agosto 2015, né potendo operare la sospensione per il (diverso) termine di deposito della motivazione della sentenza.

Sul presupposto che anche quest’ultimo termine resta sospeso durante il periodo feriale e che, essendosi il Tribunale riservato di depositare la motivazione nel termine di trenta giorni, quest’ultimo, computata la detta sospensione, si sarebbe dovuto considerare scaduto il 27 settembre 2015, il D’Arcangelo propose ricorso per cassazione sul rilievo che l’appello sarebbe stato tempestivo, in quanto proposto appunto entro i 45 giorni previsti dall’art. 585, comma 1, lett. c), c.p.p.

All’udienza del 14 marzo 2017, la quarta sezione penale, assegnataria del ricorso ratione materiae, ne deliberò la rimessione alle Sezioni unite con ordinanza n. 13843, depositata il 21 marzo 2017.

Al clou evocò la necessità di verificare la persistente attualità della sentenza Giacomini alla luce del mutato quadro normativo, sia “per la speciale importanza della questione, sia per evitare potenziali contrasti giurisprudenziali, sulla base del seguente quesito: «Se, anche dopo l’entrata in vigore della legge 28 aprile 2014 n. 67 e le modifiche apportate al periodo feriale dal decreto-legge 12 settembre 2014 n. 132 convertito con modificazioni dalla legge 10 novembre 2014 n. 162, il termine per la redazione della sentenza di cui all’art. 544 cod. proc. pen., quale presupposto di decorrenza dell’ulteriore termine per l’impugnazione ai sensi dell’art. 585 cod. proc. pen., non possa ritenersi soggetto alla sospensione nel periodo feriale a norma dell’art. 1 legge 7 ottobre 1969 n. 742»”.

Con decreto 29 marzo 2017 il Primo Presidente restituì il ricorso al presidente della sezione rimettente motivando la restituzione con la circostanza che «l’ordinanza di rimessione, pur esponendo diffusamente gli aspetti indicativi di una problematicità della questione, omette di prendere espressamente posizione per una soluzione contraria non solo a quella a suo tempo espressa dalle Sezioni unite Giacomini, ma anche a quella ricavabile dalla giurisprudenza formatasi dopo la innovazione legislativa in tema di riduzione delle ferie dei magistrati, in tal modo non soddisfacendo il rigoroso presupposto (contrasto di giurisprudenza effettivo o quantomeno potenziale) considerato dall’art. 618 c.p.p. ai fini della investitura delle Sezioni unite. Resta naturalmente la piena facoltà del Collegio cui il ricorso sarà assegnato di rimetterlo nuovamente alle Sezioni Unite, una volta che si ritenesse di esprimere – con autonoma e approfondita motivazione – le ragioni della plausibilità di un orientamento contrario a quello già espresso dalla precedente giurisprudenza della Suprema Corte».

A seguito della restituzione degli atti, depositata dal difensore dell’imputato memoria per chiedere l’accoglimento del ricorso o una nuova rimessione della questione alle più alto Collegio, ribadendosi come la disciplina sopravvenuta rendesse necessario un revirement giurisprudenziale, il nuovo collegio della quarta sezione penale investito del ricorso, accogliendo il messaggio implicito nelle ragioni della restituzione, rimise nuovamente il ricorso alle Sezioni unite.

 

2. È interessante fare un cenno alla motivazione di questa seconda ordinanza di rimessione[3], più articolata della precedente, conformemente a quanto aveva richiesto il decreto del Primo Presidente.

In essa la quarta sezione:

- preliminarmente richiama la più recente normativa relativa alle ferie annuali, (d.l. n. 132 del 2014, convertito in legge n. 162/2014), ricordandone, per i magistrati, la riduzione, a partire dal 1° gennaio 2015, da 45 a 30 giorni (con ricadute sull’effettività del diritto alle ferie, mediante l’eliminazione dei quindici giorni necessari alla definizione degli affari pendenti) e, per gli avvocati, la sospensione dei termini processuali, disposta soltanto con legge 14 luglio 1965 n. 818 e operante illo tempore per il periodo 1° agosto-15 settembre di ogni anno, ridotta oggi anch’essa – sempre per effetto delle disposizioni della legge n. 162 del 2014 – a 30 giorni.

È significativo notare che la sezione rimettente qualifica l’intervento legislativo del 2014 come “il disorganico esito di una decretazione d’urgenza … che, per la sua settorialità e per l’improprio utilizzo in materia ordinamentale, non può fornire la piattaforma per un’interpretazione sistematica della disposizione di cui si tratta”, pur non astenendosi, nel seguito, da un esame di tale intervento legislativo[4];

- dà, quindi, atto che la giurisprudenza di legittimità successiva alla sentenza Giacomini si è uniformemente allineata al suo insegnamento nel ritenere che la sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale non si applica anche ai termini previsti dall’art. 544 c.p.p. per la redazione della sentenza.

- dopo un generico cenno alle posizioni dottrinarie[5], illustra le ragioni che suffragherebbero, a suo parere, una rivisitazione dell’orientamento sin qui incontrastato in giurisprudenza.

In particolare, viene richiamato il principio di effettività della fruizione del periodo di ferie proclamato solennemente nella normativa di rango europeo e ribadito anche di recente nella giurisprudenza sopranazionale, dalle quali risulterebbe la sostanziale coincidenza tra la durata del periodo di sospensione feriale con il tempo minimo che deve essere destinato alle ferie: parallelismo che metterebbe in dubbio l’affermazione, contenuta nella sentenza Giacomini, dell’operatività della sospensione feriale solo per i termini presidiati da sanzione processuale.

In ogni caso – prosegue la sezione rimettente – la disciplina della sospensione feriale dei termini processuali è regola generale che, secondo la giurisprudenza costituzionale[6], trova il suo fondamento nella «necessità di assicurare un periodo di riposo a favore degli avvocati» ed è formulata con una dizione lata che ricomprende tutti i termini processuali, senza distinzioni di sorta”.

Ora è pacifico che il termine per il deposito della sentenza è termine processuale[7], così come è pacifica la stretta correlazione tra tale termine e il decorso di quello per impugnare affermata in diverse pronunce di legittimità la quale consente di evidenziare il diretto vantaggio che dalla sospensione del termine per il deposito della sentenza nel periodo feriale deriva anche al diritto di difesa, nella misura in cui permette di conservare le medesime cadenze processuali che vigono nel corso dell’anno;

- qualifica come “poco convincente” l’argomento che afferma la non applicabilità della sospensione feriale al termine per la redazione della sentenza sul rilievo che si tratterebbe di termine privo di sanzione processuale, potendosi altrettanto seriamente argomentare che l’indiretta incidenza della mancata sospensione sul diritto al riposo degli avvocati, ora gravati da un ridotto numero di giorni di sospensione e dalla contemporanea decorrenza al 1° settembre di ogni anno dei termini d’impugnazione relativi a tutte le sentenze depositate durante il periodo feriale, vada a ledere lo stesso interesse tutelato dalla regola generale;

- pone l’accento sulle modifiche processuali interne intervenute successivamente alla sentenza Giacomini, e segnatamente: 1)- sull’art. 10 della legge n. 67 del 2014 che, modificando l’art. 548, comma 3, c.p.p., ha eliminato la notificazione dell’avviso di deposito con l’estratto della sentenza all’imputato contumace, senza prevedere che analoga comunicazione sia destinata all’imputato assente, con il venir meno così di uno strumento di differimento della scadenza dei termini per impugnare in correlazione alla data di deposito del provvedimento; 2)- sull’art. 16 d.l. n. 132 del 2014, convertito, con modificazioni, nella legge n. 162 del 2014, che ha ridotto il periodo annuale di ferie dei magistrati e degli avvocati e procuratori dello Stato a trenta giorni e, per quanto qui interessa, sulla conseguente normativa emanata dal Consiglio superiore della magistratura il quale ha ritenuto che la previsione di un periodo feriale mensile effettivo comporta che durante il suo corso non pendono obblighi in capo al magistrato.

 

3. Se questo è, in sintesi, il quadro essenziale delle censure mosse all’orientamento giurisprudenziale – tale, alla fine, da indurre la sezione rimettente a esplicitare in termini espressi il suo dissenso e così a dare atto dell’esistenza di un contrasto idoneo a sollecitare l’intervento delle Sezioni unite[8] – queste ultime replicano puntualmente alle critiche mosse per concludere confermando il dictum della sentenza di venti anni prima.

E sul punto più delicato in discussione, quello delle modifiche introdotte, a far tempo dal 1° gennaio 2015, alla durata delle ferie annuali dei magistrati, giustamente osservano che, con riferimento al thema decidendum, non è tanto la riduzione del periodo feriale l’argomento rilevante, quanto, piuttosto, quello della concreta fruibilità del diritto alle ferie e, in particolare, “della compatibilità dell’esercizio di tale diritto con la natura e qualità della attività propria del magistrato, tenuto a depositare le sentenze secondo le cadenze previste dai codici di rito e a svolgere, anche subito dopo la cessazione del periodo feriale, attività (ad esempio udienze) che richiedono un congruo periodo di tempo per la preparazione”.

Su tale punto le Sezioni unite ritengono insussistente quella incompatibilità tra effettiva fruizione delle ferie e “persistenza, nell’ordinamento, di una disciplina sulla necessità del deposito dei provvedimenti anche in periodo feriale”, che era stata fermamente sostenuta dalla sezione rimettente.

Premettono che il termine di deposito della sentenza di solito è ordinatorio e che “è modulabile in modo differenziato e tale da sottolineare non solo la opportunità di decisioni contestuali nei casi semplici, ma anche la possibilità per il giudice di assegnarsi termini conformi alla complessità della motivazione, fino a 90 giorni dalla pronuncia” (raddoppiabili in specifiche ipotesi relative a reati di particolare gravità e complessità). Ma al tempo stesso danno anche atto, da un lato, che la determinazione del tempo richiesto per la redazione del provvedimento è rimessa alla discrezionalità esclusiva del giudice, la cui valutazione è insindacabile e non modificabile neanche da parte del giudice di grado superiore[9] e, dall’altro, evocano la normativa secondaria adottata dal Consiglio superiore della magistratura, in ottemperanza al disposto dell’art. 16.4 della legge 162 del 2014[10].

È singolare, e in qualche misura paradossale, che le stesse fonti di normativa secondaria che, secondo le Sezioni unite, concorrono a giustificare la conferma della loro giurisprudenza sul punto, suffraghino, nella prospettiva della sezione rimettente, l’opposta conclusione.

Resta, alla fine, a sostegno sicuro del principio affermato dal  più alto Collegio, la ragione clou della sentenza del 1996 (essere il termine di deposito del provvedimento giudiziale sfornito di sanzione processuale), parendo quello della ragionevole durata del processo, a fronte di una dilazione modesta (nella stragrande maggioranza dei casi) dei tempi processuali, argomento non particolarmente “forte”, o comunque non determinante nel giudizio di comparazione dei valori in potenziale conflitto per la soluzione del problema che qui si pone.

 

4. E al contrario non si può dire risolto, sul fronte opposto, il problema della fruizione reale del diritto al “riposo” per i giudici, non sembrando formalmente in linea con principi di rilievo costituzionale l’affidamento della disciplina relativa – comunque la si intenda valutare nel merito – a una fonte normativa secondaria che detti regole di organizzazione; mentre sul piano sostanziale si fa fatica a ritenere che durante il periodo feriale, cioè di riposo, di un pubblico dipendente, per quanto investito di una delle fondamentali funzioni dello Stato di diritto, possano sussistere obblighi di ufficio, come nella specie quello di redigere sentenze.

In realtà, la soluzione adottata dalle Sezioni unite, che è contraddetta da un parere, munito di valore giurisdizionale, del giudice naturale più elevato, non propriamente definibile – come si esprime la sentenza – “assertivo e non motivato”[11], potrebbe rivelarsi, sul piano pratico, poco proficua, perché facilmente aggirabile, sol che il giudice (anche quello di pace, visti i più recenti trend giurisprudenziali) decidesse, per tutte le sentenze il cui termine scada in periodo feriale, di dilazionarne il deposito fissandone il termine in modo tale da poter godere realmente dei trenta giorni di riposo che gli spettano e far così spostare in avanti anche il dies a quo dell’impugnazione: un escamotage che, allo stato, riceve l’avallo della giurisprudenza citata proprio dalle Sezioni unite e dinanzi al quale non pare configurabile alcun illecito disciplinare (salvo casi di dilazione del tutto ingiustificata).

Né sembrano possibili interventi del giudice delle leggi, considerato che per una sua eventuale attivazione non sarebbe immaginabile un atto di sollecito.

Giudice delle leggi – è bene ricordare – che anche recentemente, in obiter, trattandosi di questione inammissibile, ha ricordato che “questa Corte ha già avuto più volte occasione di delineare l’ambito di applicazione e la finalità dell’istituto della sospensione feriale dei termini processuali, precisando che esso, nato «dalla necessità di assicurare un periodo di riposo a favore degli avvocati e procuratori legali […] è anche correlato al potenziamento del diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost.)» (sentenza n. 255 del 1987), cui deve essere accordata tutela «quando la possibilità di agire in giudizio costituisca per il titolare l’unico rimedio per far valere un suo diritto» (sentenza n. 49 del 1990).

Risulta, dunque, evidente che l’individuazione del periodo di sospensione feriale dei termini processuali risponde a un’esigenza di garanzia dell’effettività del diritto di difesa nel periodo di riposo degli avvocati, ben diversa da quella sottesa alla previsione del periodo di congedo ordinario dei magistrati, cui sono viceversa indirizzate, a titolo esclusivo, alcune delle censure, in specie quelle relative alla violazione dell’art. 3 Cost.”[12].

Le varie iniziative assunte, anche in sede associativa, dai magistrati per rivendicare il diritto a un riposo reale e finora esitate in conclusioni di segno non univoco, possono anche essere state guardate come espressione di non condivisibili spinte corporative; ed è possibile che il decreto di restituzione 29 marzo 2017 del Primo Presidente, peraltro formalmente ineccepibile alla luce degli artt. 618 c.p.p. e 172 disp. att. c.p.p., mirasse, nel merito, a mettere in guardia da una reiterata ordinanza di rimessione non accompagnata da una “approfondita motivazione”, in modo da scongiurare il sospetto di un’iniziativa mediatamente “corporativa” su una questione di particolare rilievo processuale, intesa ad ottenere un “risultato”.

Questo risultato non c’è stato. E pare difficile che possano registrarsi ulteriori strappi per rimettere in discussione la pronuncia odierna, anche attraverso incidenti di costituzionalità o ricorsi a giurisdizioni sovranazionali.

Sarà la pratica – come sempre accade per questioni approssimativamente affrontate da un legislatore frettoloso e distratto[13] e aperte spesso a soluzioni di segno opposto – a trovare gli aggiustamenti necessari per salvaguardare i diritti che in esse vengono, di volta in volta, in gioco.

 


[1] Sez. un., 19 giugno 1996 n. 7478, Giacomini, in Cass. pen., 1996, p. 3591.

[2] Tra le più recenti, ex multis, Cass., sez. IV, 14 aprile 2017 n. 33741; sez. II, 16 novembre 2016 n. 12305; sez. III, 6 luglio 2016 n. 40363, inedite.

[3] In questa Rivista, 21 luglio 2017, con nota di Leo, nella quale il quesito sottoposto al Supremo Collegio riproduce ad litteram quello già evocato nella prima ordinanza di rimessione.

[4] Al punto 5.9 dell’ordinanza.

[5] La dottrina si è occupata sporadicamente dell’argomento ed è in larga prevalenza, e da sempre, orientata in senso analogo all’interpretazione delle Sezioni unite Giacomini, sul rilievo che non rientrano fra i termini processuali cui fa riferimento la legge n. 742 del 1969 quelli – come i termini di deposito della sentenza – che, pur non potendosi non qualificare come processuali, sono privi di ricadute nel processo, perché di natura meramente ordinatoria e, come tali, sforniti di sanzione processuale, con rilievo, al più, sul piano disciplinare.

La legge citata, infatti, è rivolta alle parti e ai difensori, non al giudice, le cui attività non potrebbero restare sospese in concomitanza con il periodo di sospensione feriale senza dar luogo a una inaccettabile sospensione del procedimento al di fuori di una espressa previsione legislativa (cfr., tra i tanti, Giarda, sv. Termine (dir. proc. pen.) in Enc. dir., XLIV, 1992, 259 ss; Scarselli, Le nuove ferie per magistrati e avvocati, in Foro it., 2015, V, 58.7; Zaccaria, Il periodo di ferie dei magistrati: quarantacinque o trenta giorni?, in Studium iuris, 2015, 127; Voena, Atti, in Conso-Grevi, Compendio di procedura penale, Padova, 2006, 279; Siracusano, Galati, Tranchina, Zappalà, Diritto processuale penale, Milano 2001, 277).

In senso difforme, già in epoca risalente, Riviezzo, In tema di sospensione dei termini processuali in periodo feriale e dei termini per impugnare, in Giur. mer., 1996, 739, sul rilievo che la formulazione letterale dell’art. 1 della legge n. 742 del 1969 si riferisce senza distinzioni ai “termini processuali”, la cui ampiezza imporrebbe di considerare la sospensione dei termini processuali regola generale del nostro ordinamento e, in termini analoghi, Jesu, Nessuna sospensione dei termini nel periodo feriale per la redazione della sentenza, in Dir. pen. proc., 1996, 1397. In senso favorevole alla sospensione, dopo i recenti interventi legislativi, Scarcella, I termini processuali che decorrono dall’1 al 31 agosto si sospendono anche per il deposito delle sentenze?, in Quot. giur., 3 aprile 2017 e, implicitamente, Gattoni, Sospensione feriale e deposito sentenza penale: parlano le Sezioni unite in http://www.jusdicere.it/Ragionando/avv-daniela-gattoni-sospensione-feriale-e-deposito-sentenza-penale-parlano-le-sezioni-unite/, 21 settembre 2017.

[6] Corte Cost., 31 gennaio 1990 n. 49, in Giur. it., 1990, I, 1026.

[7] Affermazione incontroversa in giurisprudenza. La stessa sentenza Giacomini lo riconosce, pur affermando che “dalla esatta considerazione che i termini per la redazione della sentenza sono termini processuali non può inferirsi che debbano essere sospesi nel periodo feriale. E ciò perché la sospensione di diritto ha la sua ragione d’essere per termini che hanno una sanzione processuale, e questi sono nel caso quelli delle parti e non quelli posti al giudice per la redazione delle sentenze, la cui inosservanza può dar luogo solo a sanzioni disciplinari”.

In senso analogo Sez. un., 29 settembre 2011 n. 155/2012, in questa Rivista, 11 gennaio 2012; sez. III, 23 febbraio 2016 n. 17416, C.e.d. Cass., n. 266982. In epoca più recente, nello stesso senso, sez. II, 16 luglio 2015 n. 45289, sez. II, 21 giugno 2012 n. 25685 e sez. I, 25 febbraio 2011 n. 11478, inedite.

[8] La sezione esprime in questi termini il principio di diritto enucleabile dal sistema, alla luce della normativa sopravvenuta: «Dopo l’entrata in vigore della legge 28 aprile 2014 n. 67 e le modifiche apportate al periodo feriale dal decreto-legge 12 settembre 2014 n. 132 convertito con modificazioni dalla legge 10 novembre 2014 n. 162, il termine per la redazione della sentenza di cui all’art. 544 cod. proc. pen., quale presupposto di decorrenza dell’ulteriore termine per l’impugnazione ai sensi dell’art. 585 cod. proc. pen., deve ritenersi soggetto alla sospensione nel periodo feriale a norma dell’art. 1 legge 7 ottobre 1969 n. 742».

[9] Tra le tante, Sez. un. 31 marzo 2011 n. 27361, in questa Rivista, 31 luglio 2011, con nota di Leo e Sez. un., 30 aprile 1997 n. 5878, in Cass. pen., 1998, 50.

Va dato atto che è controversa la facoltà del giudice di pace di auto assegnarsi, per il deposito della sentenza, un termine superiore ai 15 giorni previsti dall’art. 32 d.lgs. 274 del 2000 (in senso favorevole, da ultimo, Cass., sez. II, 16 luglio 2015 n. 45289, inedita, e ivi giurisprudenza anche di segno opposto citata.

Al mancato rispetto del termine – evento riconducibile a disfunzione fisiologica dell’apparato processuale – si rimedia con l’avviso di deposito al p.m. e la notifica alle parti private legittimate alla impugnazione, fatto salvo l’apprezzamento in sede disciplinare del ritardo non occasionale e grave.

[10] Si tratta della delibera C.S.M. 26 marzo 2015, con la quale furono apportate modifiche alla “Circolare ricognitiva sulle modalità di godimento delle ferie” e all’altra sui “Nuovi criteri per la valutazione di professionalità dei magistrati a seguito della legge 30 luglio 2007 n. 111”, nonché della risoluzione 20 aprile 2016.

Nella prima è previsto che qualora il magistrato durante il periodo feriale debba personalmente compiere atti o attività, inclusa la redazione o il deposito di provvedimenti, caratterizzati da urgenza (ad esempio provvedimenti di natura cautelare o nei confronti di imputati detenuti), possa richiedere formalmente al dirigente (con almeno sette giorni di anticipo, se possibile) di essere richiamato in servizio.

Nella risoluzione 20 aprile 2016, si afferma il principio secondo cui deve essere assicurato sia agli uffici giudicanti, sia a quelli requirenti, un congruo periodo di avvicinamento al godimento delle ferie da dedicare al deposito di provvedimenti e atti e all’esaurimento delle attività in corso (c.d. “periodo di distacco”) e un periodo analogo di rientro, per consentire l’adeguato studio e preparazione delle udienze e delle altre attività fissate (c.d. “periodo di rientro”).

[11] Si fa qui riferimento al parere di Cons. Stato, sez. II, 18 gennaio 2017 n. 448, reso su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, che così recita in parte qua: “Quanto poi alla dedotta questione della decorrenza del termine per il deposito dei provvedimenti giurisdizionali, durante il periodo feriale, essa è parimenti infondata, se non addirittura inammissibile.

Questa Sezione afferma innanzitutto il principio che durante il periodo feriale non decorre alcun termine per il deposito dei provvedimenti per i quali si prevede la redazione da parte del magistrato.

Ove qualsiasi altra autorità ritenga il contrario, l’interessato potrà sostenere innanzi ad essa (e in quella sede) l’intrinseca irragionevolezza di una simile previsione.

In ogni caso la Sezione non può che rilevare che la questione sottoposta prescinde dal numero di giorni di ferie e che essa preesisteva all’introduzione della modifica normativa (da qui il profilo di inammissibilità in quanto la modifica nulla ha innovato sul precedente assetto ordinamentale).

Infatti ove venga adottato un provvedimento, che richieda una successiva redazione, nel giorno precedente la decorrenza delle ferie, il presunto obbligo di redazione decorrerà a prescindere dalla loro durata; anzi, paradossalmente, se il periodo di ferie fosse più lungo (ad esempio: sessanta o novanta giorni), il termine per il deposito scadrebbe inevitabilmente durante la decorrenza delle ferie.

E con ciò si è anche dimostrato che durante il periodo feriale non decorre alcun termine per il deposito dei provvedimenti giurisdizionali”.

[12] Corte cost., 5 novembre 2015 n. 222, resa a seguito di ordinanza Trib. Ragusa 23 settembre 2014.

[13] Scrive Zaccaria, op. cit., in fine del suo contributo: “Così accertato, dunque, che il periodo di ferie dei magistrati (tutti) deve intendersi oggi ridotto a trenta giorni, non rimane che stigmatizzare il modo in cui questo risultato è stato raggiunto: difficile immaginare un percorso più contorto. Ma non c’è, purtroppo, da dolersi più di tanto: è sufficiente, infatti, guardarsi anche solo un attimo intorno, nell’attuale mondo legislativo, per concludere che, soltanto, “è piovuto sul bagnato”.