ISSN 2039-1676


02 novembre 2017 |

Ennesima condanna dell’Italia per violazione del diritto al confronto

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 12 ottobre 2017, Cafagna c. Italia

Contributo pubblicato nel Fascicolo 11/2017

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1. Dopo la sentenza della Grande Camera del 15 dicembre 2011, Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito, si era previsto un drastico ridimensionamento del contenzioso dell’Italia con l’Europa in materia di letture (F. Zacchè, Rimodulazione della giurisprudenza europea sui testimoni assenti, in questa Rivista, 17 gennaio 2012, p. 5).

A partire da quel momento, con un parziale overrulling, i giudici di Strasburgo hanno relativizzato il divieto d’impiegare le dichiarazioni determinanti ai fini della condanna rese dal testimone assente, quando l’impossibilità per la difesa d’interrogare il teste sia giustificata da un evento in alcun modo imputabile all’autorità giudiziaria e adeguatamente compensata da garanzie procedurali idonee ad assicurare l’equità complessiva del procedimento (parla, al riguardo, di «contraddittorio riequilibrato» G. Ubertis, Sistema di procedura penale, I, Principi generali, Milano, 2017, p. 207).

 

2. Allo scopo di fronteggiare la serie di condanne inanellate dal nostro Stato per la violazione dell’art. 6 commi 1 e 3 lett. d Cedu (cfr., ad es., C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 18 maggio 2010, Ogaristi c. Italia; sez. III, sent. 8 febbraio 2007, Kollcaku c. Italia; sez. I, sent. 19 ottobre 2006, Majadallah c. Italia; sez. III, sent. 13 ottobre 2005, Bracci c. Italia), a sua volta, la giurisprudenza di legittimità ha abbandonato l’assunto secondo cui sarebbe sempre ammessa l’utilizzazione in sentenza delle dichiarazioni raccolte inaudita altera parte di cui sia impossibile la ripetizione per causa oggettiva (Cass., sez. un., 28 maggio 2003, Torcasio, in Cass. pen., 2004, p. 33), giungendo ad affermare che, «quando l’imputato non [ha] mai avuto la possibilità di interrogare» la fonte di prova, le sue dichiarazioni devono essere esaminate «congiuntamente ad altri elementi di riscontro» sulla falsariga dell’art. 192 comma 3 c.p.p. (Cass., sez. un., 25 novembre 2010, D.F., in Cass. pen., 2012, p. 872); o, più in generale, vi devono essere solide garanzie procedurali in grado d’assicurare l’equità della procedura nel suo insieme (Cass., sez. VI, 13 novembre 2013, n. 2296, Frangiamore, in CED, n. 257771), alla stregua degli insegnamenti europei.

 

3. L’ennesima condanna emessa da C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 12 ottobre 2017, Cafagna c. Italia, nasce proprio dalla ritrosia di parte della Cassazione ad adeguarsi agli standard imposti dalla Carta di Roma in tema di contraddittorio. Nella specie, il giudice di legittimità aveva dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato, che si doleva dell’impiego in sentenza delle dichiarazioni del testimone irreperibile. A parere della Corte, mancavano «circostanze da cui ricavare la prova che il teste d’accusa a[vesse] mai espresso la volontà di sottrarsi al contraddittorio con l’accusato e il suo stato di latitanza … [aveva così] impedito una sua regolare citazione per l’udienza» (Cass., sez. II, 17 ottobre 2012, n. 45791, Cafagna, in CED, n. 252269). Da qui, la piena utilizzabilità delle prove assunte in difetto di contraddittorio, ai sensi dell’art. 512 c.p.p.

Alla luce dei criteri fissati nel c.d. “Al-Khawaja test” – e ribaditi, con ulteriori precisazioni, da C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 15 dicembre 2015, Schatschaschwili c. Germania (cfr., in argomento, F. Zacchè, Il diritto al confronto nella giurisprudenza europea, in Regole europee e processo penale, a cura di A. Gaito e D. Chinnici, Milano, 2016, p. 215 ss.) – la Corte di Strasburgo ha avuto buon gioco nello stabilire la violazione del dettato convenzionale: l’autorità nazionale non ha fatto tutto quanto ragionevolmente ci si potesse aspettare per garantire la presenza al processo della fonte di prova (1° step): le dichiarazioni dell’assente erano determinanti ai fini dell’accertamento della responsabilità (2° step); la mera lettura dibattimentale delle dichiarazioni raccolte, in modo unilaterale, dalla polizia giudiziaria durante le indagini ha impedito un apprezzamento corretto ed equo della credibilità di tali prove da parte dell’organo giurisdizionale (3° step).

 

4. Certo, la vicenda segnalata dovrebbe rappresentare un “incidente di percorso” negli sviluppi dell’interpretazione convenzionalmente orientata della normativa sulle letture ex art. 512, 512-bis, 513 comma 2 c.p.p., nonché di quella sull’acquisizione dei verbali d’altro procedimento, ai sensi dell’art. 238 comma 3 c.p.p. Tuttavia, non va sottovalutata: sono ancora numerosi i casi di «prassi devianti che, con riguardo alla testimonianza di soggetti vulnerabili (minori, in primis), prescindono dall’esame in contraddittorio, ancorché anticipato e disposto con modalità protette attenuative del confronto» (R. Casiraghi, sub art. 6, in Corte di Strasburgo e giustizia penale, a cura di G. Ubertis - F. Viganò, Torino, 2016, p. 224). Né vanno dimenticati «i difetti di coordinamento» fra i “più recenti” approdi giurisprudenziali della Cassazione in tema di letture e le questioni relative all’impiego contra reum della testimonianza indiretta o dei documenti a contenuto dichiarativo, allorché risulti impossibile sentire la fonte diretta o l’autore della res rappresentativa, ai sensi degli art. 195 comma 3 e 234 c.p.p. (R. Casiraghi, sub art. 6, cit., p. 223).