ISSN 2039-1676


27 settembre 2018 |

Le Sezioni Unite tornano sui confini dell'onere di motivazione del decreto di sequestro probatorio del corpus delicti

Cass., Sez. Un., sent. 19 aprile 2018 (dep. 27 luglio 2018), n. 36072, Pres. Carcano, Rel. Andreazza, Ric. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Nuoro

Contributo pubblicato nel Fascicolo 9/2018

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1. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato, con la sentenza in commento, il principio di diritto secondo cui «il decreto di sequestro (così come il decreto di convalida di sequestro) probatorio, anche ove abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una specifica motivazione sulla finalità perseguita per l’accertamento dei fatti».

La pronuncia in esame si colloca nell’alveo di un’accesa discussione giurisprudenziale incentrata sui confini dell’onere motivazionale del decreto di sequestro probatorio. In particolare, i Giudici del Supremo Consesso hanno avallato un orientamento ermeneutico di stampo garantistico già affermato in precedenza dalle Sezioni Unite, rispondendo al quesito di diritto che può riassumersi nei termini che seguono: «se, anche per le cose che costituiscono corpo del reato, il decreto di sequestro (o di convalida del sequestro) probatorio debba essere comunque motivato quanto alla finalità in concreto perseguita per l’accertamento dei fatti».

 

2. Prima di addentrarsi nel cuore della nota querelle giurisprudenziale, conviene premettere una breve descrizione della vicenda sotto il profilo fattuale.

Il Tribunale di Nuoro, in accoglimento della richiesta di riesame di un decreto di convalida del sequestro probatorio (avente ad oggetto beni immobili, tra cui magazzini ed appartamenti), aveva annullato con ordinanza il decreto stesso, disponendo la restituzione dei beni agli aventi diritto.

Avverso tale provvedimento, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Nuoro aveva proposto ricorso per cassazione, deducendo, con un primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c), c.p.p., in relazione all’art. 253 c.p.p.

In sintesi, il P.M. ricorrente si doleva del fatto che i giudici del riesame avessero annullato il provvedimento di convalida del sequestro probatorio, ritenendo “obiettivamente insussistente” la motivazione in relazione alle esigenze probatorie poste a base del medesimo.

E infatti, pur dando atto dell’esistenza di due diversi orientamenti interpretativi sul punto, il P.M. ricorrente aderiva ad un orientamento giurisprudenziale incline ad ammettere che il provvedimento di sequestro probatorio, sotto il profilo motivazionale, possa essere sorretto dall’utilizzo di “formule sintetiche” allorché il compendio sequestrato risulti ontologicamente avvinto da una funzione probatoria di immediata evidenza, stante la peculiarità delle res che lo costituiscono. In particolare, secondo le prospettazioni difensive, nel caso di specie, il requisito della finalità probatoria sarebbe stato in re ipsa, in ragione della precipua natura dei beni immobili, i quali, relativamente ai reati edilizi, sono caratterizzati da una finalizzazione probatoria intrinseca.

Portata la questione al vaglio della Corte di cassazione, i Giudici della terza sezione hanno riscontrato la presenza di orientamenti interpretativi non omogenei in seno alla più autorevole sezione della stessa Corte.

Peraltro, gli stessi Giudici remittenti, rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul tema, hanno valorizzato gli orientamenti interpretativi tesi ad ammettere che il decreto di sequestro probatorio, allorché sia indirizzato all’apprensione di beni costituenti il corpus delicti, possa essere caratterizzato da una motivazione di minor pregnanza o addirittura assente, in ragione della finalità probatoria in re ipsa del corpo di reato[1].

Nonostante l’apprezzamento manifestato verso siffatti orientamenti interpretativi, i Giudici della terza sezione ritenevano comunque necessario rimettere la questione al vaglio del Supremo Consesso in virtù del novellato art. 618, comma 1 bis, c.p.p.[2] La norma, recentemente modificata sulla falsariga del rito civile, prevede adesso come “obbligatorio” l’intervento delle Sezioni Unite in tutti i casi in cui una delle Sezioni semplici intenda discostarsi dalle prime.

 

3. Così ricostruita la vicenda, al fine di comprendere l’humus concettuale in cui si inserisce la pronuncia in commento, s’impone un rapido excursus sulle principali tappe del travagliato iter giurisprudenziale che ha nel tempo contrapposto i Giudici della più autorevole Sezione della Corte di cassazione.

Il dibattito sorto in seno alle Sezioni Unite, come si vedrà, appare caratterizzato da forti contrasti interpretativi in merito alla latitudine dell’onere motivazionale del sequestro probatorio volto all’apprensione del corpus delicti. Una questione che, negli anni, ha intaccato la tendenziale certezza del diritto, specie in considerazione del fatto che i perduranti dubbi ermeneutici, sorti intorno all’art. 253 c.p.p., sono stati alimentati da continue oscillazioni giurisprudenziali in seno alle singole Sezioni semplici della Corte di cassazione. La tematica, oltre ad essere stata nel “mirino” del dibattito giurisprudenziale, ha assunto altresì centralità nella riflessione dottrinale, ove si registrano soluzioni ermeneutiche contrastanti intorno ad «un dubbio interpretativo di non poco conto»[3].

Ciò che risulta, all’alba della più recente pronuncia delle Sezioni Unite, è un quadro quanto mai frastagliato e incerto.

Pare opportuno, dunque, mettere ordine.

 

4. Un primo intervento sul tema risale al 1991, quando le Sezioni Unite cd. “Raccah” [4] si dissociarono dall’orientamento interpretativo che affermava la superfluità della motivazione allorché il sequestro probatorio fosse indirizzato all’apprensione del corpus delicti. In quest’occasione, i Giudici della Cassazione si soffermarono anche sui profili sintattico- grammaticali concernenti l’interpretazione dell’art. 253 c.p.p.[5], smentendo quelle letture intese ad attribuire valore dirimente all’utilizzo dell’aggettivo “necessarie”, di genere femminile, e quindi asseritamente riferito alle “cose pertinenti al reato”, e non anche al “corpo di reato” (per il quale, evidentemente, non sarebbe stata necessaria una motivazione in ordine alla finalità perseguita nelle indagini)[6]. Come stretta conseguenza, veniva sostenuta la necessità di parametrare la legittimità del provvedimento all’indicazione della finalità perseguita per le indagini anche laddove il sequestro probatorio abbia ad oggetto il corpo di reato.

Sotto diversa prospettiva, le Sezioni Unite smentirono l’assunto secondo cui il corpus delicti è sempre necessario per l’accertamento dei fatti. Invero, tale affermazione, oltre ad essere contraddetta dal dato naturalistico[7], mal si concilia con il tenore dell’art. 262, comma 1, c.p.p., che impone la restituzione delle cose quando viene meno la necessità del sequestro ai fini di prova.

 

5. L’orientamento ermeneutico in parola non fu, tuttavia, molto longevo.

È nel 1994, infatti, che si registra una radicale inversione di tendenza attraverso la sentenza a Sezioni Unite cd. “Carella”[8].

Con questa pronuncia, le Sezioni Unite affermarono che la finalità probatoria del corpus delicti è in re ipsa, sconfessando così platealmente quanto affermato dalla precedente sentenza.

Come conseguenza giuridica di tale assunto, veniva sostenuta la non necessità, per le cose costituenti corpo del reato, di una specifica motivazione del sequestro in funzione dell’accertamento dei fatti, essendo al tal fine necessario richiamarsi alla qualificazione della cosa come corpus delicti.

A tal proposito, le Sezioni Unite, accogliendo le soluzioni interpretative offerte da una parte minoritaria della dottrina[9], ritennero di doversi soffermare sulla nozione di corpo di reato, rilevando come il concetto rimandi ad un rapporto di immediatezza tra la res e l’illecito per cui si procede, tale da rendere superflua la motivazione del provvedimento in ordine alle finalità probatorie in concreto perseguite.

In questa prospettiva, veniva altresì sottolineato – in antitesi rispetto a quanto affermato dalla sentenza a Sezioni Unite cd. “Raccah” – come la presenza nell’art. 253 c.p.p. dell’aggettivo “necessarie” fosse indice della volontà del legislatore di prescrivere l’indicazione della finalità probatoria solo per le cose pertinenti al reato e non anche per il corpo di reato[10].

 

6. L’orientamento ermeneutico meno garantistico, inaugurato dalle Sezioni Unite cd. “Carella”, benché più longevo rispetto al precedente, non riuscì tuttavia a mettere la parola “fine” alla nota querelle interpretativa. Infatti, le puntuali sentenze di segno opposto, maturate in seno alle Sezioni semplici della Cassazione, hanno contribuito ad inficiare la solidità dell’orientamento in parola, aprendo così la strada ad un successivo, ed inevitabile, intervento delle Sezioni Unite.

È nel 2004, infatti, che si registra un’ulteriore “virata” interpretativa: con la sentenza a Sezioni Unite cd. “Bevilaqua”[11], sulla scia delle posizioni condivise dalla dottrina maggioritaria[12], vennero rivangate sostanzialmente le affermazioni contenute nella sentenza “Raccah” del 1991.

Anche in questa occasione, si ritenne che, per le cose costituenti corpo di reato, il decreto di sequestro debba essere sorretto da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti.

Sebbene i profili motivazionali posti a fondamento della pronuncia risultino, in parte, coincidenti con quelli con quelli fatti propri dalle Sezioni Unite “Raccah”, giova evidenziare come le Sezioni Unite abbiano, in questa occasione, posto l’accento sull’assenza nel codice di rito della figura autonoma del “sequestro del corpo di reato”, quale quartum genus suscettibile di essere ricondotto sotto regole diverse rispetto a quelle che disciplinano il sequestro delle cose pertinenti al reato.

 

7. Anche al seguito di tale ultimo intervento delle Sezioni Unite l’incertezza interpretativa, intorno alla latitudine dell’onere motivazionale del sequestro probatorio del corpo di reato, non è venuta meno.

Invero, accanto a sentenze attraverso cui la Cassazione ha recepito il dictum delle Sezioni Unite cd. “Bevilaqua”[13], si registrano orientamenti di segno opposto, attraverso i quali la Cassazione, sia pur con diversi accenti, ha continuato a legittimare un minor rigore dell’onere motivazionale del sequestro volto all’apprensione del corpus delicti.

Alcune pronunce, espressione di un orientamento ermeneutico più radicale, hanno recepito il dictum formulato dalle sezioni Unite cd. Carella, affermando la legittimità del decreto di sequestro probatorio del corpo di reato privo dell’indicazione delle finalità perseguite per le indagini, attesa la circostanza per cui l’esigenza probatoria del corpus delicti è in re ipsa[14].

Nella medesima prospettiva, ma con toni più moderati, altre sentenze hanno affermato il principio secondo cui «la motivazione del provvedimento impositivo del vincolo reale deve essere modulata in relazione al caso concreto e dovrà, in particolare, essere rafforzata ogni qual volta il nesso tra il bene e il reato per cui si procede sia indiretto, mentre potrà farsi ricorso ad una formula sintetica nei casi in cui la funzione probatoria del sequestro sia di immediata evidenza»[15].

 

8. In questo quadro, dunque, si inserisce il recente intervento delle Sezioni Unite. Ed è questo, al contempo, il contesto di incertezza interpretativa che permette ora di cogliere appieno il valore della pronuncia in commento che, nel ribadire le posizioni più garantistiche, sembrerebbe – almeno fino ad ora – aver contribuito a far luce sulla corretta interpretazione dell’art. 253 c.p.p.

Pare utile, a questo punto, ripercorrere i principali passaggi motivazionali tracciati dalle Sezioni Unite a sostegno del principio di diritto secondo cui la motivazione del decreto di sequestro probatorio, anche ove abbia ad oggetto il corpo di reato, deve contenere l’indicazione circa la finalità in concreto perseguita per l’accertamento dei fatti.

Innanzitutto, le Sezioni Unite, riprendendo le argomentazioni contenute nella sentenza cd. Bevilaqua, hanno nuovamente evidenziato la mancanza nel nostro ordinamento di una regolamentazione autonoma del sequestro probatorio del corpo di reato, non essendo quindi consentite «differenziazioni di sorta» rispetto al sequestro delle cose pertinenti al reato. Del resto, è lo stesso tenore letterale dell’art. 253 c.p.p. a confermare tale assunto, posto che la necessità della motivazione viene esplicitata «in termini assoluti nell’incipit della disposizione e, dunque, indipendentemente dalla natura delle cose da apprendere ai fini di prova».

Peraltro, anche quelle sentenze che hanno “ritagliato” un onere motivazionale diversificato per il sequestro probatorio del corpus delicti[16], calibrato sulla valorizzazione di aspetti diversi, quali la relazione di immediatezza tra bene e reato per cui si procede, hanno in sostanza ammesso la necessità di motivare il decreto. Sul piano logico, infatti, viene precisato come l’esigenza, fatta propria da siffatto orientamento, che il decreto dia conto del reato per cui si procede (tramite indicazione degli estremi di tempo, luogo e fatto) «è evidentemente elemento-presupposto richiesto proprio in funzione della valutazione del collegamento tra bene e accertamento del fatto stesso».

In linea con tali asserti, la sentenza in commento riprende alcuni passaggi argomentativi già esplorati in precedenza dalle Sezioni Unite.

Ci si riferisce, in particolare, alla valorizzazione dell’art. 262, comma 1, c.p.p., secondo cui i beni sequestrati devono essere restituiti agli aventi diritto al venir meno delle esigenze probatorie[17].

La norma, caratterizzata da una valenza generale, non si concilia con l’assunto secondo cui il corpo di reato avrebbe una valenza probatoria in re ipsa: se così fosse, infatti, «nessuna possibile restituzione potrebbe prospettarsi».

Anche alla luce di tali considerazioni, sostengono i Giudici, il sequestro probatorio del corpo di reato non può che avere una natura “facoltativa”, posto che «sarebbe illogico garantire lo scrutinio sull’opportunità di mantenere il sequestro già disposto e non consentire una analoga facoltà all’atto stesso della decisione di applicare la misura»[18].

Nella medesima prospettiva, le Sezioni Unite, utilizzando lo strumento argomentativo della interpretazione sistematica, hanno valorizzato altresì il dato normativo ricavabile dall’art. 354, comma 2, c.p.p. La norma, afferente agli accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone, attribuisce alla polizia giudiziaria il potere, «se del caso», di procedere al sequestro del corpus delicti e alle cose ad esso pertinenti.

Ebbene, secondo la Cassazione, l’utilizzo della locuzione «se del caso» non avrebbe alcun senso se si sostenesse un automatismo tra sequestro e corpo di reato, quale conseguenza della intrinseca valenza probatoria di quest’ultimo.

Del resto, sostengono i Giudici, se così non fosse si rischierebbe anche di svilire il significato di quelle norme (come, ad esempio, l’art. 103, comma 2, c.p.p. in tema di sequestro presso i difensori[19]) che impongono sempre l’apprensione del corpus delicti. Esse, infatti, non avrebbero alcun senso se si sostenesse che l’art. 253 c.p.p. configuri un’ipotesi “obbligatoria” di sequestro del corpo di reato.

 

9. Fatta chiarezza sulla portata dell’onere motivazionale del decreto di sequestro probatorio del corpo di reato, la Corte di cassazione, sulla scia delle pronunce precedenti, si è soffermata a precisare come la soluzione ermeneutica in parola sia l’unica compatibile con i principi costituzionali e convenzionali.

Tra questi, in particolare, assume speciale rilievo il diritto alla “protezione della proprietà”, sacralizzato dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

E infatti, la motivazione del decreto di sequestro probatorio assurge a strumento di garanzia per vagliare la legittimità del provvedimento sotto il profilo dell’equo sacrificio degli interessi tutelati[20]. Nello specifico, il requisito motivazionale della strumentalità probatoria del bene rispetto all’accertamento del reato diventa «indispensabile affinché il decreto di sequestro, per sua vocazione inteso a comprimere il diritto della persona a disporre liberamente dei propri beni, si mantenga appunto nei limiti costituzionalmente e convenzionalmente prefissati».

Se così non fosse, verrebbero irrimediabilmente frustrate le prerogative della Difesa, privata in radice della possibilità di opporsi all’apprensione coattiva del bene. Senza parlare del vulnus che si configurerebbe nell’ipotesi in cui i beni, costituenti corpo di reato, siano di proprietà della vittima o addirittura di soggetti estranei alla vicenda criminosa.

Sempre sul piano dei principi, osservano i Giudici, il rigore dell’onere motivazionale risulta altresì espressione del requisito della “proporzionalità” della misura che, in quanto corollario del principio costituzionale di “ragionevolezza”, dischiude nel suo perimetro assiologico l’ulteriore requisito della “residualità” della stessa.

A tal proposito, le Sezioni Unite hanno ritenuto opportuno richiamarsi, per analogia, a quella giurisprudenza della Corte di cassazione che ha considerato applicabili anche alle “misure cautelari reali” i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall’art. 275 c.p.p. con specifico riferimento alle misure cautelari personali[21].

Sempre per le stesse ragioni, le Sezioni Unite hanno ritenuto pertinente il richiamo alla giurisprudenza della Corte Edu che pone l’accento sull’esigenza di ponderare il ricorso ai provvedimenti cautelari reali sull’esigenza che essi non comportino un eccessivo sacrificio verso il diritto di proprietà avanzato dall’individuo sui beni sottoposti a vincolo restrittivo[22].

Viene ritenuto, infatti, che non vi siano ragioni valide per escludere che analoghe affermazioni, seppur enunciate con riferimento alle “misure cautelari reali”, possano valere – per evidente identità di ratio – anche per il sequestro probatorio che, invece, è un “mezzo di ricerca della prova”.

 

10. Sono queste, in definitiva, le principali argomentazioni attraverso cui le Sezioni Unite hanno ribadito la corretta portata ermeneutica dell’art. 253 c.p.p.

Una norma che, come dimostrato in precedenza, ha sempre sofferto la conflittuale forza attrattiva delle due istanze rappresentanti il “cuore pulsante” della dialettica processual-penalistica. Quelle che, nell’ottica inquisitoria, spingono verso il rafforzamento delle prerogative dell’Accusa, e quelle inclini a garantire che anche gli strumenti nella diponibilità del Pubblico Ministero (come, appunto, il sequestro probatorio) siano utilizzati in conformità ai canoni del “giusto processo”.

Ed è appunto in quest’ultimo filone che la sentenza in commento si colloca, nella misura in cui viene escluso che automatismi probatori insiti nel corpus delicti possano riflettersi sulla motivazione del decreto di sequestro.

Per questo, in definitiva, si ritengono pienamente condivisibili i dicta affermati dalla pronuncia in commento; essa, infatti, in ragione delle limpide posizioni garantistiche, lascia ben pochi spazi ai rilievi critici.

Sicché, resta solo da auspicarsi che la giurisprudenza, nei futuri contesti applicativi, si orienti sui principi di diritto da ultimo affermati – rectius “ribaditi” – dalle Sezioni Unite, onde evitare che successive pronunce dell’organo nomofilattico possano riportare nuovamente il sequestro probatorio del corpus delicti nel limbo dell’incertezza interpretativa

 


[1] L’ordinanza di rimessione, in prima battuta, valorizza un orientamento interpretativo incline ad ammettere che il decreto di sequestro probatorio, sotto il profilo motivazionale, possa basarsi sull’utilizzo di formulazioni sintetiche nel caso in cui la funzione probatoria del corpo del reato sia connotato ontologico ed immanente del compendio sequestrato, di immediata evidenza, desumibile dalla peculiare natura delle cose che lo compongono. Ancora, più radicalmente, i giudici della terza sezione mostrano successivamente di aderire all’orientamento interpretativo secondo cui la motivazione del sequestro probatorio del corpo di reato può essere limitata alla qualificazione del bene come corpus delicti, posto che in relazione a quest’ultimo la finalità probatoria è in re ipsa.

 Per una maggiore comprensione dell’orientamento interpretativo sostenuto dai giudici remittenti (con i relativi riferimenti giurisprudenziali) si rimanda al contenuto dell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite (Cass. pen., Sez. III, ord. 1 dicembre 2017 (dep. 25 gennaio 2018) n. 03677, Pres. Cavallo, Rel. Scarcella) pubblicata in questa Rivista.

[2] Il comma 1 bis dell’art. 618 c.p.p. è stato aggiunto dall’art. 1, comma 66, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

[3] Bricchetti, Tra pretese lacune legislative e problemi di sintassi le Sezioni unite optano per la violazione di legge, in Guida Dir., 2004, 9, 61.

[4] Cass. pen., Sez. Un., 18 giugno 1991, n. 10, Raccah, in Cass. Pen., 1991, 925.

[5] Per una dettagliata analisi dei principali nodi interpretativi concernenti i profili sintattico-grammaticali dell’art. 253 c.p.p., si rimanda a Fiorelli, Automatismi legati al corpus delicti: un nodo “immotivatamente” insoluto, in Cass. Pen., 2014, 1737. Secondo l’Autrice, i problemi interpretativi della norma in parola – e la relativa «ambiguità» – derivano «dall’imprecisione del linguaggio legislativo adottato dall’articolo».

[6] Cfr. Cass. pen., Sez. Un., Raccah, cit., secondo cui «per ragioni di immediata contiguità sintattica è possibile la concordanza dell’aggettivo con l’ultimo nome femminile, quando questo è plurale, anche se preceduto da nomi maschili».

[7] In dottrina è stato sottolineato come la mera potenzialità probatoria insita nel corpo di reato non possa tradursi automaticamente in un giudizio di necessario apprendimento del bene in funzione di accertamento dei fatti. In tal senso, v. Massari, La necessità ai fini dell'accertamento come presupposto del sequestro del corpo del reato, in Cass. Pen., 2004, 1921.

[8] Cass. pen., Sez. Un., 11 febbraio 1994, n. 2, Carella, in Giur. It., 1994, II, 793 ss., con nota di Muncibì, Sequestro probatorio del corpo del reato ed obbligo di motivazione.

[9]Tafi, In tema di oggetto del sequestro probatorio, in Arch. Nuova Proc. Pen., 1992, 179. Sul punto, v. anche Selvaggi, L’oggetto nel sequestro probatorio e nel sequestro preventivo, in Cass. Pen., 1991, 937.

[10] La valorizzazione del dato letterale, nella prospettiva di sostenere la sussistenza di un automatismo tra la qualifica di corpus delicti e la necessaria apprensione del bene ai fini investigativi, è stata criticata da una parte della dottrina. In tal senso, Fiorelli, Automatismi legati al corpus delicti: un nodo “immotivatamente” insoluto, cit., 1737, secondo cui «il mero dato letterale, a fronte della complessa tematica sottesa, non sembra, infatti, offrire argomento decisivo a delineare la portata del provvedimento. Appare, invero, assolutamente riduttivo che una tematica così delicata, quale la garanzia del controllo motivazionale, possa dipendere dall'ambigua declinazione di un aggettivo».

[11] Cass. pen., Sez. Un., 28 gennaio 2004, n. 5876, Bevilacqua, in Guida Dir., 2004, 9, 54 ss.

[12] Cavallaro, Ancora sulla motivazione del sequestro probatorio del corpo del reato, in Cass. Pen., 2003, 585; Filippi, Sull’obbligo di motivare il sequestro del corpo di reato, in Cass. Pen., 1999, 1225; Coppi, Sulla necessità di motivare il sequestro del corpo del reato, in Giur. it., 1992, II, 446.

[13] Fra le pronunce che hanno ribadito l’assunto di un onere motivazionale indifferenziato del decreto, a prescindere dalla tipologia di oggetto sottoposto ad apprensione, si veda in particolare Cass. pen, II sez., 13 luglio 2012, n. 32941, Rv. 253658, così massimata «il sequestro probatorio, anche quando abbia ad oggetto il corpo del reato, necessita di specifica motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze probatorie, non potendosi ritenere che queste siano "in re ipsa"». Nella medesima prospettiva, v. Cass. pen., II sez., 9 marzo 2009, n. 10475, in Giur. It., 2010, 428 ss., con nota di Gabrielli, Sequestro probatorio del corpo di reato.

[14] In tal senso, con particolare riferimento al sequestro di sostanza stupefacente, v. Cass. pen., IV sez., 15 gennaio 2010, n. 8662, Rv. 246850, secondo cui «in tema di sequestro probatorio, non è richiesta la dimostrazione in relazione alle cose che costituiscono il corpo di reato, della necessità del sequestro in funzione dell'accertamento dei fatti, poiché l'esigenza probatoria del "corpus delicti" è in "re ipsa"».

[15] In questi termini, Cass. pen., II sez., 11 febbraio 2015, n. 11325, Rv. 263130 (fattispecie in materia di ricettazione, nella quale la Corte ha ritenuto adeguatamente motivato il sequestro probatorio di tre sacchetti di coppella di argento e un lingotto di metallo giallo giustificato dalla necessità di verificare se fossero di provenienza furtiva). Nella medesima prospettiva, la necessità di “modulare” la motivazione sulla base della tipologia di bene sottoposto a sequestro era stata precedentemente affermata da Cass. pen., IV sez., 24 ottobre 2007, n. 39371, in Giur. It., 2008, 1244 ss., con nota di Anderlini, Sequestro probatorio e motivazione.

[16] Da ultimo, Cass. pen., II sez., 20 luglio 2016, n. 46357, Rv. 268510, così massimata: «Il decreto di sequestro probatorio delle cose che costituiscono corpo del reato deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine alla sussistenza della relazione di immediatezza tra la res sequestrata ed il reato oggetto di indagine, non anche in ordine alla necessità di esso in funzione dell'accertamento dei fatti, poiché l'esigenza probatoria del corpo del reato è in re ipsa».

[17] La tesi secondo cui l’art. 262, comma 1, c.p.p. sarebbe un ostacolo nei confronti delle posizioni interpretative improntate ad escludere che il sequestro probatorio del corpo di reato debba indicare anche la finalità perseguita per le indagini era stata sostenuta anche dalla dottrina. Sul punto, in particolare, v. Bellantoni, Sequestro probatorio e processo penale, Piacenza, 2005, 122; Macchia, I mille significati del “corpo di reato” ai fini del sequestro probatorio. Definizioni conformi, ma esiti decisionali contrastanti, in Dir. & giust., 2003, 39, 25.

[18] Questa soluzione ermeneutica, ribadita dalla sentenza in commento, è condivisa anche da una parte della dottrina. Sul punto, in particolare, v. Fiorelli, Automatismi legati al corpus delicti: un nodo “immotivatamente” insoluto, cit., 1737; Selvaggi, L'oggetto nel sequestro probatorio e nel sequestro preventivo, cit., 937.

[19] Il riferimento, tuttavia, può essere esteso anche alle seguenti norme: art. 235, c.p.p., in tema di sequestro di documenti; art. 240, c.p.p. in tema di acquisizione di documenti contenenti dichiarazioni anonime.

[20] Sull’importanza della motivazione, quale strumento di garanzia per vagliare la legittimità del decreto di sequestro probatorio, v. Campilongo, Brevi considerazioni sul decreto del p.m. che dispone o convalida il sequestro probatorio: l'omessa descrizione del fatto-reato, in Cass. Pen, 2006, 2085 ss.

[21] Da ultimo, Cass. pen., III sez., 07 maggio 2014, n. 21271, Rv. 261509.

[22] Da ultimo, Corte Edu, 13 dicembre 2016, S.C. Fiercolect Impex S.R.L. c. Romania.