18 ottobre 2018 |
Sottoposizione a misure di sicurezza personali e revoca prefettizia della patente di guida: l’automatismo del provvedimento al vaglio della Corte Costituzionale
TAR Marche, Sez. I, ord. 13 giugno 2018 (dep. 14 luglio 2018), n. 519, Pres. Filippi, Est. Morri
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1. Con la recente ordinanza depositata lo scorso 24 luglio 2018, n. 519 il Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche (Sezione Prima) ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), per contrasto con gli artt. 3, 4, 16 e 35 Cost., nella parte in cui dispone che il prefetto “provvede” – invece che “può provvedere” – alla revoca della patente nei confronti di coloro che sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali.
2. Al fine di poter dare conto del percorso argomentativo seguito dai giudici amministrativi nell’ordinanza in oggetto, è necessario riportare, in estrema sintesi, i fatti oggetto della specifica vicenda processuale.
Il magistrato di sorveglianza di Ancona disponeva che al ricorrente venisse applicata, per la durata di un anno, la misura di sicurezza della libertà vigilata. In conseguenza di ciò, il prefetto di Pesaro-Urbino con provvedimento decretava la revoca della patente di guida nei confronti del sottoposto alla misura di sicurezza, in conformità all’art. 120, comma 2, c.d.s.
La suddetta disposizione, infatti, tra i requisiti morali ostativi al rilascio della patente di guida prevede la sottoposizione a misure di sicurezza personali, statuendo che, ove il soggetto sia stato in precedenza abilitato alla guida di autoveicoli[1], «il prefetto provvede alla revoca amministrativa della patente di guida»[2].
3. A sostegno dell’impugnativa il ricorrente deduceva, in un’unica censura, la violazione di legge ed eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità del provvedimento ablativo emanato dall’autorità prefettizia, sostenendo che la revoca della patente si ponesse in contrasto con l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, nella parte in cui stabiliva che nulla ostava alla possibilità per l’interessato di continuare a fare uso della patente di guida in costanza di misura di sicurezza per ragioni legate all’attività lavorativa.
Tale evenienza, specificatamente legata all’attività lavorativa favorita attraverso la libertà vigilata, veniva tuttavia vanificata dalla revoca del titolo di guida disposta dal prefetto nell’esercizio del potere previsto dal richiamato articolo 120, comma 2, c.d.s.
4. Esprimendosi sulla controversia, il TAR Marche richiama il prevalente orientamento della giurisprudenza, sia civile che amministrativa, secondo il quale il provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida in dipendenza di misure di sicurezza personali non costituisce esercizio di discrezionalità amministrativa, cioè di potere idoneo a degradare la posizione di diritto soggettivo della persona abilitata alla guida, ma rappresenta un atto dovuto nel concorso delle condizioni stabilite dalla norma[3]. Si tratta, in buona sostanza, di un atto ad emanazione normativamente vincolata, nei presupposti e negli effetti, senza che si possa riconoscere, alla competente autorità prefettizia, alcun potere discrezionale riguardo al suo contenuto.
Sulla base di tale impostazione e in conformità alla tradizionale dicotomia tra attività vincolata e attività discrezionale della Pubblica Amministrazione – quale canone logico-giuridico per la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi e, dunque, per il riparto di giurisdizione tra G.O. e G.A. –, la cognizione sulle controversie aventi ad oggetto il provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida adottato ai sensi dell’art. 120 c.d.s. appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario[4], essendo il soggetto sottoposto a misura di sicurezza personale titolare di una posizione di diritto soggettivo[5].
5. Secondo il Collegio rimettente, tuttavia, il menzionato orientamento dovrebbe essere rivisitato alla luce della recente pronuncia della Corte Costituzionale 9 febbraio 2018, n. 22, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 120, comma 2 – con riguardo all’ipotesi di condanna per i reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. 309/1990 (T.U. delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope[6]) – nella parte in cui dispone che il prefetto “provvede”, invece che “può provvedere”alla revoca della patente.
A fondamento della propria decisione il Giudice delle leggi ha posto in rilievo l’irragionevolezza della disposizione censurata, che – sul presupposto di una indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida – ricollega in via automatica la revoca dello stesso a fronte di «una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di omogeneità, atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve entità»[7].
6. Dopo la sentenza n. 22/2018, pertanto, il potere di revoca della patente di guida, a seguito della condanna per i reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309/1990, deve essere esercitato soltanto laddove siano ravvisati, in concreto, elementi tali da far ritenere che il possesso del documento in capo al destinatario integri una situazione di pericolo per la sicurezza pubblica, la cui sussistenza consente l'adozione del provvedimento ablativo[8]; provvedimento che, si ricorda, è un atto amministrativo previsto e preordinato dal legislatore al perseguimento dell’interesse pubblico all'attività di prevenzione generale e tutela della sicurezza pubblica.
Trattandosi quindi di esercizio di potere discrezionale e non più di attività vincolata, il provvedimento di revoca della patente di competenza dell’autorità prefettizia dovrà essere soggetto – in base ai principi generali – al sindacato del giudice amministrativo[9].
7. Ad avviso del TAR Marche, la ratio della declaratoria di illegittimità appena menzionata sarebbe valevole anche per la norma censurata nella specie, in cui il presupposto della decisioneamministrativa riguarda l’applicazione di misure di sicurezza personali[10].
Ciò in quanto, osservano i Giudiciamministrativi, «l’automatismo delineato dall’art.120, comma 2, c.d.s. risulterebbe […] irragionevole di fronte alla molteplicità di situazioni(pericolosità del soggetto più o meno grave) e di misure di sicurezza che potrebbero essere applicate (più o meno rigorose e più o meno protratte nel tempo)».
Di qui la proposta questione di legittimità costituzionale, con conseguente sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Le opinioni espresse dall'Autore hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo l'Amministrazione del Ministero dell'Interno, in conformità a quanto disposto dall'art. 11, comma 6, del D.M. 8 agosto 2016.
[1] In particolare, secondo il tenore letterale dell’art. 120, commi 1 e 2, la patente di guida è revocata dal prefetto: ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza; a coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla l. 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituita dalla l. 3 agosto, 327, e dalle l. 31 maggio 1965, n. 575, così come successivamente modificata e integrata, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi; alle persone condannate a pena detentiva per i reati di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (spaccio di stupefacenti).
[2] Tra i vari contributi sull’argomento si rimanda, a: E. Zuffada, Revoca prefettizia della patente ex art. 120 codice della strada: una “sanzione” ragionevole?, in questa Rivista, fasc. 9/2017, 192 ss.; A. Carnabuci, La revoca della patente di guida per carenza dei requisiti morali, in Rivista della Circolazione e dei Trasporti, Roma, 2/2001.
[3] Cass. civ., SS.UU., 14 maggio 2014, n. 10406; Cass. civ., SS.UU., 27 aprile 2005, n. 8693; Tar Lazio (Roma), sez. I ter, 17 gennaio 2018, n. 548; TAR Campania (Napoli), sez. V, 24 gennaio 2018, n. 487.
[4] Con riferimento alla competenza è stato inoltre precisato che l’opposizione al provvedimento prefettizio in esame, “non rientrando nella competenza per materia del giudice di pace, è devoluta alla competenza ordinaria del tribunale, ai sensi dell’art. 9 del codice di procedura civile” (In tal senso, Cass. civ., SS.UU., 22 giugno 2010, n. 22491; Cass. civ., SS.UU., 12 novembre 2013, n. 10406).
[5] Cfr. Cass. civ., SS.UU., 6 febbraio 2006, n. 2446; Cass. civ., SS.UU. 20 maggio 2003 n. 7898; Cass. SS.UU. 29 aprile 2003 n. 6630.
[6] La possibilità per il prefetto di adottare il provvedimento di revoca della patente di guida per il caso di condanna per reati in materia di sostanze stupefacenti è stata introdotta dal legislatore solo nel 2009, ad opera dell’art. 3, comma 52, lett. a), della Legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica).
[7] La Corte Costituzionale ha inoltre evidenziato un ulteriore profilo di irragionevolezza della norma in oggetto nella parte in cui stabilisce l’automatismo della “revoca amministrativa” a differenza della discrezionalità presente nella misura parallela del “ritiro della patente”, di cui all’art. 85 T.U. stupefacenti, che il giudice penale può disporre, motivandola, per un periodo non superiore a tre anni. Ciò a fronte dello stesso presupposto (condanne per i reati in tema di stupefacenti e il fatto-reato) e delle affinità, sul piano pratico, delle due diverse misure. In sintesi, mentre il giudice penale ha la facoltà di disporre, ove lo ritenga opportuno, il ritiro della patente, il prefetto ha il dovere di disporre la revoca. Per un puntuale commento alla sentenza n. 22/2018, si rimanda a: A. Carrato, La revoca della patente ai sensi dell'art. 120 c.d.s. non può più essere disposta in via automatica, in Archivio giuridico della circolazione, dell'assicurazione e della responsabilità, 3/2018, pp. 190-195; S. Felicioni, Revoca prefettizia della patente di guida per condanne in materia di stupefacenti: la misura può essere applicata retroattivamente perché non è una sanzione penale ma è illegittima la sua applicazione automatica, in questa Rivista, fasc. 3/2018, p. 242 ss.
[8] Al riguardo, si veda la recente circolare del Ministero dell’interno del 28 marzo 2018, n. 5210, con la quale sono stati diramati degli appositi indirizzi operativi sulla revoca della patente a seguito della condanna per i reati di cui agli artt. 73 e 74 del D.P.R. n. 309/1990. In particolare, si specifica che la revoca dovrà essere valutata volta per volta, solo dopo avere verificato con precisione l’attualità della pericolosità sociale del soggetto, motivando adeguatamente ogni singolo provvedimento.
[9] Cfr. Tar Lombardia (Brescia), 21 marzo 2018, n. 343, in cui si evidenzia che «il venir meno dell’“automatismo” precedentemente disciplinato dall’art. 120, comma 2, c.d.s. (e ricollegante la revoca del titolo di guida all’intervenuta pronunzia di una sentenza penale di condanna), impone, ora, alla competente Autorità prefettizia una (necessaria) valutazione in ordine alla immanenza e consistenza degli elementi suscettibili di inalveare un giudizio di “insussistenza” dei requisiti morali: giudizio che, lungi dal promanare dal mero pregiudizio penale, deve transitare attraverso un apprezzamento discrezionale».
[10] Giova evidenziare che il Tar Marche, fino alla definizione del ricorso nel merito, aveva disposto in sede cautelare, con decreto presidenziale n. 93/2018, la sospensione del provvedimento di revoca della patente, a sua volta confermata con ordinanza collegiale 10 maggio 2018, n. 10.