ISSN 2039-1676


23 ottobre 2018 |

La Cassazione torna sulla retroattività della lex mitior in relazione all'adempimento del debito tributario (art. 13 e 13-bis d.lgs. 74/2000)

Cass., Sez. III, sent. 17 gennaio 2018 (dep. 1 agosto 2018), n. 37083, Pres. Cavallo, Rel. Socci

Per leggere il testo della sentenza, clicca in alto su "visualizza allegato".

 

1. Con la sentenza qui segnalata, la terza sezione penale della Corte di cassazione riconosce l'applicabilità, in caso di adempimento del debito tributario, della causa di non punibilità e della circostanza attenuante ad effetto speciale di cui agliartt. 13 e 13-bis d.lgs. 74/2000, così come riformati a seguito del d.lgs. 158/2015, ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della riforma, anche qualora sia già intervenuta la dichiarazione di apertura del dibattimento.

Più nello specifico, si afferma che l'integrale pagamento degli importi dovuti, comprese sanzioni amministrative ed interessi, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, comporta l'applicazione dell'art. 13-bis, d.lgs. 74/2000, con riduzione delle pene fino alla metà, senza pene accessorie, anche per i fatti pregressi dove è intervenuta l'apertura del dibattimento in primo grado, in quanto la disposizione in oggetto prevede un trattamento sanzionatorio più favorevole che deve trovare applicazione ex art. 2, quarto comma, c.p. e 7 CEDU.

 

2. Nella vicenda sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità, la Corte d'Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale del medesimo capoluogo, condannava l'imputato alla pena di mesi 5 e giorni 10 di reclusione per il reato previsto dall'art. 4 d.lgs. 74/2000 in relazione il periodo di imposta dell'anno 2008.

Contro la suddetta statuizione, lo stesso ricorreva per Cassazione a mezzo del proprio difensore lamentando un vizio di motivazionenella misura in cui il ricorrente, pagando le tasse nello Stato di residenza e ritenendo tale comportamento legittimo, non veniva assolto exart. 59 c.p., ma condannato, con motivazione contraddittoria ed insufficiente, perché ritenuto comunque residente in Italia, nonostante la documentazione allegata. Si deduceva, inoltre, l'erronea esclusione dell'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. e, in ogni caso, dell'attenuante prevista dall'art. 62 n. 6 c.p. 

In secondo luogo, la difesa sosteneva la violazione di legge in relazione all'art. 53 L. 689/1981 per la mancata sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria, accompagnata da motivazione solo apparente, contraddittoria ed illogica. 

Infine, si lamentava la violazione di legge con riferimento agli art. 13 e 13-bis del d.lgs. 74/2000, nella misura in cui era stata richiesta durante il giudizio di appello l'applicazione della prima delle suddette norme e, solo in subordine, della seconda, in considerazione del pagamento del debito tributario. A tal fine, secondo l'accordo di rateizzazione stabilito con l'Agenzia delle Entrate, il debito tributario veniva estinto, mediante il pagamento dell'ultima rata, prima della celebrazione del giudizio di appello e dopo l'entrata in vigore della modifica legislativa ad opera del d.lgs. 158/2015. Trattandosi, ai fini del giudizio in questione, di una modifica favorevoleper il reo, si deduceva la necessaria retroattività della stessa e, dunque, l'applicabilità del trattamento sanzionatorio più favorevole all'imputato.

 

3. Dopo aver dichiarato il ricorso fondato in relazione alla violazione degli art. 13-bis d.lgs. 74/2000 e art. 53 L. 689/1981, la Suprema Corte si sofferma sulla causa di non punibilità contemplata all'art. 13 d.lgs. 74/2000, così come riformulata dal d.lgs. 158/2015, per la quale i reati di cui all'art. 10-bis, 10-ter, 10-quater del d.lgs. 74/2000 non sono punibili qualora – prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado – i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti. Tale causa di non punibilità, nonostante la presenza del limite temporale suddetto, può trovare applicazione anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del predetto decreto ed anche in caso di avvenuta dichiarazione di apertura del dibattimento (a tal fine, la Suprema Corte ha ritenuto ammissibile la rilevabilità della suddetta causa di non punibilità anche nel giudizio di legittimitàrinviando al giudice di merito per la valutazione circa la sussistenza in concreto delle condizioni previste dal d.lgs. 74/2000)[1]

Il nuovo art. 13 d.lgs. 74/2000, infatti, attribuisce all'integrale pagamento dei debiti tributari, in presenza di uno dei reati contemplati dalla stessa norma, efficacia estintiva e non più solo attenuanteNonostante l'indicazione del limite della dichiarazione di apertura del dibattimento per la rilevanza della causa estintiva, la Suprema Corte evidenzia che la diversanaturagiuridica e l'efficacia estintiva del reato implica, nei procedimenti in corso al momento di entrata in vigore del d.lgs. 158/2015, la necessità di una parificazionedegli effetti della causa di non punibilità, anche nei casi in cui sia stata superata la preclusione della dichiarazione di apertura del dibattimento.In questo senso, la trasformazione dell'attenuante in causa di non punibilità implica che l'integrale pagamento del debito tributario non assuma più rilevanza normativa in termini di minore gravità del reato o di indice della capacità a delinquere del soggetto,[…] ma sia da inquadrarsi nel diverso fenomeno della degradazione dell'illecito penale in ragione di condotte susseguenti al reato, nel caso di specie di carattere restitutorio, che rispondono alla differente logica incentivante e premiale. 

In chiave costituzionale, per la Cassazione la condotta restitutoria assume rilievo nell'esclusione della finalità rieducativa (o risocializzante) assegnata alla sanzione penale dalla Costituzione:a seguito del comportamento riparatorio, la pena risulterebbe inapplicabile per incapacità della stessa di dispiegare la funzione rieducativa ad essa assegnata (art. 27, comma 3°, Cost.). 

La diversa natura attribuita all'adempimento del debito tributario, in sostanza, comporta che nei procedimenti in corso, anche qualorasia stato oltrepassato il limite temporale di rilevanza previsto dalla norma, l'imputato debba essere considerato nelle medesime condizioni fondanti l'efficacia della causa estintiva; il principio di uguaglianza, che vieta trattamenti diversi per situazioni uguali,impone infatti di ritenere che, sotto il profilo sostanziale, il pagamento del debito tributario assuma la medesima efficacia estintiva, sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia, nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158/2015, che avvenga dopo tale limite, purché prima del giudicatoIn applicazione del principio del favor rei, dunque, tale preclusione temporale non può operare, dovendosi applicare la disciplina più favorevole, allorquando – introdotta in pendenza del procedimento, ed a scansione temporale oramai oltrepassata – l'imputato abbia proceduto all'integrale adempimento del debito tributario. Nonostante la presenza della preclusione anche in relazione alla precedente attenuante, per la Corte nessuna obiezione in tal senso potrebbe essere sollevata, in quanto l'efficacia estintivaora attribuita a tale condotta è diversa e più ampia dell'efficacia attenuante, da essa dipendendo la stessa punibilità, e non solo la misura della pena.

L'interesse all'adempimento del debito tributario è necessariamente diverso, e più intenso, se ricollegato all'efficacia estintiva del reato, anziché ad un'efficacia solo attenuante. Nei soli procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158/2015, la Suprema Corte ritiene che l'imputato si trovi nella medesima posizione giuridica che fonda, nei procedimenti ove il dibattimento non sia stato ancora aperto, l'efficacia estintiva prevista dalla nuova causa di non punibilità; in caso contrario, si registrerebbe una disparità di trattamento in relazione a situazioni uguali in ordine alla quale sarebbe prospettabile una questione di legittimità costituzionale. Trattandosi di causa di non punibilità, concludono i giudici di legittimità, non può non trovare applicazione il principio di retroattività della legge penale favorevole ex art. 7 CEDU e 2 c.p.

 

4. Al termine di tali riflessioni, la Suprema Corte ricorda come le cause sopravvenute di non punibilità implichino sempre un termine entro il quale il comportamento deve essere tenuto dal reoLa ratio di tale istituto, infatti, è da individuarsi nell'interesse concreto che l'ordinamento ha ad incentivarecomportamentiantagonisticial fatto criminoso e tale ricorso è possibile solo qualora lo stato di sofferenza del bene giuridico protetto sia materialmente eliminabile a posteriori, nonché il legislatore giudichi particolarmente efficace l'intervento antagonistico da parte dell'autore del fatto[2].

Nonostante il termine per l'applicazione della causa di non punibilità possa essere ancorato a fasi o momenti del processo o, a volte, ad evenienze extraprocessuali, per la Suprema Corte il termine entro il quale deve essere tenuto il comportamento è sempre un termine sostanzialeanche se per praticità è inserito all'interno della scansione temporale del processo: si parla, a tal fine, di evenienza non accessoria, bensì strutturale, trattandosi di un incentivo per il reo al comportamento antagonista riparatore. 

Ragionando in questo modo, tutti i termini previsti dalla legge per l'operatività delle cause di non punibilità sopravvenute riceverebbero una parità di trattamento, non essendo consentito distinguere fra i termini legati a scansioni processuali e quelli ancorati a fatti extraprocessuali. Viceversa, la disposizione presenterebbe problematiche di costituzionalità per contrasto con il principio di ragionevolezzae di retroattività della legge penale favorevole, oltre a costituire un'interpretazione della norma penale non restrittiva, a scapito del favor rei[3].

 

5. Nel caso in questione, tuttavia, per i giudici di legittimità a venire in rilievo è, eventualmente, il comma 2 dell'art. 13[4]. L'adempimento del debito tributario, infatti, non è stato messo in discussione dalla Suprema Corte, ma ciò che rileva è la mancata dimostrazione, in sede di giudizio di merito, della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo o del ravvedimento operoso. In presenza del solo pagamento a seguito degli accertamenti, infatti, non può trovare applicazione l'art. 13, comma 2, d.lgs. 74/2000, in quanto non sussiste prova della presentazione della dichiarazione o del ravvedimento operoso. 

 

6. L'avvenuto pagamento, in ogni caso, rileva ai fini dell'applicazione dell'art. 13-bis d.lgs. 74/2000, il quale prevede, per l'ipotesi di adempimento, la riduzione delle pene fino alla metà e l'esclusione delle pene accessorie. Tale circostanza attenuante, peraltro in precedenza contenuta all'interno dell'art. 13, prevedeva originariamente la diminuzione della pena fino ad un terzoin caso di estinzione dei debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e interessi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Il nuovo art. 13-bis, dunque, costituisce una disposizione più favorevoleal reo e suscettibile di trovare applicazione, per i principi di cui all'art. 7 CEDU e 2 comma 4 c.p., anche a chi ha pagato dopo l'apertura del dibattimento in primo grado,perché la norma all'epoca dell'apertura del dibattimento non era in vigore. Per la Suprema Corte tale modifica migliorativa comporta, in definitiva, un sicuro interesse maggiore all'adempimento(lo sconto di pena è superiore)[5]Peraltro, solo la sentenza irrevocabile potrebbe impedire l'applicazione della norma più favorevole, non certo l'apertura del dibattimento di primo grado, prima dell'entrata in vigore della nuova e più premiante normativa. Trattasi, anche in questo caso, di un termine non processuale, bensì con natura (e scopo) relativa al trattamento sanzionatorio e dunque sostanziale.

Sul punto, la Suprema Corte finisce per far proprie, ancora una volta, le argomentazioni alle quali era pervenuta la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo con la sentenza Scoppola c. Italia del 17 settembre 2009 in materia di retroattività della legge penale più favorevole, il cui fondamento risiede all'interno dell'art. 7 CEDU. Infliggere una pena più severa solo perché essa era prevista al momento della commissione del reato si tradurrebbe in un'applicazione a svantaggio dell'imputato delle norme che regolano la successione delle leggi penali nel tempo.Ciò equivarrebbe ad ignorare i cambiamenti legislativi favorevoli all'imputato intervenuti prima della sentenza e continuare a infliggere pene che lo Stato e la collettività che esso rappresenta considerano ormai eccessiveL'obbligo di applicare la legge penale favorevole all'imputato, per la Corte di Strasburgo, si traduce in una chiarificazione delle norme in materia di successione delle leggi penali, il che soddisfa un altro elemento fondamentale dell'art. 7 CEDU, ossia quello della prevedibilità delle sanzioni.

7. Per le considerazioni che precedono, in conclusione, l'integrale pagamento degli importi dovuti, comprese sanzioni amministrative ed interessi, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, comporta l'applicazione dell'art. 13-bis, d.lgs. 74/2000, con riduzione delle pene fino alla metà, senza pene accessorie, anche per i fatti pregressi dove è intervenuta l'apertura del dibattimento in primo grado, in quanto la disposizione in oggetto prevede un trattamento sanzionatorio più favorevole che deve trovare applicazione ex art. 2, quarto comma, c.p. e 7 CEDU.

 

***

 

8. Le conclusioni ermeneutiche alle quali giunge la sentenza in commento risultano certamente condivisibili.

Sul punto, infatti, la terza sezione della Suprema Corte sembra respingere totalmente le controverse argomentazioni spese dalla stessa sezione nell’aprile del 2017[6]. In quella sede, i giudici di legittimità avevano negato la possibilità di ricondurre l'art. 13 d.lgs. 74/2000 all'alveo dell'art. 7 CEDU, affermando che la portata della stessa norma fosse limitata alle sole “disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono” e non anche alle cause di non punibilità che escludono semplicemente l'assoggettabilità a pena dell'imputato per ragioni di mera opportunità politico-criminalelasciando intatta l'illiceità della condotta. Nella stessa sede, peraltro, si ammetteva la possibilità per la norma penale favorevole di retroagire e trovare applicazione anche a fatti accaduti prima della sua entrata in vigore, ma si negava che la stessa potesse estendersi agli strumenti processuali cui il legislatore subordini l'operativitàdella disposizione (per i quali è operante il diverso regime temporale retto dal principio tempus regit actum).

Tale impostazione in precedenza propugnata dalla medesima terza sezione – secondo la quale all'interno del medesimo art. 13 d.lgs. 74/2000 vi sarebbero una previsione di natura sostanziale ed una a carattere processuale – non pare condivisibile a questa Suprema Corte. I termini ai quali si aggancia l'operatività della causa di non punibilità non possono che essere connaturalistrutturali alla stessaanche se spesso – ma non sempre – si allacciano a momenti del processo. Sulla natura sostanziale della disposizione suddetta milita, inoltre, la stessa relazione illustrativa al d.lgs. 158/2015, secondo la quale la ratio sottesa alla norma in questione sarebbe quella di concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta attraverso la piena soddisfazione dell'Erario prima del processo penale[7]Nondimeno, alle stesse conclusioni sarebbe possibile giungere anche partendo dalle considerazioni in passato svolte dalla Corte Costituzionale in talune pronunce in materia di prescrizione, intervenute a seguito della cd. riforma Cirielli (l. 251/2005)[8]. Anche in quel caso, il legislatore penale condizionava l'applicabilità della nuova disciplina sulla prescrizione – ritenuta dal giudice delle leggi materia sostanziale – al non intervento della dichiarazione di apertura del dibattimento in primo grado. Tale limite, tuttavia, fu ritenuto dalla stessa Corte privo di ragionevolezza e dichiarato incostituzionale per contrasto con l'art. 3 Cost.[9], sostenendo che l'apertura del dibattimento, come momento eventuale, non sia significativamente correlabile ad un istituto di carattere generale come la prescrizione e al complesso delle ragioni che ne costituiscono il fondamento, legate al rilievo – anch’esso di portata generale – che il decorso del tempo non solo attenua l’allarme sociale, ma rende più difficile l’acquisizione del materiale probatorio e, quindi, l’esercizio del diritto di difesa dell’imputato.

Nella pronuncia qui in esame, la Suprema Corte perviene alle conclusioni sopra riportare tramite la valorizzazione, oltre che del principio di ragionevolezza e dell'interpretazione restrittiva tesa al favor rei, del principio di retroattività della legge penale favorevole ex art. 7 CEDU, giungendo perfino a richiamare le affermazioni contenute nella celebre sentenza della Corte EDU, Scoppola c. Italia, del 2009. Il concetto di legge penale favorevole – e dunque l'operatività del principio di retroattività della lex mitior – non può essere limitato alle sole disposizioni che definiscono “i reati e le pene che li reprimono, dovendo piuttosto riferirsi anche alle tutte quelle norme che siano produttive di effetti favorevoli per l'imputato, comprese le disposizioni attinenti alle cause di estinzione del reato o alle cause di non punibilità[10]. Tale chiave di lettura pare essere la più conforme con tale principio che, ricordiamo, impone di evitare ingiustificate o irragionevoli disparità di trattamento per coloro che abbiano commesso il medesimo fatto in momenti temporali diversi: se la valutazione del legislatore in ordine al disvalore del fatto muta – nel senso di ritenere che quel presidio non sia più necessario od opportuno; o che sia sufficiente un presidio meno energico – tale mutamento deve riverberarsi a vantaggio anche di coloro che abbiano posto in essere il fatto in un momento anteriore[11].In questi termini si è espressa anche la Corte di Strasburgo con la sentenza anzidetta, a seguito della quale il principio pare aver acquisito il carattere di diritto fondamentale dell'uomo e il rango di principio costituzionale, in coerenza con le profonde radici politico-costituzionali di stampo garantista allo stesso immanenti[12]. Tali valori di profonda civiltà giuridica non sarebbero suscettibili, per la sentenza in commento, di essere ignorati.

9. Siffatto ragionamento, infine, risulta altresì valevole anche per la circostanza attenuante ex art. 13-bis d.lgs. 74/2000, modificata a seguito del d.lgs. 158/2015 in senso più favorevole per il reo. Nonostante si tratti di una circostanza attenuante che, come tale, non manda esenti da sanzione penale, la diminuzione di pena fino alla metà – anziché finoadunterzocome nella disciplina precedente – in caso di pagamento del debito tributario, costituisce un più forte incentivoall'adempimento e parimenti una norma penale di favore. Tale disciplina – in applicazione di quanto stabilito dall'art. 7 CEDU e 2, comma 4°, c.p. – dovrà trovare applicazione anche nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158/2015 e nonostante l'avvenuta dichiarazione di apertura del dibattimento,potendo tale norma penale favorevoletrovare come limite ragionevole soltanto quello del giudicato.e non certo un mero termine processuale.

 


[1] Si veda, Cass. Sez. III, 28 marzo 2017, n. 15237; Cass. Sez. III, 28 settembre 2016, n. 40314.

[2] Nella pronuncia, peraltro, si riportano esempi di cause sopravvenute di non punibilità come la desistenza volontaria (art. 56 comma 3° c.p.), la ritrattazione (art. 376 c.p.) e, in materia previdenziale, quella prevista dall'art. 2 comma 1-bis d.l. 463/1983, tutte quante ancorate a termini processuali o ad altre evenienze extraprocessuali.

[3] Nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'uomo, si veda Grande Camera Grigoriades c/o Grecia 25 novembre 1997; contraCass. Sez. III 15 giugno 2017, n. 30139, secondo la quale l'art. 13 d.lgs. 74/2000 avrebbe una doppia previsione, una di natura sostanziale(adempimento del debito tributario che estingue il fatto-reato commesso prima della sua entrata in vigore) e una processuale(il pagamento prima dell'apertura del dibattimento).

[4] Per praticità se ne riporta il testo: art. 13, comma 2°, d.lgs. 74/2000:“I reati di cui agli articoli 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.”

[5] Sul punto, la Cassazione richiama quanto da essa affermato sull'art. 442, comma 2°, c.p.p., così come novellato dalla L. 103/2017, in tema di giudizio abbreviato dove, in caso di condanna per contravvenzione, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anziché di un terzo come stabilito dalla precedente disciplina. Trattandosi di modifica favorevole, si applica anche alle fattispecie anteriori, salvo sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, in quanto, pur essendo una norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, comportando un trattamento sanzionatorio più favorevole seppure collegato alla scelta del rito; così Cass. Sez. IV, 11 gennaio 2018, n. 832.

[6] Per una più ampia disamina, si veda A. TermineIl nuovo art. 13 d.lgs. 74/2000: ragionevole una deroga alla retroattività in bonam partem?in questa Rivista, fasc. 11/2017, p. 77 ss.

[7] In questi termini la Relazione illustrativa al d.lgs. 158/2015, reperibile a questo link.

[8] Si veda, Corte Cost., sent. 28 marzo 2008, n. 72; Corte Cost. 23 novembre 2006, n. 393.

[9] Si veda, Corte Cost. 72/2008, dove si afferma: “In particolare, la deroga al regime della retroattività delle disposizioni più favorevoli al reo è ammissibile nei confronti di norme che riducano i termini di prescrizione del reato, purché essa sia coerente con la funzione assegnata dall’ordinamento all’istituto della prescrizione e tuteli interessi del tipo indicato. Sempre secondo la sentenza n. 393 del 2006, la scelta di escludere l’applicazione retroattiva della norma sulla riduzione dei termini di prescrizione del reato ai processi pendenti in primo grado alla data della sua entrata in vigore, ove sia intervenuta l’apertura del dibattimento, non è ragionevole, in quanto la norma individua il discrimine fra i processi di primo grado soggetti ai nuovi termini di prescrizione (più brevi) e quelli nei quali continuano ad applicarsi i termini vecchi (più lunghi) in un momento (apertura del dibattimento) che, nel complesso della disciplina del processo di primo grado, non è indefettibile (infatti non riguarda i riti alternativi, miranti a deflazionare il dibattimento, e, in specie, il giudizio abbreviato), né è incluso fra gli atti considerati rilevanti dall’art. 160 cod. pen. ai fini della prescrizione (sentenza o decreto di condanna ed altri atti processuali).”

[10] Così Corte Cost. sent. 22 luglio 2011, n. 236; Corte Cost., sent. 28 marzo 2008, n. 72; Corte Cost. 23 novembre 2006, n. 393.

[11] Così Corte Cost., sent. 8 novembre 2006 (dep. 23 novembre 2006), n. 394, par. 6.4; si veda anche A. Termine, Il nuovo art. 13 d.lgs. 74/2000, cit.

[12] Così F.C. Palazzo, Corso di diritto penale, Parte generale, quinta edizione, Torino, 2013.