ISSN 2039-1676


15 novembre 2018 |

Germania e Francia emettono diversi mandati di arresto nei confronti di alti ufficiali del regime siriano: nuovi scenari per il principio della giurisdizione universale in Europa

 

1. Lo scorso 5 novembre è stato reso pubblico il mandato di arresto emanato dalla sezione speciale della procura di Parigi nei confronti di tre alti ufficiali del regime siriano[1]; tra questi Jamil Hassan, capo dell’aeronautica militare del regime di Bashar al-Assad (‘Assad’), è già stato oggetto di un ordine di cattura emesso dall’ufficio del procuratore generale federale tedesco (Generalbundesanwaltschaft, ‘procuratore’) in data 8 giugno 2018.

Si tratta di un punto di svolta nella difficile battaglia per superare l’impunità e ottenere giustizia nel contesto del conflitto siriano. Tali provvedimenti, ed in particolare il primo firmato dal procuratore tedesco – che è fondato sul principio della giurisdizione universale “pura” – hanno implicazioni ben più ampie rispetto allo specifico caso a cui si riferiscono e sono stati accolti, come vedremo, come pietre miliari nel complesso sistema di amministrazione della giustizia penale internazionale.

Se il procedimento francese si fonda sul criterio di (doppia) nazionalità delle vittime[2], la decisione degli organi inquirenti tedeschi ha infatti il merito di riaprire il dibattito circa l’opportunità e la legittimità del ricorso al principio di giurisdizione universale, sino ad oggi sopito, perlomeno a livello europeo.

 

2. Fin dalla sua ascesa al potere nel 2000, Bashar al-Assad, attuale presidente siriano, successore del padre Hafiz al-Assad e appartenente alla minoranza alauita (sciita), ha soppresso ogni forma di opposizione al proprio regime[3]. L’esplosione della primavera araba, movimento rivoluzionario che ha attraversato il Medio Oriente a partire dalla fine del 2010, ha determinato anche in Siria lo sviluppo di manifestazioni antigovernative a partire dal 2011, a cui ha via via aderito una porzione sempre maggiore della popolazione civile. La sanguinosa guerra civile che ne è conseguita, tuttora in corso, ha visto fronteggiarsi il regime governativo da un lato e le forze di opposizione dall’altro, costituite dall’Esercito Siriano Libero, dalle milizie curde e dai gruppi islamisti. La duratura crisi politica attraversata dalla Siria ha costituito, infatti, un terreno fertile per lo sviluppo e l’instaurarsi di movimenti estremisti, quale Al-Nusra - il cd. Stato Islamico, autoproclamatosi califfato nel giugno 2014[4].

Nel contempo, l’intervento armato di terze parti ha determinato l’acuirsi del conflitto, riproponendo gli schemi di rivalità che avevano caratterizzato la Guerra Fredda. Se da un lato, infatti, Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Arabia Saudita, Qatar e Turchia hanno supportato gli oppositori del regime, Russia, Cina, Iran, Venezuela ed il movimento sciita libanese Hezbollah si sono schierati a sostegno delle forze governative.

 

3. Il conflitto siriano è stato caratterizzato da violenti abusi nei confronti della popolazione civile, nonché da massicce violazioni dei diritti fondamentali.

I servizi siriani di intelligence hanno, infatti, adottato fin da subito un approccio di dura repressione nei confronti dei manifestanti, degli organizzatori e dei sostenitori delle proteste non violente. Sono state imposte rigide restrizioni alla libertà di assemblea e di manifestazione del pensiero, mentre gli oppositori politici e gli attivisti sono stati arbitrariamente detenuti e torturati nelle carceri militari e civili. Tra i crimini che più caratterizzano il regime siriano vi sono le torture e le sparizioni forzate, utilizzate in modo sistematico non solo quale misura di contrasto per punire gli oppositori politici ma anche come strumento per ridurre la popolazione civile in uno stato di terrore[5]. Secondo una stima prudente, tra marzo 2011 e dicembre 2015 circa 17.723 persone sarebbero state uccise mentre si trovavano in stato di custodia[6].

Nello stesso tempo, l’esercito siriano ha iniziato ad attaccare la popolazione mediante l’utilizzo non solo di artiglieria pesante, ma altresì di strumenti bellici proibiti dalla comunità internazionale, quali armi chimiche, munizioni a grappolo e barili-bomba[7].

Dalla sua esplosione nel 2011, dunque, le parti coinvolte nel conflitto siriano hanno commesso gravi violazioni del diritto internazionale, quali torture, esecuzioni, sparizioni forzate di civili, bombardamenti aerei mirati ed estesi su aree residenziali, genocidio e schiavitù a scopo sessuale. A novembre 2017 l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari ha stimato che più di 13 milioni di siriani siano bisognosi di assistenza umanitaria, di cui 5,6 milioni in situazione di grave vulnerabilità[8]. Il report diffuso nel settembre 2018 dalla Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta per la Siria ha evidenziato come, sette anni dopo l’inizio del conflitto, più di 5,5 milioni di siriani si siano rifugiati all’estero, mentre più di 6,5 milioni di civili vivano da sfollati all’interno del paese[9].

 

4. Nonostante la preoccupazione della comunità internazionale circa la grave crisi umanitaria, ogni tentativo di risolvere il conflitto mediante negoziati è fallito[10].

Per quanto concerne l’intervento della giustizia penale internazionale è evidente come, allo stato attuale, la Corte penale internazionale sia completamente esautorata dall’esercizio della propria giurisdizione nel conflitto siriano[11].

Nonostante la Siria non vi abbia ancora aderito[12], lo Statuto della Corte penale internazionale (St. Cpi) prevede la possibilità di estendere la giurisdizione della Cpi in relazione a crimini commessi nei territori di paesi terzi in caso di (i) segnalazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (il cd. referral) ai sensi dell’art. 13 lett. b) St. Cpi ovvero (ii) di accettazione espressa della giurisdizione da parte dello stato non membro, ai sensi del combinato disposto degli articoli 12 e 13 St. Cpi.

Se una accettazione della giurisdizione da parte della Siria sembra senz’altro da escludersi, data la responsabilità del regime nella commissione di crimini internazionali, l’esercizio in diverse occasioni del potere di veto da parte di due membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Russia e Cina) ha bloccato la possibilità di adottare una risoluzione che avrebbe permesso di riferire la situazione siriana alla Corte penale internazionale, esercitando il meccanismo di cui all’art. 13 St. Cpi[13].

Le medesime considerazioni valgono circa l’eventualità dell’istituzione di un tribunale ad hoc, internazionale o internazionalizzato, sulla scorta delle soluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza a partire dagli anni Novanta, ad esempio in Ruanda e in ex Jugoslavia, per perseguire crimini che costituiscono una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali. La stessa Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta per la Siria ha concluso indicando la Cpi quale meccanismo più appropriato per giudicare i crimini internazionali commessi nel contesto siriano[14].

Quanto alla possibilità di un intervento delle corti nazionali, è stato efficacemente osservato come il rafforzamento del regime siriano attraverso l’esercizio del potere punitivo da parte del dipartimento di sicurezza e delle commissioni giudiziarie escluda la possibilità di un operato indipendente delle autorità giudiziarie, soggette alla nomina e al trasferimento da parte del Presidente siriano[15].

 

5. Alla luce delle considerazioni sopra esposte risulta evidente come, allo stato, i crimini di tortura perpetrati in Siria possano essere efficacemente perseguiti solo da stati terzi esercitando il principio di giurisdizione universale, in virtù del quale le autorità nazionali possono perseguire nell’alveo del proprio ordinamento i responsabili di crimini internazionali, indipendentemente dal locus commissi delicti e dalla nazionalità della vittima o dell’autore del reato. Si tratta evidentemente di un principio che opera in forte tensione con la sovranità nazionale riconosciuta a ciascuno stato, tradizionalmente autorizzato ad esercitare il proprio potere punitivo unicamente in presenza di criteri di collegamento.

L’estrema gravità dei crimini internazionali, talmente odiosi da ledere gli interessi della comunità internazionale e da richiedere una lotta “senza confini” alle impunità, consente una dilatazione dell’esercizio di giurisdizione, che prescinda dal coinvolgimento di scopi particolari dello stato terzo[16]. Sebbene regolato dal diritto internazionale consuetudinario e pattizio[17], il principio di giurisdizione universale è stato oggetto, a partire dal noto caso Yerodia[18], non solo di forti pressioni da parte della politica internazionale, ma anche di critiche della dottrina.

Nonostante non vi sia, dunque, un consenso in dottrina circa l’obbligo per stati terzi di ricorrere alla giurisdizione universale, diversi paesi membri dell’Unione Europea hanno già incluso nella propria legislazione una clausola di autorizzazione al suo esercizio.

Secondo uno studio condotto da Amnesty International, su 193 membri delle Nazioni Unite, 163 consentono l’esercizio del principio di giurisdizione universale in relazione ad uno o più crimini internazionali; ad eccezione del Canada e dell’Australia, si tratta di paesi europei[19].

Tra la fine degli anni Novanta del secolo scorso e l’inizio degli anni 2000 si è registrato un aumento nel ricorso al principio di giurisdizione universale, con indagini e procedimenti condotti in nazioni quali la Spagna e il Belgio per crimini commessi inter alia in Argentina, Cile, Guatemala, Haiti, Ruanda, Congo, Algeria e Afghanistan. L’esercizio della giurisdizione domestica nei confronti dei vertici delle gerarchie di grandi potenze internazionali, quali Stati Uniti, Cina e Russia, ha sottoposto quelle nazioni a gravi pressioni diplomatiche. In particolare, in seguito all’arresto di Augusto Pinochet avvenuto a Londra nel 1998 diversi ordinamenti, temendo ripercussioni diplomatiche ed economiche, hanno introdotto modifiche legislative volte a ridurre l’applicabilità del principio di giurisdizione universale solo in caso di sussistenza di rigidi criteri di connessione, come avvenuto in Belgio nel 2003 e in Spagna nel 2009 e nel 2014.

Come efficacemente evidenziato, si trattava di una transizione dalla concezione degli ordinamenti nazionali quali “global enforcers”, id est deputati all’esercizio della giurisdizione universale nel perseguimento del comune obiettivo di prevenzione e punizione dei crimini internazionali ovunque commessi, al più stringente modello del cd. “no safe haven”, in ragione del quale gli stati promuovono l’azione penale al fine di contrastare l’impunità dei presunti responsabili di gravi crimini presenti sul proprio territorio, senza costituire per essi un ‘porto sicuro’[20].

Il rapporto annuale congiunto del 2018 pubblicato da cinque organizzazioni non governative ha tuttavia evidenziato un aumento del 106% circa dei casi di esercizio della giurisdizione universale a livello globale[21].

Attenta dottrina ha ricondotto l’aumento del ricorso al principio di giurisdizione universale ai fenomeni di reclutamento dei cd. foreign fighters e dell’emergenza rifugiati, con particolare riferimento al conflitto siriano[22]. Come evidenziato dal rapporto della organizzazione TRIAL, infatti, nel corso del solo 2017 ben sette stati hanno aperto procedimenti per i crimini internazionali commessi in Siria, facendo ricorso al principio di giurisdizione universale[23].

Il sopra descritto fallimento dei meccanismi di accertamento delle responsabilità penali nel contesto siriano di fronte alle giurisdizioni internazionali ha dimostrato quanto il principio di giurisdizione universale sia oggi imprescindibile al fine di perseguire i crimini internazionali commessi nel corso del conflitto.

 

6. La Germania ha riconosciuto l’applicabilità del principio di giurisdizione universale ai crimini internazionali, ovunque e contro chiunque commessi anche in assenza di criteri di collegamento, codificandolo nel primo articolo del codice tedesco dei crimini internazionali (Völkerstrafgesetzbuch, ‘VStGB’) del 2002[24]. Si tratta di una normativa avanzata e in linea con gli standard del diritto penale internazionale, che ha costituito l’adeguamento domestico della Statuto della Cpi.

Il principio di giurisdizione universale contenuto nell’art. 1 VStGB rappresenta il fondamento normativo per l’esercizio della potestà punitiva tedesca nei confronti dei responsabili di crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Il procuratore generale federale tedesco ha, dunque, il potere di aprire procedimenti in relazione alle suddette fattispecie, indipendentemente dalla sussistenza di criteri di collegamento, ad esempio rationae loci o personae. Egli ha, al contrario, il dovere di esercitare l’azione penale in caso di nazionalità tedesca delle vittime o dei sospettati, ovvero nel caso in cui questi ultimi si trovino sul territorio tedesco.

Merita evidenziare, tuttavia, come ai sensi dell’art. 153(f) del codice di procedura penale (‘StPO’) sussista un potere di archiviazione a discrezione del procuratore laddove il procedimento non presenti alcuna connessione con l’ordinamento tedesco, id est nei casi di giurisdizione universale ‘pura’. La diretta subordinazione del procuratore al Ministro Federale di Giustizia ha determinato il mancato successo di alcuni dei procedimenti sinora portati all’attenzione del suo ufficio, quali il caso del colonnello Klein e del sergente Wilhelm per sospetti crimini di guerra commessi nella provincia di Kunduz in Afghanistan[25] e delle denunce nei confronti dell’ex Segretario della Difesa statunitense (D. Rumsfeld) e dell’ex direttore della CIA per torture contro prigionieri iracheni, sparizioni forzate e crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella prigione di Abu Ghraib in Iraq e nella base militare di Guantanamo a Cuba. 

Nonostante tale criticità, nel 2015 si sono conclusi i primi due processi fondati sulla giurisdizione universale tedesca, che hanno portato alla condanna di I. Murwanashyaka e di S. Musoni, presidente e vice presidente del gruppo delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda, per crimini di guerra e terrorismo.

A partire da settembre 2011 l’attenzione del procuratore generale federale si è, infine, focalizzata sui crimini internazionali commessi nel contesto del conflitto siriano, soprattutto in seguito all’intensificarsi del flusso migratorio di rifugiati provenienti dalla Siria e diretti in Germania, stimati ad oggi tra 800.000 e un milione di persone sul solo territorio tedesco.

L’ufficio del procuratore ha esaminato la situazione in Siria attraverso la raccolta di materiale probatorio, grazie all’enorme quantità di informazioni raccolte dalle organizzazioni non governative, tra le quali l’ECCHR, che si adoperano perché i crimini di guerra e contro l’umanità siano perseguiti mediante il ricorso alla giustizia penale tedesca. Le autorità tedesche hanno raccolto circa 2800 dichiarazioni relative a crimini internazionali commessi in Siria; in 300 di questi casi i testimoni sono stati in grado di indicare i nomi dei responsabili. A maggio 2017 più di 200 persone hanno testimoniato nel corso di due indagini, portando a ventidue i procedimenti contro ventotto sospetti autori di crimini di guerra commessi in Siria; tre di questi casi si sono conclusi con la condanna degli imputati[26].

I procedimenti si sono sviluppati secondo due distinti filoni di indagine, concentrandosi da un lato sui crimini internazionali commessi dallo Stato Islamico (IS) in territorio siriano e iracheno, in particolare contro la minoranza yezida, e dall’altro sugli atti di tortura, costituenti crimini di guerra e crimini contro l’umanità, commessi in alcuni centri di detenzione dal regime di Assad, oggetto della presente trattazione[27].

 

7. L’ordine di cattura emanato lo scorso 8 giugno nei confronti di Jamil Hassan, capo dell’aeronautica militare del regime di Bashar al-Assad, costituisce una decisione fondamentale nel contesto del procedimento riguardante ventisei alti ufficiali delle forze armate e dei servizi segreti siriani, nonché dei responsabili politici e militari del sistema di torture ed esecuzioni[28].

Nei confronti di costoro sono state sporte tra settembre e novembre 2017 quattro denunce da parte di un gruppo di 24 siriani, attivisti sopravvissuti alle torture e rifugiatisi come tanti in Germania, rappresentati e difesi dagli avvocati Anwar al-Bunni (Syrian Center for Legal Research and Studies)[29] e Mazen Darwish (Syrian Center for Media and Freedom of Speech)[30], con il supporto legale dell’European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR) di Berlino.

Le accuse riguardano atti di tortura, costituenti crimini contro l’umanità e crimini di guerra, commessi dal regime siriano nei confronti di centinaia di migliaia di detenuti tra il 2011 e il 2013.

L’ECCHR ha raccolto prove e testimonianze delle torture commesse in Siria fin dal 2011, lavorando a stretto contatto con testimoni, avvocati e attivisti, nonché con altre organizzazioni internazionali. I sopravvissuti hanno raccontato di essere stati perseguitati dal regime di Assad, attraverso i suoi servizi di intelligence, con la falsa accusa di aver fornito supporto “ai terroristi”, per aver preso parte alle proteste contro il governo, ad esempio postando sui social network articoli critici nei suoi confronti, dando rifugio a disertori dell’esercito o anche solo aiutando nella distribuzione dei rifornimenti delle Nazioni Unite.

Il primo procedimento per crimini internazionali commessi dal regime di Assad, avviato nel marzo 2017 grazie alle denunce di sette sopravvissuti, ha visto i primi esami testimoniali tra Berlino e Karlsruhe già nel maggio 2017.

Nel settembre 2017 è stato depositato il secondo ricorso contro alti ufficiali dei servizi di intelligence e dell’arma, in relazione a centinaia di casi di tortura documentati nei cd. “Caesar files”, pseudonimo utilizzato da un ex fotografo forense della polizia militare siriana, il quale ha fornito a Human Rights Watch più di 50.000 fotografie scattate all’interno dei centri di detenzione. Le immagini risalgono al periodo tra maggio 2011 ed agosto 2013 e mostrano almeno 6.786 detenuti deceduti a causa delle torture o della lunga detenzione, in condizioni di assoluta mancanza di igiene e di cure sanitarie. Diversi testimoni hanno raccontato della scarsità di cibo e di acqua, della presenza di ratti nelle celle, di corpi abbandonati per giorni prima che le guardie provvedessero a rimuoverli. Si tratta di giovani di età compresa tra i 20 e i 40 anni, ma anche di donne e di almeno cento bambini sotto i 18 anni[31].

Come sostanziato delle denunce presentate al procuratore tedesco, il regime di Assad ha posto in essere un sistema di torture e sparizioni forzate di oppositori del regime, politici e giornalisti; si tratta di metodologie ben conosciute e documentate dai sopravvissuti, dagli attivisti presenti in loco e dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani, tra cui Human Rights Watch e Amnesty International.

Oltre al dossier “If the Dead could Speak”, pubblicato da Human Rights Watch nel dicembre 2015, Amnesty International ha diffuso nel febbraio 2017 il report “Human slaughterhouse: Mass hangings and extermination at Saydnaya prison, Syria.”, nel quale ha evidenziato come tra settembre 2011 e dicembre 2015 tra le 5.000 e le 13.000 persone siano state segretamente detenute nella prigione di Saydnaya[32].

Nonostante i report e le prove delle torture, i servizi di intelligence in Siria continuano a godere della più assoluta impunità; com’è evidente, il governo siriano non ha, infatti, alcun interesse né a svolgere le opportune indagini, né tanto meno a punirne i responsabili.

Le denunce hanno ad oggetto i crimini di tortura commessi nelle prigioni di Assad, in ragione sia del consistente materiale probatorio a sostegno delle accuse, sia della rilevanza di tali fattispecie, particolarmente rappresentative della repressione violenta e sistematica operata dal regime siriano nei confronti della popolazione a partire dalle proteste pacifiche del 2011.

Sono stati individuati quattro servizi di intelligence responsabili di tali pratiche, le cui sedi sono localizzate sia a Damasco, sia nelle regioni periferiche: l’Air Force Intelligence Service (Al- Mukhabarat al-Jawiya), oggetto del mandato di arresto dello scorso giugno, il Military Intelligence Service (Al-Mukhabarat al- Askariya), il Political Intelligence Service (Al-Amn al-Siyasi, o National Intelligence Service) e il General Intelligence Service (Al-amn al Amm).

Ciascuno di questi è dotato di personale e di centri di detenzione diffusi sull’intero territorio nazionale, ufficialmente predisposti come strutture per gli interrogatori, nei quali i detenuti vengono quotidianamente e sistematicamente torturati con i metodi più disparati. I sopravvissuti hanno raccontato di pestaggi con bastoni, cavi e tubi di plastica, calci alla testa e ai genitali, elettroshock fino a perdere conoscenza o l’uso di vista e udito, violenze sessuali e privazione del sonno. Il governo di Assad si difende sostenendo che gli interrogatori costituiscono l’unico mezzo per ottenere una confessione[33]; risulta, tuttavia, evidente che si tratta piuttosto di metodi impiegati per terrorizzare e umiliare la popolazione. Il regime, infatti, non si limita a negare la sussistenza di tali crimini, ma proibisce altresì a giornalisti ed esperti internazionali l’accesso alle prigioni dei servizi di intelligence.

Gli ultimi due procedimenti noti risalgono a novembre 2017 e riguardano le denunce di tredici sopravvissuti e di diverse organizzazioni attiviste siriane per crimini internazionali – tra cui omicidi, persecuzioni, torture e violenze sessuali – commessi tra settembre 2011 e giugno 2014 in cinque centri dell’aeronautica militare e nella prigione militare di Saydnaya.

 

8. I mandati di arresto spiccati dall’ufficio del procuratore tedesco costituiscono il primo passo per porre i crimini di tortura commessi nell’ambito del conflitto siriano all’attenzione delle autorità giudiziarie. Il provvedimento contro Jamil Hassan rappresenta il primo ordine di cattura emanato nei confronti di un membro del governo siriano in carica non solo da parte dell’ordinamento tedesco, ma anche di una autorità giudiziaria penale di un paese membro dell’Unione Europea. Sino ad ora, infatti, le accuse avevano riguardato la responsabilità di ufficiali di rango minore appartenenti a gruppi armati non governativi. Al proposito si segnalano i mandati di arresto eseguiti nel 2016 nei confronti dei cittadini siriani A.S. Suliman (appartenente al fronte Al-Nusra e condannato per aver attaccato un appartenente al personale delle Nazioni Unite in missione, crimine di guerra punito dall’art. 10(1)(1) VStGB) e Al. F. Ibrahim (a capo della milizia Ghoraba-as-Sham, attualmente sotto processo per i crimini di guerra di tortura e saccheggio ex artt. 8 e 9 VStGB)[34].

Allo stato attuale, la Germania risulta essere il paese con il maggior numero di procedimenti di indagine e di casi aperti per crimini internazionali commessi in Siria, nonché l’ordinamento con minori limitazioni all’esercizio del principio di giurisdizione universale, insieme alla Norvegia[35].

Ciononostante, l’ufficio del procuratore generale federale ha in generale mantenuto un atteggiamento restrittivo, esemplificato dal citato motto “no safe haven”[36]; il metodo suggerito dalla società civile mira, al contrario, a combattere le impunità per crimini internazionali secondo l’approccio strategico tipico degli ordinamenti “global enforcers”, indipendentemente dalla presenza dei responsabili sul territorio tedesco.

Come è stato efficacemente osservato[37], la soluzione più restrittiva del “no safe haven” implica che, al contrario, l’azione penale venga esercitata in ragione del principio di giurisdizione universale solo laddove sussistano criteri di collegamento ovvero le violazioni di diritto penale internazionale siano state poste in essere da soggetti presenti per un arco di tempo sufficientemente apprezzabile nell’ordinamento o ivi arrestati[38].

I procedimenti domestici si rivelerebbero così spesso inefficaci nei confronti di coloro che vi siano transitati solo per un breve periodo. Non si dimentichi come le indagini siano spesso complicate dalla portata dello stesso elemento di contesto dei crimini internazionali, ossia la loro dimensione di macro-criminalità, nonché dalla loro frequente commissione con la connivenza delle gerarchie statali e militari.

L’ufficio del procuratore generale federale ha riconosciuto le difficoltà connesse ai procedimenti di diritto penale internazionale e, senza disconoscere l’impegno della Germania a non costituire un “porto sicuro”, ha rivisto il procedimento di indagine in senso cd. “strutturale”, volto cioè alla raccolta di materiale probatorio relativo non solo a soggetti identificati, ma in generale alla struttura nel cui contesto i crimini internazionali sono stati perpetrati (l’equivalente delle indagini sulla “Situation” davanti alla Corte penale internazionale). Le indagini dovrebbero essere dunque dirette non solo nei confronti di soggetti determinati, che allo stato potrebbero essere non ancora identificati, ma anche all’analisi delle strutture nel contesto delle quali i crimini internazionali risultano essere stati commessi. L’obiettivo è di consentire al procuratore non solo di assicurare le fonti di prova da utilizzare nei procedimenti, ma anche di agire in modo tempestivo adottando provvedimenti giurisdizionali in breve tempo. La raccolta del materiale probatorio secondo il metodo strutturale permette, inoltre, di condividere efficacemente le informazioni con altre giurisdizioni nazionali e internazionali, nonché di aprire indagini nei confronti di soggetti che si trovano al di fuori del territorio tedesco, con la possibilità per il procuratore di richiedere alla Corte Suprema Federale l’emanazione di un mandato di arresto anche nei confronti dei vertici delle gerarchie politiche e militari[39]. Tale procedura è stata utilizzata nel corso del procedimento dei cd. “Caesar files” ed ha portato all’emanazione del citato ordine di cattura nei confronti di Jamil Hassan.

In tal modo sarebbe possibile bilanciare, da un lato, il timore dimostrato dalle autorità giuridiche nazionali di oltrepassare i limiti della giurisdizione domestica e della sovranità nazionale e, dall’altro lato, la possibilità di ricorrere all’esercizio del principio di giurisdizione universale pura in un numero elevato di casi. Tale opzione sembra essere allo stato l’unica perseguibile per consegnare alla giustizia i responsabili di crimini internazionali commessi in Siria, dando credibilità ad una giustizia penale internazionale condivisa e applicata in modo equo ed effettivo a tutti i crimini di interesse della comunità internazionale nel suo complesso.

 

9. L’emanazione del mandato di arresto nei confronti di Jamil Hassan costituisce un segnale evidente degli sforzi di perseguire i crimini del conflitto siriano mediante l’esercizio dell’azione penale ordinaria, stante l’inefficacia dei meccanismi di giustizia penale internazionale, almeno fino ad un futuro che, allo stato, pare non essere prossimo.  

La decisione del procuratore tedesco dimostra altresì alle vittime del regime e ai loro familiari che anche le autorità giudiziarie europee intendono intraprendere azioni di contrasto all’immunità che permea il regime di Assad. In tale contesto è dunque evidente l’entusiasmo seguito alla notizia dell’ordine di arresto di Jamil Hassan; come affermato dall’avvocato Anwar al-Bunni, “La decisione della Germania conferma che la giustizia deve essere rispettata come principio e non ignorata per alcuna ragione politica [e che] si tratta di una vittoria anche per i sopravvissuti, i quali hanno atteso a lungo che fosse fatta giustizia”[40].

“La Germania ha in questo modo dimostrato di essere pronta ad intraprendere le indagini e a perseguire le gravi violazioni di diritti umani”, ha poi dichiarato Wolfgang Kaleck, tra i fondatori dell’ECCHR nel 2007. “Le autorità giudiziarie degli altri stati devono seguire l’esempio della procura tedesca. Fintantoché nessuna corte o tribunale internazionale persegue le torture commesse in Siria, spetta agli stati terzi esercitare il principio di giurisdizione universale”[41].

Rimane, in conclusione, l’auspicio che non si tratti di una azione isolata. Ulteriori interventi sono, infatti, necessari al fine di accertare la responsabilità delle violazioni sistematiche e diffuse dei diritti umani in Siria, rivolgendo la propria attenzione nei confronti del regime di Assad, delle corporazioni transnazionali che speculano grazie al conflitto mediante il commercio di armi e di tecnologia militare, nonché contro gli stati coinvolti negli interventi militari e le organizzazioni quali l’IS per i crimini di genocidio, schiavitù sessuale e reclutamento di bambini soldato.

Senza giustizia per le vittime dei crimini commessi in Siria, non può esserci prospettiva di alcuna soluzione politica.

L’adozione di provvedimenti giurisdizionali, quali i mandati di arresto, fin dalle fasi iniziali dei procedimenti penali e l’affermazione di una responsabilità penale individuale per i crimini commessi in violazione dei diritti umani sono strumenti essenziali sia per finalità preventive, sia per la riaffermazione dello stato di diritto e dei principi democratici in Siria. Rimane ad ogni modo auspicabile che in futuro i responsabili dei crimini in parola possano essere giudicati in modo efficace dalle stesse corti domestiche siriane.

In un recente articolo, il procuratore tedesco ha affermato come le indagini condotte nel contesto siriano costituiscano un momento fondamentale del processo di pacificazione non solo del paese, ma altresì all’interno dell’Europa stessa, a causa delle ripercussioni globali del conflitto in termini di violazione dei diritti umani fondamentali. Il procuratore ha poi proseguito affermando come, non sussistendo allo stato una corte internazionale in grado di esercitare la propria giurisdizione, spetti alle autorità nazionali portare i sospettati di fronte alle proprie corti domestiche[42]. Si tratta di un segnale positivo, che potrebbe preannunciare un ruolo propositivo della Germania nell’esercizio della giurisdizione universale in senso puro, quale “global enforcer” delle istanze della giustizia penale internazionale nei confronti dei responsabili di crimini internazionali commessi in paesi terzi.

 

 


[1] Il mandato di arresto è stato emesso nei confronti di tre alti ufficiali del regime siriano (Ali Mamlouk e Abdel Salam Mahmoud, oltre a Jamil Hassan) per crimini contro l’umanità e crimini di guerra (per il solo Mahmoud) commessi nei confronti di Mazen e Patrick Dabbagh, due cittadini siriano-francesi. Padre e figlio furono arrestati nel novembre 2013 dai servizi dell’aeronautica militare etrasferiti presso il carcere militare di Mezzeh (Damasco), il centro di detenzione con il più alto tasso di mortalità della Siria. Mazen and Patrick Dabbagh sono stati vittime di sparizione forzata e tortura; lo scorso luglio la famiglia ha ottenuto dal regime alcuni documenti ufficiali che ne attestano la morte, rispettivamente, a novembre 2017 e a gennaio 2014. Cfr. BREAKING: French judges issue international arrest warrants against three high-level Syrian regime officials, International Federation for Human Rights, 5 novembre 2018; Syria: Torture Centers Revealed, Human Rights Watch, 3 luglio 2012.

[2] Il riferimento è al criterio di personalità passiva ex art. 113(7) del codice penale francese; l’esercizio della giurisdizione in senso ‘quasi universale’, previsto a partire dal 2010 dall’art. 689 del codice di procedura penale francese in relazione alle fattispecie di crimini contro l’umanità, crimini di guerra, genocidio e tortura, è subordinato ad alcune limitazioni, quali la cittadinanza francese del sospettato o la sua presenza sul territorio nazionale.

[3] Per una analisi completa cfr. W. Kaleck e P. Kroker, Syrian Torture Investigations in Germany and Beyond: Breathing New Life into Universal Jurisdiction in Europe?, in Journal of International Criminal Justice, volume 16-1, 1 marzo 2018, pagg. 165–191.

[4] Rule of Terror: Living under ISIS in Syria, report della Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta per la Siria (Independent International Commission of Inquiry on the Syrian Arab Republic), 19 novembre 2014, A/HRC/27/CRP.3.

[5] Torture Archipelago: Arbitrary Arrests, Torture and Enforced Disappearances in Syria’s Underground Prisons in March 2011, Human Rights Watch, 2012; Out of Sight, Out of Mind: Deaths in Detention in the Syrian Arab Republic, UN Doc. A/HRC/31/CRP.1, 3 febbraio 2016; ‘It breaks the Human’: Torture, Disease and Death in Syria’s Prisons, Amnesty International, 2016.

[6] M. Price, A. Gohdes e P. Ball, Technical Memo for Amnesty International Report on Deaths in Detention, Human Rights Data Analysis Group, 17 agosto 2016.

[7] Nell’agosto del 2015, ad esempio, un attacco aereo delle forze armate siriane sulla città di Duma, nei pressi di Damasco, ha provocato la morte di almeno cento civili e il ferimento di diverse centinaia di persone. Nell’agosto dell’anno seguente, le Nazioni Unite hanno confermato che elicotteri appartenenti al regime di Assad hanno usato gas venefico in occasione dei bombardamenti su due città della provincia di Idlib nell’aprile del 2014 e nel marzo del 2015. Oggetto dei bombardamenti del regime sono stati numerosissimi ospedali e scuole; secondo l’organizzazione Physicians for Human Rights, circa 700 dipendenti di strutture mediche sono stati uccisi nel corso di attacchi dell’esercito siriano. Cfr. Dossier - Human Rights Violations In Syria Part I: Torture Under Assad - Criminal Complaints In Germany Against High-Profile Members Of Syrian Intelligence Services, ECCHR, luglio 2018.

[8] 2018 Humanitarian need overview – Syrian Arab Republic, Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs), novembre 2017.

[9] Report della Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta per la Siria, 9 agosto 2018 – 12 settembre 2018, A/HRC/39/65.

[10] Dall’inizio della sua attività nell’agosto 2011, la Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta per la Siria ha prodotto più di venti report documentando le gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani commesse dalle varie parti coinvolte nel conflitto.

[11] M. R. Manenti, I crimini commessi in Siria: prospettive di giustizia a livello internazionale, in questa Rivista, fasc. 6/2017, pagg. 211 ss.

[12] La Siria ha firmato lo Statuto della Cpi il 29 novembre 2000, senza tuttavia ratificarlo.

[13] Cfr. Referral of Syria to International Criminal Court Fails as Negative Votes Prevent Security Council from Adopting Draft Resolution, SC/11407, 2014. Nell’alveo delle Nazioni Unite sono state peraltro istituite la già citata Independent International Commission of Inquiry on the Syrian Arab Republic (UN Col Syria) e l’International, Impartial and Independent Mechanism to Assist in the Investigation and Prosecution of those Responsible for the Most Serious Crimes under International Law Committed in the Syrian Arab Republic since March 2011 (IIIM), stabilito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre 2016. Le due organizzazioni lavorano in modo coordinato, con l’obiettivo di raccogliere ed analizzare il materiale probatorio relativo alle violazioni dei diritti umani, nonché di predisporre i documenti necessari per favorire e facilitare l’esercizio di procedimenti penali efficienti a livello regionale, nazionale e internazionale.

[14] Report della Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta per la Siria, 5 febbraio 2013, A/HRC/22/59.

[15] Cfr. M. R. Manenti, I crimini commessi in Siria: prospettive di giustizia a livello internazionale, cit., nota 11.

[16] Make way for Justice #4, Momentum towards accountability, Universal Jurisdiction Annual Review 2018 #UJA, TRIAL International, European Center for Constitutional and Human Rights, International Federation for Human Rights, REDRESS e Fundación Internacional Baltasar Garzón, marzo 2018, pag. 101.

[17] C. Tomuschat, The duty to prosecute international crimes committed by individuals, in H.-J. Cremer, H. Steinberger (eds.), Tradition und Weltoffenheit des Rechts, Springer, 2002, pagg. 326 ss.; A. Cassese, Realizing Utopia: The Future of International Law, Oxford University Press, 2012; W. Kaleck, From Pinochet to Rumsfeld: Universal Jurisdiction in Europe 1998-2008, 30 Mich. J. Int'l L. 927 (2009); si veda ancora M. R. Manenti, I crimini commessi in Siria: prospettive di giustizia a livello internazionale, cit.

[18] Democratic Republic of The Congo v. Belgium (Yerodia Case), Corte Internazionale di Giustizia, General List, No. 121, 14 febbraio 2002. A. Cassese, When May Senior State Officials Be Tried for International Crimes?Some Comments on the Congo v Belgium Case’, European Journal of International Law, 13, 2002, pagg. 853–875; M.C. Bassiouni, Universal Jurisdiction Unrevisited: The International Court of Justice Decision in Case Concerning the Arrest Warrant of 11 April 2000 (Democratic Republic of the Congo v Belgium), Palestine Yearbook of International Law, 12, 2002–2003, pagg. 27–48.

[19] M. Langer, The Diplomacy of Universal Jurisdiction: The Political Branches and the Transnational Prosecution of International Crimes, 105 American Journal of International Law, 2011. Cfr. anche W. Kaleck e P. Kroker, Syrian Torture Investigations in Germany and Beyond: Breathing New Life into Universal Jurisdiction in Europe?, cit., nota 3, pagg. 172 ss.

[20] Cfr. W. Kaleck e P. Kroker, Syrian Torture Investigations in Germany and Beyond: Breathing New Life into Universal Jurisdiction in Europe?, cit., nota 3, pagg. 172 ss.

[21] Cfr. Make way for Justice #4, Momentum towards accountability, Universal Jurisdiction Annual Review 2018 #UJA, cit., nota 16.

[22] Rebirth of Universal Jurisdiction?, Yuna Han, The Individualisation of War - Reconfiguring the Ethics, Law, and Politics of Armed Conflict, European University Institute, 31 agosto 2017.

[23] Si tratta di Austria, Francia, Germania, Spagna, Svezia, Svizzera e Stati Uniti. Cfr. Make way for Justice #4, Momentum towards accountability, Universal Jurisdiction Annual Review 2018 #UJA, cit., nota 16, pagg. 102 ss. Per una analisi di alcuni di questi procedimenti si veda W. Kaleck e P. Kroker, Syrian Torture Investigations in Germany and Beyond: Breathing New Life into Universal Jurisdiction in Europe?, cit., nota 3, pagg. 173 ss.

[24] Il Völkerstrafgesetzbuch, adottato dal legislatore tedesco, è entrato in vigore con un giorno di anticipo rispetto allo stesso Statuto della Corte Penale Internazionale, il 30 giugno 2002. Völkerstrafgesetzbuch, 26 giugno 2002, Bundesgesetzblatt 2002 I, 2254.

[25] Nella specie, tuttavia, il caso non poneva problemi di applicazione del principio di giurisdizione universale, dal momento che entrambi gli accusati erano cittadini tedeschi.

[26] Cfr. W. Kaleck e P. Kroker, Syrian Torture Investigations in Germany and Beyond: Breathing New Life into Universal Jurisdiction in Europe?, cit., nota 3, pagg. 180-181.

[27] Cfr. ‘These are the crimes we are fleeing’, Justice for Syria in Swedish and German Courts, Human Rights Watch, 2017, pagg. 32 ss.

[28] Arrest Warrant Against Jamil Hassan Is A Milestone And Good News For All Affected By Assad’s Torture System, ECCHR, 8 giugno 2018.

[29] Anwar al-Bunni, avvocato per i diritti umani, ha fondato la Human Rights Association Syria (HRAS) e il Syrian Center for Legal Researches & Studies. È stato oggetto di minacce e diffamazioni da parte del governo di Assad, fino ad essere arrestato nel maggio del 2006 e condannato nell’aprile dell’anno seguente per distribuzione di informazioni false e sediziose. Dopo esser stato rilasciato nel maggio 2011, è fuggito in Germania.

[30] Mazen Darwish ha fondato il Syrian Center for Media and Freedom of Speech nel 2004 a Damasco. Nel febbraio del 2012 è stato arrestato insieme alla moglie e ad altri 14 membri dell’organizzazione nel corso di un raid dei servizi di intelligence e successivamente detenuto. È stato rilasciato solo nell’agosto del 2015.

[31] Le immagini sono state analizzate nel report If the Dead could Speak, Human Rights Watch, dicembre 2015.

[32] Human slaughterhouse: Mass hangings and extermination at Saydnaya prison, Syria, Amnesty International, febbraio 2017.

[33] Cfr. Dossier - Human Rights Violations In Syria Part I: Torture Under Assad - Criminal Complaints In Germany Against High-Profile Members Of Syrian Intelligence Services, cit., nota 7, pag. 5.

[34] Tra la fine del 2016 ed i primi mesi del 2017 il procuratore generale federale ha provveduto all’emanazione di un mandato di arresto nei confronti di alcuni appartenenti all’IS per genocidio e crimini di guerra commessi nel 2014 contro la minoranza religiosa yezida. Come evidenziato da W. Kaleck e P. Kroker (cfr. W. Kaleck e P. Kroker, Syrian Torture Investigations in Germany and Beyond: Breathing New Life into Universal Jurisdiction in Europe?, cit., nota 3, pagg. 174 ss.), i tre procedimenti già conclusisi di fronte alle corti di Francoforte e Stoccarda hanno portato alla condanna di cittadini tedeschi per appartenenza ad una organizzazione terroristica, per crimini di guerra consistenti in trattamenti inumani o degradanti nei confronti di persone protette dal diritto umanitario internazionale, nonché per crimini di guerra contro operazioni umanitarie e di sicurezza, commessi nel contesto di un conflitto armato non internazionale, ai sensi degli artt. 8(1)(9) e 10(1)(1) VStGB.

[35] Cfr. W. Kaleck e P. Kroker, Syrian Torture Investigations in Germany and Beyond: Breathing New Life into Universal Jurisdiction in Europe?, cit., nota 3, pag. 176.

[36] Endlich! – Erster Haftbefehl gegen einen ranghohen Vertreter des syrischen Assad-Regimes, Boris Burghardt, Völkerrechtsblog, 11 giugno 2018.

[37] Ibid.

[38] Cfr. W. Kaleck e P. Kroker, Syrian Torture Investigations in Germany and Beyond: Breathing New Life into Universal Jurisdiction in Europe?, cit., nota 3, pag. 180.

[39] Art. 114 StPO.

[40] Traduzione dell’autore del seguente testo originale: “This decision in Germany confirms that justice must be respected as a principle and will not be ignored for any political reason. […] It is also a victory for the survivors who have been waiting for justice for a long time.”

[41] Traduzione dell’autore del seguente testo originale: “Germany signalizes its readiness to engage in investigations and prosecutions of grave human rights violations. Judicial authorities in other states ought to follow such a step by the German judiciary. As long as no international tribunal or court is prosecuting torture in Syria, third countries have to use the principle of universal jurisdiction.

[42] Cfr. W. Kaleck e P. Kroker, Syrian Torture Investigations in Germany and Beyond: Breathing New Life into Universal Jurisdiction in Europe?, cit., nota 3, pag. 183.