ISSN 2039-1676


10 aprile 2019 |

L'iscrizione del provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto nel casellario giudiziale: la prima Sezione rimette la questione alle Sezioni unite

Cass., Sez. I, 27 febbraio 2019 (dep. 6 marzo 2019), n. 9836, Pres. Mazzei, rel. Aprile, ric. P.M. in proc. De Martino

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1. Con l’ordinanza in oggetto, la Prima sezione della S.C. ha rimesso alle Sezioni Unite la soluzione del contrasto giurisprudenziale relativa alla questione «Se il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto a norma dell’art. 131-bis c.p. sia soggetto all’iscrizione nel casellario giudiziale ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313». Con provvedimento di assegnazione del 21 marzo, la trattazione del ricorso è stata fissata per il 30 maggio prossimo (rel. Dott. Luca Pistorelli).

Il profilo in esame presenta un sicuro rilievo non solo per la composizione della distonia interpretativa, nonché per il superamento del problema tecnico, ma anche – e su un più ampio orizzonte – per la compiuta valorizzazione dell’istituto di cui all’art. 131 bis c.p.

Questi i fatti. Il Tribunale di Salerno (nelle vesti di giudice del casellario ai sensi dell’art. 40 d.P.R. n. 313 del 2002)[1], ordinava la cancellazione dal casellario giudiziale di un provvedimento di archiviazione emesso dal Giudice per le indagini preliminari per esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., ossia appunto la particolare tenuità del fatto, in relazione all’ipotesi di reato di cui all’art. 650 c.p.

Avverso tale provvedimento ricorreva il Procuratore della Repubblica, che denunciava violazione di legge in relazione al già citato art. 3, co. 1, lett. f) d.P.R. 313/2002 e, per l’effetto, chiedeva la remissione del ricorso alle Sezioni Unite per la soluzione del contrasto interpretativo o, in subordine, l’annullamento del provvedimento in questione.

Il Giudice salernitano avrebbe infatti errato nell’interpretazione del predetto art. 3, a mente del quale debbono essere iscritti nel casellario giudiziale «i provvedimenti giudiziari definitivi che hanno prosciolto l’imputato o dichiarato non luogo a procedere per difetto di imputabilità, o disposto una misura di sicurezza, nonché quelli che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’articolo 131 bis del codice penale»[2].

Il contrasto interpretativo muove dalla lettera stessa del testo, ossia dalla congiunzione «nonché» e dalla nozione di «provvedimento giudiziario definitivo»[3] e riguarda la possibilità di ricomprendere anche i provvedimenti di archiviazione ai sensi dell’art. 131 bis c.p. tra i provvedimenti giudiziari cui la norma si riferisce. Ad avviso del Procuratore ricorrente, infatti, la chiusa della norma farebbe «espresso riferimento» «a tutti i provvedimenti che hanno dichiarato la non punibilità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis c.p., essendo l’iscrizione funzionale al corretto apprezzamento, in eventuali procedimenti futuri, dell’abitualità del comportamento illecito da parte dello stesso soggetto, integrante condizione ostativa all’ulteriore applicazione della medesima causa di non punibilità»[4].

Muovendo da tale angolatura interpretativa, la lettura testuale della norma finisce quindi per spaziare entro un contesto interpretativo funzionale al requisito stesso – appunto la non abitualità del comportamento – previsto dal primo comma dell’art. 131 bis c.p.

 

2. La composizione del contrasto interpretativo, analizzato nell’ordinanza in oggetto, fa leva su un duplice ordine di argomenti: prendendo le mosse dal tenore letterale della norma relativa alle iscrizioni nel casellario giudiziale, finisce infatti per approdare alla collocazione sistematica della causa di esclusione della punibilità prevista dalla norma più volte citata.

Come ricorda l’ordinanza, due sono gli orientamenti interpretativi della Corte di cassazione. Un orientamento maggioritario, al quale aderisce il Tribunale di Salerno, afferma che «il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto, non rientrando nella categoria dei provvedimenti giudiziari definitivi di cui all’art. 3, co. 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, non è soggetto ad iscrizione nel casellario giudiziale»[5]. Nel solco della appena citata pronuncia della sezione Quinta si erano già espresse le sezioni Terza e Prima[6].

Esprimendo un contrapposto orientamento interpretativo, già segnalato dall’Ufficio del Massimario[7], la stessa sezione Quinta aveva peraltro ritenuto che anche i decreti di archiviazione emessi in forza dell’art. 131 bis c.p. fossero suscettibili di iscrizione nel casellario giudiziale[8].

A fronte di tale dissidio ermeneutico, il Collegio si pronuncia in senso favorevole all’orientamento minoritario e afferma che le argomentazioni sviluppate dal Procuratore ricorrente e avallate dal Procuratore generale sarebbero tali da «indurre un ripensamento delle conclusioni seguite dall’orientamento maggioritario»[9]. A favore di tale ipotesi milita un triplice ordine di considerazioni.

Anzitutto la mancata iscrizione dei decreti di archiviazione pronunciati ai sensi dell’art. 131 bis c.p. preclude un ritratto completo ed esaustivo della personalità dell’indagato, «così pregiudicando le successive valutazioni del requisito della non abitualità del comportamento che la stessa disposizione pone a fondamento dell’istituto»[10].

D’altro canto, sul piano sistematico la rilevanza del provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto si desumerebbe dal testo dell’art. 411, co. 1 bis, c.p.p.: ciò in quanto «la necessità di dare avviso all’indagato della richiesta di archiviazione avanzata per tale causa discende proprio dal contenuto meno favorevole del provvedimento di archiviazione, per applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., rispetto all’archiviazione nel merito»[11].

Infine, il Pubblico Ministero ricorrente fa leva sulla disparità di trattamento che in prospettiva si genererebbe tra il proscioglimento per particolare tenuità del fatto disposto con sentenza (e, pertanto, pacificamente suscettibile di iscrizione nel casellario giudiziale) e l’analogo accertamento compiuto con provvedimento di archiviazione che, seguendo l’interpretazione del Giudice salernitano, non comporterebbe alcuna evidenza nella storia dei rapporti del soggetto con la giustizia penale, appunto rappresentata dal catalogo dei provvedimenti iscrivibili.

Come ricorda il Collegio, il Procuratore ricorrente assegna perciò alla congiunzione «nonché » il valore di «congiunzione additiva», sicché oltre ai «provvedimenti giudiziari definitivi» l’art. 3 del d.P.R. 313/2002 annovererebbe anche quelli che, «indipendentemente dalla loro definitività»[12], hanno dichiarato la non punibilità ex art. 131 bis c.p.

 

3. L’orientamento maggioritario, fatto proprio dal Tribunale di Salerno, muove d’altronde – si legge ancora nell’ordinanza – da una premessa sistematica fuorviante: se, ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. 313/2002, i provvedimenti sono suscettibili di iscrizione solo se «definitivi», ossia «non impugnati o altrimenti definitivi (per rigetto dell’impugnazione)», il provvedimento di archiviazione non può rientrare in tale categoria, in quanto geneticamente non impugnabile, è «per sua natura provvisorio, per la possibilità di riapertura delle indagini»[13].

Tale ipotesi risulta smentita sia dalla configurazione codicistica dell’istituto che dagli approdi stessi della giurisprudenza. Da un lato, come dimostra il già citato comma 1 bis dell’art. 411 c.p.p., anche l’archiviazione per particolare tenuità del fatto è incardinata all’interno di un procedimento partecipato, che realizza al pari dell’ipotesi di infondatezza della notizia di reato ex art. 408 c.p.p. la piena attuazione del contraddittorio, prevedendo infatti un potere di opposizione in capo alla persona sottoposta a indagini[14].

D’altro canto, pur se con riferimento alla sentenza pronunciata in esito a dibattimento, l’art. 651 bis c.p.p. attribuisce al proscioglimento pronunciato per particolare tenuità del fatto efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno. Ad avviso della S.C., tale argomento comprova il valore del provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto «perché esso è destinato a definire il procedimento in modo tendenzialmente stabile»[15], attribuendo alla decisione che ne è scaturita efficacia extrapenale.

Da tale punto di vista, s’impone ad avviso del Collegio una considerazione dirimente. Se è vero infatti che il decreto di archiviazione resta esposto alla eventualità di una riapertura delle indagini ex art. 414 c.p.p., appare altrettanto fondata l’esclusione di siffatta eventualità per i provvedimenti di archiviazione basati sulla particolare tenuità del fatto: ciò in quanto l’archiviazione ai sensi dell’art. 131 bis c.p. «presuppone già l’accertamento del fatto, la sua attribuzione all’indagato e la riconducibilità all’ipotesi di particolare tenuità, sulla base di indagini complete e non suscettibili di riapertura», dai quali «discende la sostanziale stabilità del relativo provvedimento», peraltro – come già anticipato – suffragata dalla lezione delle Sezioni Unite[16].

Simile considerazione sembra peraltro presupporre nello strumentario logico una pur parziale sfasatura tra l’accertamento che genera l’archiviazione ai sensi dell’art. 131 bis c.p., che contiene un giudizio sulla configurabilità dell’ipotesi di reato contestata, e l’archiviazione assunta per infondatezza della notizia di reato, che viceversa postula come noto una prognosi sull’idoneità degli elementi acquisiti (ex art. 125 disp. att. c.p.p.) a sostenere l’accusa in giudizio.

 

4. Da tale punto di vista, osserva la S.C. che la mancata iscrizione del provvedimento di archiviazione nel casellario giudiziale determina per il Pubblico Ministero procedente l’impossibilità di apprezzare nell’immediato l’abitualità o meno del comportamento in relazione a fatti della stessa indole e, pertanto, di pervenire a determinazioni sul punto efficienti.

Tale paradosso finirebbe perciò per svilire la finalità deflattiva dell’istituto di cui all’art. 131 bis c.p.: e infatti, si legge ancora nell’ordinanza che «è consequenziale, sotto tale profilo, la disparità di trattamento rispetto ai soggetti per i quali sia stata pronunciata sentenza di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen., ridondante a danno dell’efficienza complessiva del sistema processuale, poiché il Pubblico Ministero, al fine di conservare traccia della declaratoria di non punibilità, potrebbe scegliere di non anticipare alla fase delle indagini la richiesta ex art. 131-bis cod. pen., rimettendone l’iniziativa all’imputato dopo l’esercizio dell’azione penale»[17].

Percorrendo tale via, infatti, si determinerebbe una inutile duplicazione di attività processuali, tale da vanificare la ratio stessa dell’istituto, rivolta appunto in chiave deflattiva[18]. D’altro canto, muovendo proprio dalla finalità deflattiva è stata recentemente avanzata la proposta di modifica dell’art. 131 bis c.p. quale causa di improcedibilità e non già di esclusione della punibilità. Tale ipotesi di riforma (che si deve al documento dell’Associazione tra gli Studiosi del Processo Penale) è giustificata da un duplice ordine di considerazioni: da un lato la necessità di un bilanciamento tra i principi costituzionali dell’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.) e dell’efficienza giudiziaria (artt. 97 co. 2 e 111 co. 2 Cost.); dall’altro la compatibilità di tale istituto con le cadenze procedimentali, che attualmente impongono in ogni caso la prevalenza del proscioglimento nel merito e il cui accertamento processuale potrebbe pertanto dirsi precluso solo dalla qualificazione della particolare tenuità appunto quale causa di improcedibilità[19].

 

5. Aderendo all’ipotesi del Procuratore ricorrente, sopra richiamata, il Collegio riafferma pertanto che la congiunzione «nonché» che chiude il testo dell’art. 3 d.P.R. 303/2002 ha «contenuto additivo»[20] e amplia pertanto il catalogo dei provvedimenti suscettibili di iscrizione nel casellario giudiziale.

A tale approdo interpretativo si perviene peraltro anche sulla scorta di un criterio sistematico, giacché – come ipotizzato già dal Pubblico Ministero ricorrente – il testo normativo prevede l’iscrizione di altri provvedimenti, parimenti «non definitivi, pertinenti ad istituti analoghi»: è il caso dell’ordinanza che dispone la sospensione del procedimento per messa alla prova (artt. 464 quater c.p.p., come previsto dall’art. 3, co. 1 bis, d.P.R. 303/2002), provvedimento di per sé revocabile, suscettibile di iscrizione «con lo scopo di consentire al giudice di valutare la sussistenza delle condizioni di accesso alla misura e di impedire una illegittima seconda concessione di essa»[21].

La stessa esigenza si ravvisa infatti nel caso della declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ove il giudice deve verificare l’eventuale abitualità del comportamento o la reiterazione di condotte illecite. Proprio questa – conclude la S.C. – è la necessità già sottolineata dalla Relazione al d. lgs. 28/2015, che introduce la causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis c.p.: il testo illustrativo precisa infatti che è stata prevista l’iscrizione di tutti i provvedimenti che dichiarino la non punibilità per tenuità del fatto, compresi decreti e ordinanze di archiviazione[22].

Alla base di tale estensione riposa infatti il presupposto della non abitualità del comportamento, che impone per coerenza sistematica un sistema di registrazione delle declaratorie di non punibilità tale da consentire, nel caso concreto, l’immediata ricostruzione della storia personale del soggetto: a sua volta funzionale ad attribuire rilievo all’esclusione della punibilità in funzione di una potenziale futura considerazione in termini di abitualità e di irrilevanza del fatto in ragione della sua tenuità[23].

La cornice interpretativa, così circoscritta nell’ordinanza, che il Collegio rimette ora alle Sezioni Unite sembra per tale via offrire un ulteriore contributo alla piena valorizzazione dell’istituto di cui all’art. 131 bis c.p., come noto già avviata dalla Corte di cassazione[24].

 

 


[1] L’art. 40 del d.P.R. 313/2002 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti) recita infatti al comma primo: «Sulle questioni concernenti le iscrizioni e i certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti decide, in composizione monocratica e con le forme stabilite dall’articolo 666 del codice di procedura penale, il tribunale del luogo dove ha sede l’ufficio locale nel cui ambito territoriale è nata la persona cui è riferita l’iscrizione o il certificato, o il Tribunale di Roma, per le persone nate all’estero, o delle quali non è stato accertato il luogo di nascita nel territorio dello Stato».

[2] Il riferimento ai provvedimenti che escludono la punibilità ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen. è stato inserito dall’art. 4, co. 1, lett. a) del d. lgs. 16 marzo 2015, n. 28.

[3] Va peraltro ricordato che l’art. 2 d.P.R. 313/2002 (Definizioni) definisce alla lett. g) la nozione di «provvedimento giudiziario definitivo» come «il provvedimento divenuto irrevocabile, passato in giudicato o, comunque, non più soggetto a impugnazione con strumenti diversi dalla revocazione».

[4] Così al § 2 del “ritenuto in fatto”, da cui anche la citazione precedente.

[5] così Cass. pen., Sez. V, n. 3817 del 15 gennaio 2018, Pisani.

[6] Cass. pen., Sez. III, n. 30685 del 26 gennaio 2017, Vanzo e in seguito Cass. pen., Sez. I, n. 31600 del 25 giugno 2018, Matarrese.

[7] Relazione n. 89/2017, menzionata anche al § 2 del “considerato in diritto” dell’ordinanza.

[8] Cass. pen., Sez. V, sent. n. 40293 del 15 giugno 2017, Serra (cfr. § 2 del “considerato in diritto”).

[9] § 2.1 del “considerato in diritto”.

[10] Ibidem.

[11] § 2.2 del “considerato in diritto”.

[12] Ibidem.

[13] § 3 del “considerato in diritto”.

[14] In tal senso, in dottrina, per una lettura introduttiva L. Giuliani, Indagini preliminari e udienza preliminare, in G. Conso – V. Grevi  – M. Bargis, Compendio di procedura penale, Cedam, Milano, 2018, p. 560. Si vd. anche G. Biondi, Non punibilità per particolare tenuità del fatto e presunzione di innocenza, pubblicata in questa Rivista, 14 ottobre 2015.

[15] § 3.2 del “considerato in diritto”.

[16] Il riferimento è a Cass. pen., Sez. Unite, 22 marzo 2000, n. 9, Finocchiaro: cfr. § 3.3 del “considerato in diritto”, da cui anche la citazione.

[17] Ibidem.

[18] Cfr. supra § 3 del “considerato in diritto”.

[19] Associazione tra gli Studiosi del Processo Penale, Prime indicazioni per una riforma sistematica del processo penale, 8 marzo 2019, in Arch. pen. web, 2019, 1 (per gli argomenti di interesse, si vd. § X, L’interesse all’efficienza giudiziaria tutelato dagli artt. 97 c. 2 e 111 c. 2 Cost. Necessità di modifica dell’art. 131-bis c.p.). Sulla scorta delle considerazioni sopra richiamate, viene pertanto proposta la modifica normativa dell’istituto in esame nei seguenti termini: «Art. 344–bis c.p.p. Irrilevanza sociale del fatto. – 1. L’azione penale non è esercitata se il fatto è socialmente irrilevante. 2. L’irrilevanza sociale ricorre quando il fatto, per le modalità della condotta, l’esiguità delle conseguenze dannose o pericolose e l’occasionalità della stessa, è di particolare tenuità e il procedimento non è compatibile con le esigenze di efficienza dell’amministrazione della giustizia tenuto conto delle attività che comporterebbe nei suoi stati e gradi e delle risorse disponibili».

[20] § 3.4. del “considerato in diritto”.

[21] Ibidem (da cui anche la citazione precedente).

[22] § 7 della Relazione illustrativa (vd. il testo, ad vocem, pubblicato on line sul sito della Camera dei Deputati), ove si legge: «In effetti, posta la necessità di iscrivere nel casellario giudiziale il provvedimento di applicazione del nuovo istituto, ancorché adottato mediante decreto d’archiviazione, ne viene che l’indagato potrebbe avere interesse ad evitare tale effetto sfavorevole in quanto eventualmente preclusivo di una futura fruizione dell’irrilevanza, mirando invece ad ottenere un risultato pienamente “liberatorio”».

[23] Sulla compatibilità costituzionale dei requisiti previsti dall’art. 131 bis c.p., cfr. inoltre Corte costituzionale, ord. 10 ottobre 2017 (dep. 21 dicembre 2017) n. 279, Pres. Grossi, Red. Lattanzi, pubblicata in questa Rivista, 19 maggio 2018, con nota di G. Ballo, Particolare tenuità del fatto: la Corte costituzionale salva l’indice-requisito della non abitualità.

[24] Il riferimento è al tema dell’applicabilità della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. dettato dalle due fondamentali pronunce di Cass. pen., Sez. Unite, 25 febbraio 2016, n. 13681, Tushaj e, in pari data, n. 13682, Coccimiglio (rispettivamente in relazione alle soglie quantitative previste dal co. 2 dell’art. 186 C.d.S. e al rifiuto di sottoporsi ad alcoltest del co. 7 della medesima norma), entrambe pubblicate in questa Rivista, 29 aprile 2016, con nota di E. Andolfatto, Le Sezioni Unite sull’applicabilità del nuovo art. 131-bis c.p. alle contravvenzioni stradali (art. 186, commi II eVII, C.D.S.).