30 maggio 2019 |
Monitoraggio Corte EDU Aprile 2019 | NUOVA EDIZIONE
Rassegna di sentenze e decisioni della Corte EDU rilevanti in materia penale sostanziale e processuale
A cura di Francesco Zacché e Stefano Zirulia
A partire dal mese corrente, il monitoraggio Cedu presenta una veste rinnovata. Si passa infatti dalla precedente forma discorsiva ad una più schematica presentazione delle singole sentenze, pur mantenendo la suddivisione "per articolo" della Convenzione; ciò nell'ottica di ottenere una rassegna che consenta una rapida consultazione, facilmente indirizzabile verso le tematiche di interesse di ciascun lettore. Allo stesso scopo, la sintesi di ciascuna sentenza verrà corredata da un breve "treno" di voci che indicano la materia rilevante ed inquadrano il caso nelle note categorie giuridiche sviluppate dal diritto di Strasburgo; il tutto seguito dall'indicazione "violazione" o "non violazione" per dare immediata contezza della posizione espressa dalla Corte. Ancora, all'interno della sintesi di ogni pronuncia verranno indicati i numeri dei paragrafi (§) che racchiudono i principi di diritto di volta in volta illustrati. Infine, si presterà particolare attenzione alla selezione delle sole pronunce che, nel panorama della copiosa giurisprudenza Cedu in materia penale e processuale-penale, presentano profili di novità o comunque di maggiore interesse per i nostri lettori.
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Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Stefano Zirulia (artt. 3, 10 Cedu e art. 1 Prot. Add. Cedu) e Gaia Caneschi (artt. 5, 6, 8 e 7 Prot. 4 Cedu).
ART. 3 CEDU
C. eur. dir. uomo, 4 aprile 2019, G.S. c. Bulgaria
Estradizione – pene corporali previste dall’ordinamento iraniano – violazione (potenziale)
Il ricorrente, arrestato in Bulgaria per un furto commesso in Iran, lamenta che la sua eventuale estradizione verso quest’ultimo Stato lo esporrebbe al rischio di pene corporali, segnatamente la fustigazione. Secondo le corti bulgare, la consegna si giustifica alla luce delle rassicurazioni ricevute dallo Stato richiedente in ordine all’applicazione della sola pena detentiva. La Corte da un lato ritiene la pena in questione configuri una forma di tortura e sia dunque incompatibile con l’art. 3 Cedu (§81); dall’altro lato dichiara di ritenere inaffidabili le rassicurazioni fornire dall’Iran, tenuto conto, tra l’altro, della circostanza che tale Stato non solo non ha sottoscritto la Convenzione contro la tortura, ma la pratica sistematicamente, e si oppone espressamente alle pressioni internazionali per rimuovere le pene corporali dal codice penale (§92-93). Alla luce di tali considerazioni, la Corte afferma che l’eventuale esecuzione dell’estradizione (rimasta sospesa durante il giudizio di Strasburgo in forza di interim measure disposta ai sensi della Rule 39 del Regolamento) configurerebbe a carico della Bulgaria una violazione dell’art. 3 Cedu. (Stefano Zirulia)
C. eur. dir. uomo, 29 aprile 2019, A.M. c. Francia
Espulsione a seguito di condanna per terrorismo – rischio di trattamenti inumani e degradanti in Algeria – non violazione
Il ricorrente è un cittadino algerino condannato in Francia per associazione con finalità di terrorismo a pena detentiva nonché ad un divieto permanente di reingresso; su di lui pende un provvedimento di espulsione verso l’Algeria. Di fronte alla Corte edu, lamenta che l’esecuzione del provvedimento lo esporrebbe al rischio di trattamenti inumani e degradanti nel Paese di destinazione. La Corte nega la violazione potenziale alla luce di reports ed altri fonti di informazione internazionali da cui evince che, quanto meno in anni recenti, non vi sono evidenze di rischi di trattamenti inumani o degradanti a carico dei sospetti terroristi in Algeria, anche in ragione dei progressi in materia di tutela dei diritti fondamentali derivati dalla riforma della Costituzione e dei servizi segreti (§121). Inoltre, anche altre giurisdizioni di Stati membri del Consiglio d’Europa hanno stabilito che non sussistono rischi di violazioni dei diritti fondamentali in caso di misure di allontanamento verso l’Algeria, sebbene alcuni profili della procedura penale algerina possano ancora suscitare perplessità rispetto ai canoni del processo equo (§125). (Stefano Zirulia)
ART. 5 CEDU
C. eur. dir. uomo, 9 aprile 2019, Navalnyy c. Russia (n. 2)
Diritto alla libertà e alla sicurezza – detenzione arbitraria – assenza delle esigenze cautelari – violazione
Il ricorrente, l’attivista politico russo Aleksey Navalnyy, indagato per frodi e riciclaggio, veniva sottoposto alla misura cautelare del divieto di lasciare Mosca, con concessione del permesso di allontanarsi dalla città a condizione di informare gli investigatori. Tale misura veniva modificata in senso peggiorativo in arresti domiciliari con imposizione del braccialetto elettronico, sulla base – tra l’altro – di una ritenuta violazione delle condizioni relative al divieto di allontanamento: secondo i giudici nazionali, infatti, l’autorizzazione concessa non dispensava il ricorrente dal dover richiedere un permesso preventivo ad hoc prima di ogni viaggio. La Corte di Strasburgo rileva preliminarmente che, secondo l’art. 5 Cedu, la detenzione deve avere una base legale e non essere arbitraria, ossia deve essere necessaria a raggiungere uno scopo preciso previsto dalla legge. Nel caso di specie, la sussistenza delle esigenze cautelari poste alla base dell’applicazione della misura (pericolo di alterazione delle prove e di reiterazione dei reati) non era stata dimostrata dalle autorità nazionali. Inoltre, le condizioni del permesso di lasciare la città rilasciato al ricorrente non erano chiare (non essendo, in particolare, specificato dal provvedimento se l’informativa sugli spostamenti dovesse essere preventiva o postuma) (§ 61). Alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, la Corte edu riconosce che la decisione di convertire la misura in arresti domiciliari è stata arbitraria (§ 63). (Gaia Caneschi)
C. eur. dir. uomo, 16 aprile 2019, Alparslan Altan c. Turchia
Diritto alla libertà e alla sicurezza – detenzione provvisoria di un giudice sulla base della nozione di delitto in flagranza – violazione
Il ricorrente, ex giudice della Corte costituzionale turca, veniva arrestato per la sua ritenuta appartenenza al gruppo FETÖ/PDY, collegato al fallito colpo di Stato avvenuto la notte tra il 15 e il 16 luglio 2016. L’arresto veniva posto in essere nonostante le garanzie di immunità accordate ai membri della Corte costituzionale dalla Costituzione turca, perché, secondo le autorità nazionali, la detenzione del ricorrente si giustificava sulla base della nozione nazionale di “delitto in flagranza” (§ 114). La Corte di Strasburgo sottolinea che l’estensione del campo di applicazione di tale concetto è discutibile in termini di certezza del diritto se non vengono accertati elementi fattuali precisi in grado di determinare l’esistenza di attività criminale in corso (§ 114). Nel caso di specie, la detenzione non ha avuto base legale perché la nozione di “delitto di flagranza” non poteva essere interpretata tanto estensivamente nonostante lo stato di emergenza invocato dalla Turchia ai sensi dell’art. 15 Cedu, bensì avrebbero dovuto essere privilegiate le garanzie procedurali legate all’appartenenza all’ordine giudiziario (§ 118-119). Inoltre, sulla mancanza di concreti elementi a carico del ricorrente al momento dell’arresto, la Corte nota che, in effetti, le prove a sostegno della necessità della detenzione preventiva erano state raccolte solo molto tempo dopo l’arresto, e le autorità nazionali non avevano affrontato questa doglianza quando sollevata dal ricorrente di fronte alla giurisdizione interna. In proposito, la Corte edu conclude affermando che le prove a carico del ricorrente al momento del suo arresto non erano sufficienti e che, dunque, l’ordine di detenzione si era fondato sulla mera appartenenza ad un’organizzazione criminale con violazione dell’art. 5 comma 1 Cedu. (Gaia Caneschi)
C. eur. dir. uomo, 30 aprile 2019, T.B. c. Svizzera
Diritto alla libertà e alla sicurezza – legalità della detenzione in un istituto per malattie mentali – violazione
Il ricorrente era stato condannato dal tribunale dei minori ad una pena detentiva, nonché ad una misura di sicurezza consistente nella reclusione in una struttura specializzata in disturbi psichici, in quanto rappresentava un pericolo per gli altri. Secondo il ricorrente, tuttavia, la legislazione nazionale avrebbe consentito la reclusione ai fini di assistenza unicamente per impedire atti autolesionistici, e non anche rivolti a terzi. La Corte edu rammenta che, per il rispetto dell’art. 5 comma 1 Cedu, la detenzione deve avere una base legale e, ove riguardante una persona affetta da problemi mentali (ipotesi prevista dall’art. 5 comma 1 lett. e Cedu), essa può fondarsi sulla necessità di impedire condotte auto o eterolesionistiche solo se ravvisabile il rischio concreto di un grave danno per la società (§ 54). Nel caso di specie, l’asserita finalità di prevenire atti lesivi verso terzi, posta a fondamento del provvedimento di condanna, non trovava riscontro, secondo la Corte, in alcun comportamento aggressivo o minaccioso da parte del ricorrente durante la detenzione (§ 55). Pertanto, la detenzione inflitta al ricorrente non trovava alcuna base legale nell’ordinamento nazionale (§ 57). (Gaia Caneschi)
ART. 6 CEDU
C. eur. dir. uomo, 9 aprile 2019, Cocu e Calentiev c. Moldavia
Equità processuale – diritto all’accesso ad un tribunale – rapporto tra azione civile e processo penale – violazione
I ricorrenti sono parti civili nel processo per l’omicidio, conseguente a rapina, di due prossimi congiunti. In sede penale, venivano risarciti i danni patrimoniali relativi all’ammontare di denaro sottratto durante la rapina e il danno non patrimoniale legato alla perdita della vita umana. Veniva invece respinta la domanda risarcitoria collegata rispettivamente alla rifusione delle spese legali e ai danni cagionati alle autovetture delle persone offese, stante la necessità – affermata dal giudice penale – che l’azione fosse esperita nella sua sede naturale. Nell’ambito dei primi due gradi del giudizio civile, i danni da ultimo richiamati venivano liquidati; tuttavia, nel giudizio dinanzi alla Corte suprema, le precedenti statuizioni venivano annullate sulla scorta della considerazione che tutte le voci di danno erano state trattate e liquidate in sede penale. Il procedimento veniva quindi definitivamente chiuso. La Corte di Strasburgo rileva che, in verità, in sede penale le richieste risarcitorie erano state accolte solo parzialmente, e che si era affermato spettasse alla giurisdizione civile pronunciarsi sulle restanti domande dei ricorrenti. Cionondimeno, la Corte suprema civile aveva chiuso il processo sulla base della considerazione che la sentenza penale d’appello aveva autorità di cosa giudicata sulle azioni esercitate dai ricorrenti dinanzi alla giurisdizione civile. La Corte osserva che il codice di procedura civile moldavo riconosce l’autorità di cosa giudicata nella ricorrenza di una triplice identità (di parti, oggetto e causa delle azioni): nel caso di specie, tale identità non era stata verificata dalla Corte suprema nazionale, la quale, con la decisione di chiudere il processo, ha mancato di garantire un rapporto ragionevole di proporzionalità tra mezzi impiegati e scopo prefissato dalla legge: per l’effetto, i ricorrenti sono stati ingiustamente privati della possibilità di vedersi rimborsate le restanti somme richieste a titolo di danno patrimoniale (§ 31). (Gaia Caneschi)
C. eur. dir. uomo, 11 aprile 2019, Malyy c. Ucraina
Equità processuale – diritto di difesa – confessione resa senza assistenza legale - violazione
Il ricorrente lamenta che la propria condanna per duplice omicidio si era fondata sulle dichiarazioni autoindizianti rese nelle fasi preliminari delle indagini, senza assistenza difensiva e sotto costrizione. Preliminarmente, la Corte edu rammenta che, con riguardo all’equità processuale, l’art. 6 comprende il diritto all’assistenza difensiva, il diritto di rimanere in silenzio nonché il privilegio contro l’autoincriminazione. Con riguardo al caso di specie, la Corte nota che, quando la confessione è stata resa, un’accusa penale – nel significato autonomo attribuito dalla Convenzione – già esisteva e ciò avrebbe richiesto il riconoscimento e l’applicazione delle garanzie previste dall’art. 6 Cedu (§ 101). Oltretutto, in quel momento, a carico del ricorrente esistevano altri elementi che avrebbero dovuto condurre alla conversione del suo status in indagato, con la garanzia dell’assistenza di un difensore. Nessuna ragione contingente, infatti, può giustificare la compressione del diritto di essere assistito da un difensore (§ 107). Per valutare l’equità complessiva della procedura, altre circostanze concrete vengono tenute in considerazione dalla Corte di Strasburgo: in primo luogo, il fatto che il ricorrente fosse già in stato di arresto per altri reati – non collegati al duplice omicidio oggetto delle indagini – lo poneva in una condizione di vulnerabilità che ha sicuramente giocato un ruolo nella decisione di confessare. Inoltre, l’inammissibilità del ricorso relativo alla ritenuta violazione dell’art. 3 Cedu, consistente nell’aver subito violenze da parte degli agenti di polizia per indurre la confessione, non preclude la valutazione della rilevanza di questa allegazione sotto il profilo del rispetto delle garanzie previste dall’art. 6 Cedu. In proposito, la Corte nota che la reiterazione della confessione, effettuata alla presenza del difensore, è stata una conseguenza dell’iniziale compressione dei diritti difensivi del ricorrente, circostanza quest’ultima che ha influenzato il suo comportamento processuale e la sua intera strategia difensiva (§ 114). Infine, sottolineando il controllo molto rigoroso che le corti nazionali devono effettuare qualora non vi siano motivi validi per giustificare la limitazione del diritto di accesso a un avvocato, la Corte osserva che – considerato nel suo complesso – il processo penale non ha garantito al ricorrente un adeguato bilanciamento alla compressione dei diritti difensivi avvenuta nelle prime fasi del procedimento (§ 117). (Gaia Caneschi)
C. eur. dir. uomo, 16 aprile 2019, Alakhverdyan c. Ucraina
Equità processuale – diritto all’assistenza difensiva – violazione
Il ricorrente lamenta di essere stato portato alla stazione di polizia allo scopo di rendere testimonianza in relazione ad un duplice omicidio. Tuttavia, lo stesso giorno, dopo essere stato esaminato senza rilasciare dichiarazioni dalle quali potesse emergere una sua responsabilità, la polizia costringeva il ricorrente a confessarsi autore dei reati e lo conduceva sul luogo del delitto, per il compimento di altre attività investigative, senza l’assistenza di un legale. La Corte edu rileva che, sulla base della documentazione in atti, non è possibile accertare se la confessione fosse stata spontanea o se fosse stata resa su istigazione degli inquirenti: in ogni caso, non c’è prova del fatto che fosse stata garantita l’assistenza di un legale (§ 55). Inoltre, lo status del ricorrente era formalmente passato da quello di testimone a quello di indiziato solo dopo la ricostruzione dei fatti operata sul luogo del delitto: egli non aveva pertanto potuto beneficiare dei diritti e delle garanzie collegate all’assunzione della qualifica formale di indiziato e, tanto più per l’assenza di un difensore, aveva rilasciato dichiarazioni contra se che avevano dato impulso alle indagini (§ 61-62). (Gaia Caneschi).
C. eur. dir. uomo, 16 aprile 2019, Bondar c. Ucraina
Equità processuale – parità delle armi nell’esame dei testimoni – violazione
Il ricorrente lamenta la non equità del procedimento penale celebrato a suo carico, sostenendo, tra i vari motivi di doglianza, di non aver potuto riesaminare un testimone decisivo dopo che questi aveva ritrattato la sua iniziale versione. La Corte di Strasburgo, considerando gli altri elementi presenti nel compendio probatorio, riconosce che la testimonianza in discorso, pur non essendo l’unico elemento accusatorio, aveva probabilmente determinato l’esito del caso. Inoltre, nella procedura adottata dalla corte nazionale dopo la ritrattazione, la pubblica accusa aveva potuto riascoltare il testimone, mentre alla difesa non era stata concessa analoga possibilità. In questo modo, non è stato rispettato il principio di parità delle parti, essenziale in materia di esame dei testimoni, così determinandosi la violazione dell’art. 6 commi 1 e 3 Cedu (§ 79-80). (Gaia Caneschi)
ART. 8 CEDU
C. eur. dir. uomo, 11 aprile 2019, Guimon c. Francia
Diritto al rispetto della vita privata e familiare – diniego del permesso di uscita dal carcere – non violazione
La ricorrente, condannata a diciassette anni di reclusione per vari crimini legati all’appartenenza all’organizzazione basca di stampo terroristico denominata ETA, si duole del rigetto della richiesta di uscire dal carcere sotto scorta per recarsi ai funerali del padre. Il governo non contesta che il rifiuto fosse un’ingerenza delle autorità nazionali nel diritto al rispetto della vita familiare della ricorrente; tuttavia, afferma che si sarebbe trattato di un’ingerenza prevista dalla legge per la tutela della sicurezza pubblica. La Corte rileva che l’art. 8 Cedu non garantisce alle persone detenute un diritto di uscita, e l’esistenza di una procedura di autorizzazione prevista dalla legge non è di per sé criticabile (§ 38). Si tratta, infatti, di un’interferenza nella vita familiare che non viola la Convenzione, se prevista dalla legge come misura necessaria in una società democratica. Spetta allo Stato dimostrare che la restrizione dei diritti e delle libertà dei detenuti sia necessaria e, nel caso di specie, l’autorità giudiziaria aveva valutato con cura la richiesta, negando il permesso da un lato per la gravità dei reati commessi e per l’attuale rivendicazione della ricorrente dell’appartenenza all’ETA e, dall’altro lato, per l’impossibilità logistica di organizzare una scorta rinforzata in tempo per permetterle la partecipazione alle esequie. Dunque, le autorità nazionali avevano proceduto ad un bilanciamento degli interessi in gioco – il diritto della ricorrente al rispetto della propria vita privata e familiare e la tutela della pubblica sicurezza – che non è stato arbitrario (§ 50). (Gaia Caneschi)
ART. 10 CEDU
C. eur. dir. uomo, 9 aprile 2019, Navalnyy c. Russia (n. 2)
Divieti di comunicazione durante gli arresti domiciliari – divieto di utilizzare radio, televisione e internet – difetto di finalità legittima ex art. 10 comma 2 – violazione
Per la sintesi dei fatti ed i profili relativi alla violazione del diritto alla libertà personale, v. supra sub art. 5. Nei confronti dell’attivista politico russo Aleksey Navalnyy, insieme alla misura cautelare degli arresti domiciliari, con obbligo di braccialetto elettronico, venivano disposti una serie di divieti di comunicazione: in particolare, il divieto di avere colloqui (ad eccezione di quelli con i famigliari e gli avvocati), di ricevere o inviare corrispondenza, di utilizzare internet, di rilasciare dichiarazioni ai media. Alcuni mesi dopo il divieto di colloqui viene limitato a quelli con i testimoni del procedimento, e viene altresì ritirato il divieto di rilasciare dichiarazioni, trattandosi in entrambi i casi di misure non ricomprese tra quelle tassativamente previste dal codice di procedura penale. In compenso viene introdotto il divieto di utilizzare la radio e la televisione. La Corte rileva la violazione della libertà di espressione, sub specie di diritto di ricevere e fornire informazioni, in ragione sia della violazione delle norme di procedura russe, sia dell’assenza di collegamento tra le misure restrittive imposte e la finalità di prevenzione dei reati di cui all’art. 10 comma 2 Cedu (§ 79-80). (Stefano Zirulia)
ART. 10 CEDU
C. eur. dir. uomo, 30 aprile 2019, Elvira Dmitriyeva c. Russia
Manifestazione non autorizzata – arresto e condanna – limiti all’esercizio delle libertà di riunione e manifestazione del pensiero – violazione
La ricorrente lamenta di essere stata arrestata e condannata in relazione a condotte consistite nell’organizzazione di una manifestazione non autorizzata, nell’appello a parteciparvi, nonché nella violazione dell’ordine di sciogliere l’assembramento. La protesta era finalizzata a chiedere le dimissioni del primo ministro Medvedev, sospettato di corruzione. Il diniego di autorizzazione era stato censurato dalla competente corte distrettuale, in quanto l’amministrazione si era limitata ad opporre la presenza di un altro evento nello stesso luogo, senza tuttavia proporre una sede diversa. Il giudice penale, tuttavia, aveva ritenuto che ciò non comportasse automaticamente l’autorizzazione dell’evento, ed aveva condannato la ricorrente a pena pecuniaria e lavori socialmente utili. La Corte edu rileva la violazione dell’art. 10 Cedu, interpretato anche alla luce della giurisprudenza sull’art. 11 Cedu (e segnatamente del noto caso Lashmankin), in ragione del difetto del requisito di un “pressante bisogno sociale”: il diniego dell’autorizzazione a svolgere la manifestazione si era basato su ragioni meramente formali, senza cioè che fosse stato accertato il pericolo concreto di disordini, e mirava ad impedire un evento di pubblico interesse, oltretutto su tematiche che la Corte stessa giudica meritevoli di protezione rafforzata (§82-89). La Corte coglie altresì l’occasione per ricordare agli Stati di osservare “un certo grado di tolleranza” rispetto alle manifestazioni pacifiche, ancorché non autorizzate (§86). Viene inoltre ravvisata la violazione dell’art. 13, in quanto alla decisione della corte distrettuale che aveva censurato il diniego di manifestare non era stata data opportuna esecuzione (§ 62-64). (Stefano Zirulia)
ART. 1 PROT. ADD. CEDU
C. eur. dir. uomo, 16 aprile 2019, Bokova c. Russia
Confisca – abitazione di proprietà del coniuge – garanzie sostanziali e procedurali – violazione
La ricorrente lamenta la confisca della propria abitazione disposta dalla corte penale che aveva condannato il marito per una maxi-frode. Secondo i giudici nazionali, nel periodo in cui l’uomo aveva condotto le attività illegali erano state apportate delle migliorie all’abitazione, ragione per cui la stessa era stata espropriata al fine di risarcire la vittima del reato. La Corte edu rileva la violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale: muovendo dal presupposto secondo cui la donna, che aveva ereditato la casa prima che il marito ponesse in essere le condotte penalmente rilevanti, avesse diritto a conservare quanto meno una parte del valore del proprietà, la pronuncia censura l’operato delle Corti nazionali, che non avevano quantificato il profitto del reato investito nelle migliorie, né avevano concesso alla donna di esercitare, tanto in sede civile quanto in sede penale, le garanzie procedurali connesse alla difesa del diritto di proprietà (§ 55-58). (Stefano Zirulia)
ART. 7 PROT. 4 CEDU
C. eur. dir. uomo, 16 aprile 2019, Bjarni Ármannsson c. Islanda[1]
Diritto a non essere giudicato e punito due volte – necessaria valutazione della connessione sostanziale e temporale tra procedimenti – violazione
Il ricorrente, ex amministratore delegato di una banca, veniva sottoposto ad un procedimento amministrativo sanzionatorio per l’omessa dichiarazione dei profitti ricavati dalla vendita delle azioni ricevute al termine dell’incarico. Tale procedimento si concludeva con l’applicazione di una sovrattassa pari al 25% dei tributi non versati; successivamente, per lo stesso fatto, il ricorrente veniva sottoposto anche ad un processo penale e condannato. Dopo aver accertato la natura sostanzialmente penale delle due sanzioni e l’identità fattuale, la Corte di Strasburgo ha valutato la sussistenza del requisito della necessaria connessione sostanziale e temporale tra i due procedimenti, facendo richiamo alla propria giurisprudenza nel caso A e B c. Norvegia (§ 45). Quanto alla connessione sostanziale, la Corte rileva che, nel caso di specie, i due procedimenti avevano perseguito scopi complementari nell’affrontare la questione del mancato rispetto da parte del ricorrente della presentazione della dichiarazione dei redditi. Inoltre, la possibilità di dover fronteggiare due diversi procedimenti era prevedibile per il ricorrente, perché derivante da regole precise. Quanto alla connessione temporale, la Corte osserva che i due procedimenti si erano svolti contemporaneamente solo per pochi mesi, e quello penale era andato avanti per anni nonostante la chiusura di quello amministrativo con provvedimento definitivo. È dunque sulla base del difetto di connessione dal punto di vista temporale dei due procedimenti, nonché sulla base dell’acquisizione e valutazione del compendio probatorio avvenuta in modo del tutto indipendente nelle due diverse sedi, che la Corte riscontra la violazione dell’art. 7 Prot. 4 Cedu (Gaia Caneschi)
[1] Cfr. A. Galluccio, Non solo proporzione della pena: la Corte Edu ancora sul bis in idem, in questa Rivista, 7 maggio 2019.