ISSN 2039-1676


11 giugno 2019 |

Patteggiamento e ricorso per cassazione in relazione alle sanzioni amministrative accessorie: la parola alle Sezioni unite

Cass., Sez. IV, ord. 16 maggio 2019 (dep. 27 maggio 2019), n. 22113, Pres. Fumu, rel. Cenci, ric. P.G. in proc. Melzani

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1. L’ordinanza in esame segnala il contrasto sorto nella giurisprudenza di legittimità circa l’ammissibilità o meno del ricorso per cassazione avverso sentenze di patteggiamento che applicano o omettono di applicare sanzioni amministrative accessorie.

Nel caso sottoposto all’attenzione della IV sezione, in primo grado il Tribunale di Brescia, applicando la pena richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p. per il reato di guida in stato di ebrezza, ordinava nei confronti dell’imputato la sospensione della patente di guida per la durata di un anno, pari al minimo edittale, omettendo di raddoppiare la durata della misura, come prevede l’art. 186, comma 2 lett. c) del d.lgs. n. 285 del 1992[1], e di aumentare la durata della misura da in terzo alla metà, come stabilito dall’art. 186 bis, comma 3 del d.lgs. n. 285 del 1992[2]. Il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Brescia proponeva ricorso per cassazione, lamentando la violazione delle norme del codice della strada, e chiedeva l’annullamento della sentenza. Pur ritenendo fondato il ricorso, la Corte di cassazione non si è pronunciata nel merito, ritenendo che l’eventuale annullamento ai sensi dell’art. 620 lett l c.p.p. richieda preliminarmente la soluzione della questione relativa alla ricorribilità o meno delle sentenze di patteggiamento che applicano o omettono di applicare sanzioni amministrative accessorie previste dalla legge.

 

2. Il regime delle impugnazioni nei confronti della sentenza di applicazione della pena è stato infatti recentemente ridisegnato dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, con la quale il legislatore ha inteso limitare rigidamente il ricorso per cassazione avverso tale provvedimento allo scopo di arginare l’uso strumentale di questo mezzo di impugnazione e così alleggerire il carico giudiziario della Corte. Oltre a contemplare e individuare i casi in cui è consentito procedere alla mera rettificazione della sentenza[3], il legislatore, introducendo il comma 2 bis dell’art. 448 c.p.p., ha provveduto a limitare il ricorso per cassazione ai soli motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto e all'illegalità della pena o della misura di sicurezza[4].

Il ricorso per cassazione pare dunque ammissibile nei soli casi in cui “l’accordo non si sia formato legittimamente o non si sia tradotto fedelmente nella sentenza, ovvero il suo contenuto presenti profili di illegalità per la qualificazione giuridica del fatto, per la pena o per la misura di sicurezza”[5]. Nessuna previsione è contemplata con riguardo alle statuizioni contenute nella sentenza di patteggiamento sottratte all’accordo tra le parti. È il caso delle sanzioni amministrative accessorie, che devono essere applicate, indipendentemente dalla volontà delle parti, essendo il divieto di cui all’art. 445 c.p.p. di carattere eccezionale, e dunque limitato alle sole pene accessorie e alle misure di sicurezza diverse dalla confisca, ed avendo le sanzioni amministrative accessorie delle proprie peculiarità che le distinguono dalla pena, cui non è possibile in alcun modo equipararle. Il vuoto normativo è stato variamente inteso dalla giurisprudenza e ciò spiega come fin dalle prime applicazioni della nuova normativa siano emerse letture contrastanti dell’art. 448 comma 2 bis c.p.p. In particolare la giurisprudenza di legittimità è pervenuta a conclusioni opposte in ordine alla ammissibilità del ricorso per cassazione proposto nei confronti di sentenze di applicazione della pena che applichino o omettano di applicare sanzioni amministrative accessorie e più precisamente la sospensione della patente di guida, in tema di reati commessi in violazione delle norme stradali.

 

3. Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale è possibile impugnare con ricorso per cassazione la sentenza di patteggiamento con riguardo alle statuizioni relative alla sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida[6]. È vero, infatti, che la sanzione amministrativa accessoria, quale la sospensione della patente, non è riconducibile alle categorie della pena e delle misure di sicurezza e quindi la violazione della relativa disciplina non può rientrare nel motivo attinente alla illegalità della pena o della misura di sicurezza. Il carattere autonomo di tale sanzione e delle determinazioni ad essa inerenti comporta che “le stesse si pongano al di fuori dell’ambito di positivizzazione dell’art. 448 comma 2 bis c.p.p.”[7].

Non per questo, tuttavia, le statuizioni concernenti le sanzioni amministrative accessorie risultano essere inoppugnabili. Infatti la sanzione amministrativa non può formare oggetto di accordo tra le parti e come per tutti i profili estranei al patteggiamento, in quanto sottratti all’accordo delle parti o non considerati nello specifico da pubblico ministero e imputato, deve ritenersi consentito il ricorso per cassazione secondo la disciplina generale dettata dall’art. 606 comma 2 c.p.p.

All’interpretazione sostenuta da questo indirizzo giurisprudenziale è dunque sotteso un distinguo tra le statuizioni della sentenza di patteggiamento che hanno formato oggetto dell’accordo tra le parti e gli aspetti che sono esclusi dalla negoziazione, in quanto non suscettibili di accordo o comunque ignorati nel caso concreto dalle parti. I profili che hanno formato oggetto del patto processuale tra pubblico ministero e imputato, “nella misura in cui quest’ultimo possa estendersi ad aspetti ulteriori rispetto all’essentialia negotii”[8] sono impugnabili mediante ricorso per cassazione, limitatamente ai motivi indicati dall’art. 448 comma 2 bis c.p.p. Per tutti gli aspetti esclusi dal patteggiamento, che esulano dalla disponibilità delle parti o che da queste non sono considerate, anche a seguito della riforma Orlando, non è venuta meno la possibilità di proporre ricorso per cassazione secondo le regole generali dettate dall’art. 606 c.p.p.

 

4. La possibilità di adire il giudice di legittimità per ottenere l’annullamento della sentenza di patteggiamento che applichi o ometta di applicare sanzioni amministrative accessorie è stata invece negata dalla Corte di cassazione in altre pronunce che hanno escluso l’ammissibilità del ricorso per cassazione proposto in ordine al vizio della motivazione concernente la durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida[9].

La lettura restrittiva si fonda sulla manifesta finalità deflativa perseguita dal legislatore del 2017 che con la novella ha inteso ridurre significativamente l’area della ricorribilità oggettiva delle sentenze di patteggiamento, prevedendo la possibilità di dedurre davanti alla Suprema Corte solo i vizi macroscopici delle sentenze pronunciate ex art. 444 c.p.p., in modo da impedire l’uso strumentale del mezzo di impugnazione, diretto a rinviare il passaggio in giudicato del provvedimento e quindi l’esecuzione della pena.

Secondo questo orientamento, l'accettazione della definizione del procedimento con il rito alternativo implica l'applicazione dello speciale regime per l'impugnazione anche con riguardo ai punti della decisione sottratti all'accordo tra le parti; diversamente si verrebbe a creare una ingiustificata asimmetria nel sistema delle impugnazioni della sentenza di applicazione della pena. Le statuizioni aventi ad oggetto la pena e le misure di sicurezza sarebbero soggette alle limitazioni esistenti sul piano del vizio di motivazione, essendo ammesso il ricorso ex art. 448 comma 2 bis c.p.p. solo per motivi inerenti alla illegalità della pena o della misura di sicurezza; e ciò nonostante le misure di sicurezza non siano oggetto dell’accordo tra le parti. Le decisioni in ordine alle sanzioni amministrative accessorie, al contrario, potrebbero essere oggetto di impugnazione, non soffrendo alcuna limitazione.

 

5. Nell’ordinanza in esame, il Collegio non prende esplicitamente posizione a favore dell’una o dell’altra tesi, ma sottolinea alcune criticità derivanti dall’approccio esegetico più rigoroso.

In primo luogo avanza il dubbio che la lettura restrittiva della normativa possa non essere conforme ai principi costituzionali. L’esigenza di perseguire la finalità deflativa che permea la novella non può infatti giustificare la compressione dei diritti delle parti, precludendo la tutela giurisdizionale rispetto a statuizioni oggettivamente in contrasto con disposizioni di legge.

Conseguentemente, la Corte sottolinea come l’adesione alla tesi restrittiva richieda l’individuazione di uno strumento idoneo a far valere e a porre rimedio ai vizi della sentenza di applicazione della pena, in ordine all’applicazione di sanzioni amministrative accessorie in modo difforme al modello legale o alla omessa applicazione di tali sanzioni.

Due i rimedi ipotizzati, non privi tuttavia di controindicazioni. Non pare innanzitutto convincente il ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali prevista dall’art. 130 c.p.p., che è stato infatti ritenuto illegittimo per la sostituzione, nella sentenza di patteggiamento, della statuizione concernente la sospensione della patente di guida con quella della revoca della stessa[10]. Secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, tale procedura è prevista per porre rimedio a imprecisioni, ad omissioni di elementi necessariamente ricompresi nel provvedimento, a discrasie meramente formali. L’intervento correttivo operato ai sensi dell’art. 130 c.p.p. si traduce in un’integrazione meccanica, che non comporta l’esercizio di un potere discrezionale. Quando invece si procede ad una modifica sostanziale del contenuto dell’atto, che si risolve in una modifica rilevante, essenziale e significativamente innovativa del contenuto della decisione, il ricorso alla procedura di cui all’art. 130 c.p.p. è stato ritenuto improprio[11].

Neppure l’altro rimedio ipotizzato, l’incidente di esecuzione, pare efficacemente praticabile. Con riguardo alla pena accessoria applicata extra o contra legem dal giudice di cognizione, la giurisprudenza di legittimità infatti ha ammesso l’incidente di esecuzione per rilevare l’illegittimità della sanzione entro certi limiti[12]. Più precisamente ha ammesso l’intervento in executivis quando la pena accessoria inflitta non sia frutto di un errore valutativo del giudice della cognizione che si sia già pronunciato in proposito e quando l’intervento del giudice dell’esecuzione non implichi valutazioni discrezionali in ordine alla specie ed alla durata della pena accessoria, essendo questa predeterminata dalla legge o determinabile, nella specie e nella durata[13]. Con riguardo alle sanzioni amministrative accessorie, in conformità al dictum delle Sezioni Unite, la giurisprudenza ha escluso che in sede esecutiva possa essere emendato l’errore nella determinazione della durata della sanzione: l'illegittimità della pena accessoria applicata dal giudice della cognizione infatti può essere rilevata in executivis solo quando la sanzione irrogata non sia prevista dall'ordinamento giuridico ovvero quando, per specie o quantità, questa risulti eccedente il limite legale, e non quando risulti errato il calcolo attraverso il quale essa è stata determinata – salvo che non sia frutto di errore macroscopico – trattandosi di errore censurabile solo attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione[14].

Il quadro controverso e problematico che emerge dall’analisi del Collegio giustifica la scelta di rimettere alle Sezioni Unite il ricorso, in modo da chiarire se, a seguito dell’introduzione del comma 2 bis dell’art. 448 c.p.p., siano ricorribili o meno per cassazione – e in caso affermativo entro quali limiti – le sentenze di applicazione di pena su richiesta delle parti che applicano o mettono di applicare sanzioni amministrative accessorie.

 

6. L’ordinanza in esame si inserisce in un panorama giurisprudenziale segnato dalla complessità e dall’incertezza dovuta a divergenze di fondo sul tema del controllo di legittimità della sentenza di patteggiamento.

La questione dell’ammissibilità del ricorso per cassazione della sentenza di patteggiamento si è posta infatti anche in relazione alle statuizioni che concernono le misure di sicurezza personali, quale l’espulsione dal territorio dello Stato, e patrimoniali, quale la confisca; con riguardo sia alla omessa applicazione di una misura di sicurezza sia alla mancata motivazione circa la misura disposta, la giurisprudenza di legittimità ha espresso convincimenti contrapposti.

Sulla base di argomenti di ordine testuale, sistematico e logico una parte della giurisprudenza ha escluso l’ammissibilità sia del ricorso per cassazione proposto dal pubblico ministero avverso l'omessa pronuncia nella sentenza di patteggiamento dell'espulsione dello straniero[15], sia del ricorso presentato dall’imputato avverso l'omessa motivazione in ordine alle ragioni della confisca del profitto del reato[16]. Secondo questo indirizzo, la previsione di nuovo conio individua ipotesi tassative per la proponibilità del ricorso: tra queste non è previsto il sindacato sulla motivazione, ma l’illegalità della misura di sicurezza, cui peraltro non può equipararsi l’omessa pronuncia sulla misura. Sul piano sistematico questo orientamento afferma l’applicabilità del regime speciale dettato dall’art. 448 comma 2 bis c.p.p. a tutte le statuizioni espresse e contenute nella sentenza, rientrino o meno nel perimetro dell’accordo sulla pena, in quanto la scelta del rito comporterebbe una consapevole accettazione delle parti dei limiti al potere di impugnare anche per quanto riguarda i punti della sentenza di patteggiamento, che pur estranei all’accordo, rientrano tuttavia in un’area di ragionevole prevedibilità.

Attraverso percorsi argomentativi differenti altra giurisprudenza ha ammesso il ricorso per cassazione anche in ordine alle decisioni relative alle misure di sicurezza. Talora la Suprema Corte è pervenuta a tale conclusione, facendo perno su una interpretazione estensiva della nozione di illegalità della misura di sicurezza, distinta da quella di illegalità della pena e comprensiva della ipotesi di misura di sicurezza disposta senza motivazione o dell’ipotesi di misura di sicurezza illegittima, cioè disposta in violazione dei presupposti e dei limiti stabiliti dalla legge[17]. In altre pronunce invece la tesi dell’ammissibilità del ricorso per cassazione si fonda sulla distinzione tra le statuizioni che recepiscono il contenuto dell’accordo delle parti – cui si applica la disciplina prevista dall’art. 448 comma 2 bis c.p.p. – e le statuizioni estranee al concordato sulla pena – che sono impugnabili secondo le regole generali[18].

Anche la questione relativa all’ammissibilità del ricorso per cassazione nei confronti della sentenza di patteggiamento, con il quale si deduce il vizio di motivazione in ordine all’applicazione di una misura di sicurezza personale o patrimoniale è stata dunque rimessa alle Sezioni Unite[19].

 

7. Molti i dubbi da sciogliere. L’interrogativo di fondo cui le Sezioni Unite saranno chiamate a dare risposta[20] è se il regime dell’impugnazione della sentenza di applicazione della pena sia il medesimo per le statuizioni che recepiscono l’accordo negoziale presupposto da provvedimento – relative alla definizione giuridica del fatto, all’individuazione delle circostanze e al relativo giudizio di bilanciamento, nonché alla quantificazione della pena – e per le statuizioni esterne al patto, rispetto alle quali non vi è stato alcun accordo o alcuna espressa rinuncia – quali le decisioni in ordine alle sanzioni amministrative accessorie e alle misure di sicurezza, personali o patrimoniali – oppure se a situazioni radicalmente diverse corrispondano regimi impugnatori differenti. La questione non è di poco momento e implica una riflessione sulla valenza dell’accordo negoziale sotteso alla sentenza di applicazione della pena, sulla portata della clausola di ragionevole prevedibilità e sulle modalità di tutela dei diritti anche nel caso di arbitrio del giudice, nonché sulla compatibilità della normativa con i principi costituzionali. L’inoppugnabilità della sentenza di patteggiamento, in ordine ai profili che esulano dal patto tra le parti, rischia di tradursi in un vuoto di tutela: nessun rimedio sarebbe infatti esperibile a fronte di provvedimenti afflittivi, non motivati, che incidono sulla libertà personale, come la misura di sicurezza personale, sul patrimonio come le diverse forme di confisca[21] o comunque sui diritti della persona, come le sanzioni amministrative accessorie. Da qui la necessità di verificare la correttezza sotto il profilo costituzionale dell’interpretazione restrittiva – che nega la facoltà di impugnare una statuizione non motivata idonea ad incidere sui diritti fondamentali – e di stabilire se l’accordo intervenuto tra le parti possa giustificare l’inoppugnabilità di decisioni non negoziabili.

Altro tema che richiede di essere approfondito, soprattutto qualora dovesse prevalere la tesi della non impugnabilità della sentenza in ragione del carattere pattizio della pronuncia, è quello della illegalità della pena e più ancora della illegalità della misura di sicurezza, categoria dai contorni non definiti, raramente considerata dalla giurisprudenza di legittimità.

La parola spetta ora alle Sezioni Unite, chiamata ad indicare una lettura della normativa costituzionalmente orientata, che non vanifichi le finalità deflative della riforma in materia di impugnazioni, ma al tempo stesso non finisca con il disincentivare il ricorso a questo procedimento speciale su cui il legislatore ha molto puntato per ridurre i tempi di durata del processo.

 

 


[1] L’art. 186, comma 2 lett. c) del d.lgs. n. 285 del 1992 prevede che la durata della sospensione della patente di guida sia raddoppiata qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro e il veicolo appartenga a persona estranea al reato.

[2] L’art. 186 bis, comma 3 del d.lgs. n. 285 del 1992 che prevede le sanzioni ivi previste siano aumentate da un terzo alla metà' per i conducenti di età inferiore agli anni ventuno.

[3] La legge 23 giugno 2017, n. 103 ha introdotto all’art. 130 c.p.p. il comma 1 bis con il quale si prevede la rettificazione della sentenza su richiesta delle parti degli errori di denominazione o di calcolo, in relazione rispettivamente alla specie o alla quantità della pena, da parte del giudice che ha emesso il provvedimento o in caso di impugnazione, da parte della Corte di cassazione, senza procedere all’annullamento della sentenza.

[4] Sulla portata della riforma cfr. R. Belfiore, Gli interventi sulla applicazione della pena su richiesta delle parti e sul procedimento per decreto, in G.M Baccari – C. Bonzano – K. La regina – E. Mancuso (a cura di), Le recenti riforma in materia penale, Padova, 2017, p. 312; V, Maffeo, I procedimenti speciali, in A. Scalfati (a cura di), La riforma della giustizia penale, Commento alla legge 23.6.2017 n. 103, Torino, 2017, p. 160; A. Sanna, Rimedi agli errori della sentenza negoziata: l’arretramento del controllo giurisdizionale, in Giur. it., 2017, p. 2273; I. Ciarniello, Impugnazione delle sentenze di patteggiamento: i tradizionali arrêts divengono nuove regole, in www.lalegislazionepenale.eu; G.M. Baccari, La disciplina del ricorso per cassazione avverso la sentenza di “patteggiamento” dopo la riforma “Orlando”, in Proc. pen. e giust., 2018, 6, p.1187; A. Bassi, Il giudizio per cassazione ad un anno dall’entrata in vigore della riforma orlando, in Cass. pen., 2018, 12, p. 4043; G. Della Monica, I limiti al controllo sulla sentenza di patteggiamento introdotti dalla riforma Orlando, in Arch. pen., 2018, p. 543.

[5] In questi termini la Relazione conclusiva della Commissione Ministeriale istituita con decreto del 10 giugno 2013 "per elaborare una proposta di interventi in tema di processo penale", in questa Rivista, 27 ottobre 2014

[6] Cfr. Cass. pen., sez. VI, 10 aprile 2019, P.G. in c. Moretti, n. 15848, in CED Cass. n. 275224; Cass. pen., sez. IV, 25 giugno 2018, Stratta, n. 29179, in CED Cass. n. 273091; Cass. pen. sez. IV, 23 marzo 2019, Bruna, n. 18942, non mass.; Cass. pen. sez. III, 19 febbraio 2019, El Bachar, n. 16782 non mass.; Cass. sez. IV, 24 gennaio 2019, P.G. in c. Re, n. 7554, non mass.; Cass. pen. sez. IV 28 novembre 2018, p.m. in c. Alvaro, n. 5071, non mass.

[7] Cass. pen., sez. IV, 25 giugno 2018, cit.

[8] Cass. pen., sez. VI, 10 aprile 2019, cit.

[9] Cfr. Cass. pen. sez. VI, 3 aprile 2019, Lodato, n. 14721, in CED Cass. n.275241; Cass. pen. sez.VI, 7 gennaio 2019, Pulvirenti, n. 15845, non mass.

[10] V. Cass. pen sez. IV, 7 maggio 2015, n. 19144, Marinelli, in CED Cass. n. 263489; Cass. pen. sez. IV, 3 luglio 2012, n. 25707, Di Toma, in CED Cass. n. 253310. Va peraltro sottolineato che anche su tale questione si regista un contrasto giurisprudenziale, essendosi in altra pronuncia ritenuto legittimo il ricorso alla procedura di cui all’art. 130 c.p.p. per sostituire nella sentenza di patteggiamento la statuizione concernente la sospensione della patente di guida con quella della revoca della stessa, trattandosi di omissione di una statuizione obbligatoria di natura accessoria e a contenuto predeterminato: così Cass. pen. sez. IV, 1 settembre 2014, n. 36492, Di Nardo, in CED Cass. n. 261056.

[11] Cfr. Cass. pen. sez. 17 aprile 2003, n. 18326, Oliveri, in CED Cass. n. 225898; Cass. pen. sez. II, 17 marzo 2008, n. 11763, Lesi, in CED Cass. n. 239249; Cass. pen. sez. I, 18 ottobre 2013, n. 42897, Gomma, in CED Cass. n. 257158.

[12] Cfr. Cass. pen. sez. un. 12 febbraio 2015, n. 6240, B., in questa Rivista 8 marzo 2015 con nota di I. Manca, Le Sezioni unite ammettono l'intervento in executivis sulla pena accessoria extra o contra legem, purché determinata per legge nella specie e nella durata. Le sezioni Unite, ritenendo ammessa dalla giurisprudenza la possibilità di emendare in executivis una pena accessoria illegale, sottolineano come la questione sia stabilire “limiti” e “ambito” dell’intervento sul giudicato da parte del giudice dell’esecuzione: v. Cass. pen. sez. un. 12 febbraio 2015, cit., § 6.

[13] Cfr. Cass. pen. sez. un. 12 febbraio 2015, cit., § 6.1 e § 6.2.

[14] Cfr. Cass. pen. sez. I, 18 maggio 2015, n. 20466, Nardi, in CED Cass. n. 263506; Cass. pen. sez. I, 24 giugno 2016, n. 26557, Lo Sasso, in CED Cass. n. 267254.

[15] V. Cass. sez. III, 10 ottobre 2018, n. 45559, Handa, CED Cass. n. 273950; Cass. sez. VI, 7 febbraio 2019, n. 6136, Kamberi CED Cass. n. 275034

[16] Cfr. Cass. pen. sez. VI, 25 gennaio 2019, n. 3819, Boutamara, in Ced Cass. 274962

[17] In tal senso. Cass. pen. sez. III, 14 maggio 2019, n. 20781, in www.processopenaleegiustizia.it; Cass. pen. sez. III, 29 gennaio 2019, n. 4252, Caruso, in CED Cass. n. 274946

[18] Cfr. Cass. sez. pen. I, 15 marzo 2019, n. 11595, P.G. in c. Cabiddu, in CED n. 275059; Cass. pen. sez. III, 4 luglio 2018, n. 30064, Lika, in CED Cass. n.273830.

[19] V. Cass. pen. sez. VI, 29 aprile 2019, ord. n. 1170, Savin,

[20] Per entrambi i ricorsi l’udienza è fissata per il 18 luglio 2019

[21] Accanto alla confisca obbligatoria o facoltativa prevista dall’art. 240 c.p.p., possono essere disposte con sentenza di applicazione della pena altre misure ablative, di natura diversa, come la confisca per equivalente o la confisca c.d. allargata o altre forme speciali di confisca, ciascuna con discipline e presupposti differenti.