ISSN 2039-1676


09 giugno 2011 |

"Assestamenti" interpretativi in tema di restitutio in integrum ex art. 175 co 2 c.p.p.

Nota a Cass. pen., sez. III, 7.4.2011 (dep. 29.4.2011), n. 742, Pres. Squassoni, Rel. Ramacci.

Anche il difensore d’ufficio dell’imputato contumace è legittimato a proporre istanza di restituzione in termini ai sensi dell’art. 175 comma 2 c.p.p. Grava sull’autorità giurisdizionale procedente la verifica relativa al momento dell’effettiva conoscenza della pronuncia in absentia.

 

1. Con la sentenza annotata, la Suprema Corte fa compiere un ulteriore, seppur piccolo, passo alla “lunga marcia” della disciplina "italian style" della contumacia, verso un adeguamento alle esigenze di una piena attuazione del diritto dell’accusato ad essere presente nel "suo" processo (così come tutelato dagli artt. 24 co 2 e 111 Cost. e dagli artt. 6 § 3 lett. c, d, e CEDU e 14 § 3 lett. d PIDCP).

 

Proprio la consapevolezza di come si stia procedendo per piccoli passi – quasi mai, per vero, del tutto scontati – aggiunge però valore alle affermazioni ivi contenute e le rende meritevoli di attenzione.

La pronuncia del giudice di legittimità prende le mosse da un ricorso per violazione di legge proposto avverso un’ordinanza della Corte di Appello di Milano con cui era stata respinta un’istanza di restituzione in termini ex art. 175 co. 2 c.p.p. (così come modificato dal d.l. n. 17/2005, convertito nella l. 60/2005), finalizzata all’impugnazione di una decisione contumaciale, a sua volta pronunciata dal Tribunale del capoluogo lombardo.

Più specificamente, va detto che, a fondamento del proprio rifiuto, il giudice di seconde cure adduceva: a) la proposizione dell’istanza ad opera del difensore d’ufficio, unico sottoscrittore della medesima; b) l’impossibilità di valutare la tempestività della richiesta, difettandovi l’indicazione specifica del momento in cui il destinatario della statuizione resa in absentia aveva preso notizia del procedimento a suo carico.

La Suprema Corte, censurando l’ordinanza sotto entrambi i profili, la annulla con rinvio ai sensi dell’art. 623 co 1 lett. a) c.p.p.

 

2. Ai fini di una sia pur rapida analisi degli epiloghi interpretativi cui addiviene la Corte di cassazione, non si può non ricordare come la configurazione attuale del meccanismo restitutorio a favore del contumace (« Se è stata pronunciata sentenza contumaciale o decreto di condanna, l’imputato è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione od opposizione, salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione od opposizione. A tal fine l’autorità giudiziaria compie ogni necessaria verifica») sia il frutto del tentativo, da parte del legislatore italiano, di adeguarsi ai precetti dei giudici di Strasburgo e di scongiurare così il rischio di altre condanne oltre a quelle già riportate negli anni per l’appunto precedenti il d.l. n. 17/2005.

Ferma la natura comunque “compromissoria” della scelta effettuata dal legislatore italiano che, in luogo di una vera restituito dei diritti al contumace attraverso la celebrazione di un nuovo processo, si è limitato ad ampliare i presupposti per ottenere la restituzione nel termine a favore del contumace “inconsapevole” della sentenza di prima istanza, non c’è dubbio che la disposizione dell’art. 175 co 2 c.p.p. non possa né debba essere fatta segno di letture formalistiche che, oltre a tradire la ratio legis, svilirebbero la già per molti versi opinabile effettività del novellato rimedio processuale.

E di avallo di una lettura aridamente testuale, disfunzionale allo spirito dell'intervento novellistico, si sarebbe trattato laddove la Corte avesse negato la legittimazione del difensore d’ufficio a proporre l’istanza di cui si discute, sol perché la littera legis fa esclusivo riferimento alla richiesta dell’imputato.

Il Supremo Collegio richiama anzitutto un proprio precedente (Cass., sez. V, 23.3.2007 [dep. 12.7.2007], n. 27350, Ced 237247) che, affrontando analoga questione con riguardo alla legittimazione del difensore di fiducia, aveva concluso in senso affermativo, quand’anche il legale risultasse sprovvisto di procura speciale, giacché l’istanza ex art. 175 co 2 c.p.p. non è « atto specificamente ed espressamente riservato all’imputato o al suo procuratore speciale e […] l’imputato può comunque togliere effetto all’atto compiuto dal difensore prima che sia intervenuto un provvedimento del giudice (art. 99 co 2 c.p.p.)»; né omette di ribadire la portata di carattere generale dell’art. 99 con 1 c.p.p. secondo cui, appunto, il difensore può esercitare tutti i diritti e le facoltà riconosciuti all’imputato (o all’indagato ex art. 61 c.p.p.), fatta eccezione per quelle situazioni soggettive per le quali l’imputato deve agire in via personale o tramite altro soggetto munito di procura speciale (…e nelle quali non può ritenersi ricompresa l’attività di cui all’art. 175 co 2 c.p.p.: cfr., a contrariis, Cass., SS.UU., 10.6.1999, Min. Tesoro in c. Sciamanna, Ced 208548 e Cass., SS.UU., 14.1.1995, Scacchia, in Cass.pen. 1195, 1173).

Soprattutto, però, la sentenza sottolinea, e applica al problema specifico, il principio dell'assoluta equiparazione tra difensore fiduciario e difensore d’ufficio allorché si tratti dell'esercizio di poteri che garantiscano un effettivo vantaggio per l'imputato. Opportunamente, invero, la Corte non si limita a constatare che « non sussiste alcuna preclusione di legge alla proposizione dell’istanza di rimessione in termini neppure da parte del difensore d’ufficio », per rilevare invece che, nel caso di specie, trattasi di un atto favorevole all’imputato, un atto al quale – aggiungiamo noi – segue semplicemente l’eliminazione del carattere d’irrevocabilità della sentenza, non il suo annullamento, e che comunque potrebbe essere privato di qualunque effetto in forza del potere ex art. 99 co 2 c.p.p.

Si avverte qui una sensibilità per i reali interessi in gioco, rimasta invece assente da altre pronunce giurisprudenziali e, in particolare, dall'orientamento, fatto proprio dalle stesse Sezioni unite (Cass., SS.UU. 31.1.2008 [dep. 7.2.2008], Huzuneanu, in Cass.pen., 2008, 2358 ss.), secondo cui il gravame proposto "in termini" dal difensore (anche se d'ufficio) avrebbe irrimediabilmente "consumato" i poteri d'impugnazione della "parte-difesa" precludendo, dunque, al contumace la possibilità di giovarsi dell'istituto dell'art. 175 c.p.p. per dolersi, a sua volta, della condanna emessa nei suoi confronti. Tale orientamento, com’è noto, è poi stato posto nel nulla dalla Corte costituzionale con la sent. 317 del 2009 (in Giur.cost. 2009, 4747 ss.), la quale ha appunto dichiarato «la illegittimità costituzionale dell’art. 175, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente la restituzione dell’imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato».

 

3. Già si è fatto cenno delle “pressioni” europee che hanno indotto il legislatore italiano a rimodellare l’art. 175 co 2 c.p.p. In particolare, basterà ricordare come, proprio con riguardo al dettato originario della disposizione, la Corte EDU avesse denunciato l’inefficacia dello strumento restitutorio sottolineando, per un verso, la difficoltà di provare, da parte del contumace, l’elemento della non volontaria sottrazione alla conoscenza degli atti del procedimento e, per un altro, l’eccessiva brevità del termine perentorio concesso all’imputato per presentare istanza di restituzione (Corte EDU, 10.11.2004, Sejdovic c. Italia, in Dir.pen.proc. 2005, 122). Ed è proprio nell’ottica di dare risposte a siffatte censure, che la rinnovata ipotesi restitutoria integra – come è stato efficacemente detto – una tendenziale « potestà » per l’imputato che, finalmente affrancato dalla probatio (quasi) diabolica della mancata effettiva conoscenza, può limitarsi a proporre la richiesta di restituzione (non più entro dieci ma) entro trenta giorni da quello in cui ha avuto « effettiva conoscenza del provvedimento » (art. 175 co 2-bis c.p.p.). In altri termini, allo scopo di prendere il più possibile le distanze da un congegno che rendeva di fatto impraticabile l’accesso al rimedio, oggi non soltanto si prevede un termine di decadenza più lungo ma, soprattutto, si sposta l’onere probatorio dall’imputato al giudice il quale, se del caso, dovrà corroborare un suo eventuale rigetto con elementi atti a dimostrare la “conoscenza”, la volontaria rinuncia a comparire o ad impugnare o, comunque, la tardività della richiesta.

Un siffatto assetto normativo instaura una“presunzione di non conoscenza” a favore del contumace il quale, tuttavia, non va esente da un onere di allegazione degli elementi che, a suo dire, avrebbero reso impossibile la conoscenza reale del procedimento o del provvedimento (cfr. ad esempio Cass., sez. I, 9.12.2008, Ced 242627). Diversamente opinando, infatti, anche l’onere della prova rimesso all’autorità giudiziaria finirebbe per risultare troppo gravoso, e costringerebbe quest’ultima ad accordare la restituzione ogni qualvolta il richiedente invocasse sic et simpliciter la mancata conoscenza del processo.

Una volta che il contumace, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza divenuta irrevocabile, abbia assolto l’obbligo di indicare (non – si noti bene – di provare) le cause ostative di una effettiva conoscenza del procedimento/provvedimento a suo carico, spetta, se del caso, al giudice, anche attraverso la ricerca aliunde di elementi di prova, verificare la veridicità di dette allegazioni e fornire i motivi che eventualmente lo inducano a disattenderle. Neppure in questo contesto, com’è ovvio, la valutazione giudiziale potrà sfuggire al canone decisorio dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio” e, pertanto, qualsiasi situazione d’incertezza relativa ai presupposti di cui all’art. 175 co 2 c.p.p., dovrà risolversi a vantaggio del contumace e della sua possibilità di esercitare il diritto di cui è stato indebitamente spogliato.

 

4. Venendo, infine, al secondo ed ultimo profilo di censura addebitato dalla Corte al provvedimento di rigetto del giudice di merito, non vi è alcun motivo per dubitare che le considerazioni finora svolte con specifica attenzione ai requisiti ex art. 175 co 2 c.p.p. involgano anche il “presupposto temporale” di cui al comma 2-bis della stessa disposizione, ovvero il momento in cui il soggetto istante abbia avuto contezza del provvedimento relativo al processo in cui è rimasto contumace.

Com’è intuibile – e come, peraltro, la stessa Corte di legittimità si era già premurata di sottolineare – laddove si pretendesse, da parte del contumace, non soltanto l’attestazione del momento in cui questi ha avuto notizia del procedimento a suo carico, ma la prova, altresì, che, prima di quel momento, quell’effettiva conoscenza non c’era, si contravverrebbe, nuovamente, alle indicazioni provenienti dai giudici di Strasburgo che delle modifiche in esame sono state, come detto, all’origine.

Allorché sussistano sospetti in ordine alla tempestività della richiesta di restituzione in termine, è compito del giudice effettuare adeguati controlli in relazione al momento in cui è intervenuta la conoscenza dell’esistenza di un procedimento (cfr. Cass., sez. II, 24.1.2006, Spinosi, in Cass.pen. 2006, 4152; Cass., sez. VI, 28.5.2007, Malaj, ivi, 2008, 1983 ss.; contra, però, Cass., sez. V, 19.9.2005, Alvaro, in Cass.pen. 2006, 1499; Cass., sez. I, 8.2.2006, Harnou, Ced 233700).

Il che, però, non risulta avesse fatto la Corte milanese nel caso di specie: difatti, pur non accontentandosi dell’indicazione temporale allegata dal richiedente – il quale, per incidens, asseriva di aver appreso notizia del procedimento a suo carico soltanto “al momento dell’arresto conseguente all’esecuzione dell’ordine di carcerazione” – il giudice d’appello si era limitato a dichiararne l’incompletezza, senza attivarsi in alcun modo nella ricerca di elementi di riscontro.

Anche per questa ragione, ed a ragione, la sentenza in esame ha annullato il provvedimento reiettivo impugnato, ricordando, ancora una volta, che « la dimostrazione della tardività » dell’istanza restitutoria « spetta – in caso di diversa allegazione della parte – al giudice, al quale, a tal fine, è attribuito il potere di accertamento » e come un’interpretazione diversa da quella così offerta non farebbe altro che reintrodurre nella “nuova” disciplina della restituzione in termini « quegli ostacoli all’effettività del diritto ad un giusto processo » a suo tempo biasimati dalla Corte europea dei diritti nell’uomo (cfr. Cass. Sez. V, 19.5.2010, n. 19072).