ISSN 2039-1676


27 luglio 2011 |

Insoliti riconoscimenti dell'impossibilità economica ad adempiere nel delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare: una Cassazione più attenta alle ragioni dei genitori in difficoltà?

Nota a Cass., sez. VI, 10 gennaio 2011, n. 6597, Pres. De Roberto, rel. Calvanese; e a Cass., sez. VI, 10 maggio 2011, n. 27051; Pres. Serpico, rel. Calvanese

(I) Cass., sez. VI, 10 gennaio 2011, n. 6597, Pres. De Roberto, rel. Calvanese

 

In materia di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza (art. 570, comma 2, n. 2, c.p.) e ai fini dell’accertamento del requisito della concreta capacità economica dell’obbligato, deve tenersi in adeguata considerazione la circostanza che il genitore inadempiente si trovi in rilevanti difficoltà economiche, dovute all’avvenuto pignoramento presso il datore di lavoro delle retribuzioni, delle indennità di fine rapporto e di altri emolumenti a sé spettanti, nonché al concorrente (e sopravvenuto) obbligo di mantenimento di altri due figli (nella specie, il pignoramento era stato disposto in seguito all’azione esecutiva per l’integrale pagamento degli arretrati riconosciuti dalla sentenza dichiarativa della paternità; mentre l’obbligo di mantenimento nei confronti degli altri due figli legittimi era sorto in ragione dell’intervenuta separazione dalla moglie, determinata proprio dal riconoscimento di paternità del figlio nato fuori dal matrimonio).

 

 

(II) Cass., sez. VI, 10 maggio 2011, n. 27051, Pres. Serpico, rel. Calvanese

 

Non realizza il reato di cui all’art. 570 comma 2 n. 2 c.p., per difetto del requisito della concreta capacità economica dell’obbligato, il genitore sordomuto che non adempia l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento stabilito in favore della figlia minore, in quanto, titolare del solo reddito pensionistico per invalidità, si trovi in una persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le proprie esigenze di vita (nella specie, a fronte di un reddito pensionistico d’invalidità di circa 3150 euro l’anno, l’importo dell’assegno di mantenimento da versare in favore della figlia minore era stato determinato nella misura di 150 euro mensili).

 

 

1. Con le due sentenze in commento, la VI sezione della Cassazione afferma la necessità di effettuare un serio accertamento in ordine alle concrete possibilità economiche di un genitore di garantire, ai sensi dell’art. 570 comma 2, n. 2, c.p., i mezzi di sussistenza ai figli.

Ed invero, se nella prima pronuncia (sub I)  viene annullata con rinvio la decisione impugnata, rimproverando ai giudici a quo di non aver tenuto adeguatamente in conto la situazione in cui si trovava l’imputato; nella seconda (sub II), i giudici di legittimità giungono ad un verdetto assolutorio con formula piena (perché il fatto non sussiste), censurando in particolare la circostanza che la Corte d’Appello, pur avendo accertato le condizioni di estremo disagio economico dell’imputato, avesse poi escluso che ciò bastasse ad esimere il genitore dall’adempimento dell’obbligo di mantenimento nei confronti della figlia minore.

 

Per il favor mostrato nei confronti dell’obbligato al mantenimento, le due decisioni non sembrano in sintonia con la tendenza finora prevalente in giurisprudenza, ove di regola si riconosce l’impossibilità ad adempiere solo in ipotesi del tutto eccezionali (ad. esempio, la detenzione coatta del soggetto obbligato, in presenza di determinate condizioni: Cass., sez. VI, 16 maggio 1997, Ricciardi, in Riv. pen., 1998, 46; oppure la sussistenza di gravi patologie fisiche o psichiche: Cass., sez. VI, 18 novembre 2004, in Foro it., 2005, II, 198).

 

Nel quadro di tale orientamento rigoristico, verosimilmente originato dall’obbiettivo di contrastare i frequenti tentativi di camuffare l’entità delle capacità economiche per sottrarsi ai propri obblighi familiari, la giurisprudenza ha negato, ad esempio, che lo stato di disoccupazione (sovente invocato come causa dell’inadempimento) possa di per sé escludere la capacità economica dell’obbligato (v., ex multis, Cass., sez. VI, 15 febbraio 2005, Pegno, in Ced Cass., rv. 231453, e in Foro it., Rep. 2005, Voce Assistenza familiare, n. 10), o che la dichiarazione di fallimento osti all’adempimento dell’obbligo (v. Cass., sez. VI, 21 settembre 1994, Di Castro, in Giust. Pen., 1995, II, 387).

 

 

2. Più in generale, si può osservare che gran parte della giurisprudenza subordina ad un doppio e concorrente limite (oggettivo/soggettivo) di rilevanza la possibilità di invocare legittimamente lo stato di incapacità economica, secondo il principio “ad impossibilia nemo tenetur”.

 

Sotto il profilo oggettivo, non è infatti ritenuta sufficiente la circostanza che l’obbligato versi in una situazione di difficoltà economica (come, ad esempio, la condizione di disoccupato), dovendosi altresì dimostrare la sussistenza di una vera e propria indigenza, che non consenta materialmente, in tutto o in parte, di poter garantire i mezzi di sussistenza agli aventi diritto (v. App. Caltanissetta, 27 settembre 2005, D.M.G., in Giur. Merito, 2006, 1511, con nota di Pezzella; Cass, sez. VI, 25 giugno 1999, Morfeo, in Ced Cass., rv. 216826, e in Foro it., Rep. 2000, voce cit., n. 7).

 

Sotto il profilo soggettivo, è poi generalmente richiesto il carattere involontario e incolpevole dell’indisponibilità economica: non escluderebbe il reato, dunque, non solo l’indigenza determinata da una scelta volontaria dell’obbligato (come nel caso di dimissioni dal posto di lavoro preordinate a creare un’apparente impossibilità di adempiere: v. Cass. 18 febbraio 1989, Canto, in Riv. pen., 1991, 224), ma anche quella causata da un comportamento imprudente o negligente (come nell’ipotesi del disoccupato che non si attivi per procurarsi un lavoro: Cass. 23 gennaio 1997, Parisella, in Cass. pen., 1998, 2024; o di chi non faccia valere il diritto alla continuazione del rapporto di lavoro con l’esercizio di mansioni compatibili con la sua parziale invalidità: Cass., sez. VI, 30 novembre 1995, Cangelli,, in Giust. Pen., 1997, II, 11).

 

 

3. Quanto all’accertamento in concreto dell’impossibilità di adempiere, la giurisprudenza ha fissato ulteriori e stringenti parametri.

 

Per un verso, si è ritenuto (v. Cass. 13 novembre 2008, Lupo, in Ced Cass., rv. 242853, e in Foro it., Rep. 2009, voce cit., n. 6) che la reale condizione reddituale dell’obbligato non possa essere desunta dalla mera documentazione formale; specie quando sia presumibile, in base a circostanze concrete (come, ad esempio, l’accensione di un mutuo per l’acquisto di un immobile), l’esistenza di ulteriori (pur se occulte) fonti di reddito che concorrono a formare l’effettiva capacità patrimoniale del soggetto: v. Cass., sezione VI penale, sentenza 9 aprile 2010, Burgio, inedita.

 

Per altro verso, si è costantemente affermato che grava sull’obbligato l’onere della prova, o quantomeno l’onere di allegare tutti gli elementi ritenuti utili a dimostrare l’incapacità economica (v. Cass. 15 febbraio 2005, cit.).

 

 

4. Con riferimento poi ai riflessi sull’obbligo di sostentamento di un eventuale concorso di aventi diritto, in giurisprudenza si è escluso che nel caso di creazione di una nuova famiglia venga meno l’obbligo di ripartire le risorse fra tutti i beneficiari: v. Cass. 3 dicembre 2003, Masi, in Giust. pen., 2005, II, 706.

 

In dottrina, v’è chi (Ferro Cenderelli, La Violazione degli obblighi di assistenza familiare, Padova, 2007, 245), in applicazione del principio civilistico di cui all’art. 442 c.c., propone una scelta preferenziale in favore soltanto di alcuni degli aventi diritto, purché fondata sullo stato di bisogno del soggetto passivo (e possibilmente demandata al giudice). Mentre per altri (Delogu, Diritto penale, in Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di Cian-Opp-Trabucchi, 1995, 556), nel caso di nascita di figli da un nuovo rapporto di convivenza permarrebbe l’obbligo nei confronti di tutti i familiari, ma la pluralità di beneficiari dovrebbe essere adeguatamente considerata nella valutazione della concreta capacità economica ad adempiere: in ipotesi di risorse insufficienti, dunque, “il genitore obbligato non potrebbe essere considerato responsabile del delitto, anche se quel poco che ad ognuno può dare non raggiunga nemmeno il livello dei mezzi di sussistenza” (Delogu, Diritto penale, cit., 556).

 

 

5. La due sentenze in commento, a ben vedere, seppur favorevoli alle ragioni degli imputati, non si discostano formalmente dai consueti e rigoristici parametri di giudizio fin qui passati in rassegna, sotto il profilo sia dei limiti di rilevanza dell’impossibilità ad adempiere, sia dell’onere di allegazione richiesto all’obbligato.

 

 E’ per provare, infatti, un’incolpevole impossibilità economica ad adempiere che la Corte (sub I) si sofferma prima sull’ineccepibile comportamento processuale dell’obbligato durante il giudizio per il riconoscimento della paternità (essendosi dapprima sottoposto all’esame del DNA e, all’esito, non avendo impugnato la sentenza), e poi sulla circostanza che il concorrente obbligo di mantenimento fosse sorto solo successivamente, e in realtà proprio in ragione del riconoscimento del figlio naturale e della conseguente separazione dalla moglie.

 

Parimenti, quanto alla decisione sub II, è la condizione di sordomutismo del genitore (e le conseguenti difficoltà di quest’ultimo ad attivarsi per trovare risorse economiche sufficienti al proprio sostentamento e a quello della figlia minore) ad assumere rilievo decisivo nel qualificare come persistente, oggettiva ed incolpevole l’indisponibilità di introiti dell’obbligato.

 

In ultima analisi, le due decisioni dei giudici di legittimità si segnalano perché, pur non mettendo in discussione le regole di giudizio seguite dalla giurisprudenza dominate, sembrano però mostrare una (inconsueta) sensibilità per le concrete difficoltà economiche che può incontrare un genitore nell’adempiere i propri obblighi di sostentamento.

 

D’altro canto, la tendenza giurisprudenziale a non tener conto adeguatamente delle condizioni di effettivo disagio economico dell’obbligato rischia di compromettere il ruolo di extrema ratio che invece il sistema sembrerebbe conferire al reato di cui all’art. 570, comma 2, n. 2, c.p.

 

La fattispecie in esame, infatti, finirebbe in questi casi per risultare sostanzialmente equiparata al reato di cui all’art. 12 sexies della L. 898/1970, che -  ipso facto e a prescindere dai requisiti dello stato di bisogno del soggetto passivo e della capacità economica dell’obbligato- punisce il mancato pagamento dell’assegno divorzile, nonché la violazione degli obblighi di natura economica previsti in favore dei figli dalla legge 8 febbraio 2006 n.5 in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli (cfr. Ferro Cenderelli, La Violazione, cit., 185 ss.).

 

Ad ogni modo, il comprensibile obbiettivo di scoraggiare forme di de-responsabilizzazione genitoriale (in relazione al fenomeno della c.d. “deparenting”, cfr. Antonini, La violazione degli obblighi di assistenza familiare nei mutati scenari della famiglia, in Dir. Pen. Proc., 2009, 901 ss.), a nostro avviso non deve indurre la giurisprudenza a trascurare la necessita di distinguere attentamente due ipotesi molto diverse tra loro in sede di accertamento delle condizioni economiche dell’obbligato. Da un lato, i casi (del resto piuttosto frequenti in situazioni psicologiche segnate dal profondo rancore per la fine di un rapporto coniugale) in cui l’incapacità economica sia strumentalmente invocata per sottrarsi ai propri obblighi familiari di sostentamento. Dall’altro, le ipotesi in cui il genitore si trovi realmente nelle condizioni di non poter adempiere i propri obblighi di sostentamento, e non abbia (per ragionevoli motivi) le capacità o le forze per riuscire a garantire ai figli adeguate risorse economiche. Sotto questo profilo, le due decisioni della Cassazione appena passate in rassegna potrebbero aver inaugurato un nuovo corso: e se così fosse, non potremmo che condividerlo.

 


N.B. : Nel file in allegato il lettore potrà scaricare entrambe le sentenze qui commentate.