ISSN 2039-1676


22 settembre 2011 |

In seguito al rinvio pregiudiziale di un giudice italiano, la Corte di giustizia UE precisa i limiti dell'immunità del parlamentare europeo per le opinioni espresse nell'esercizio delle proprie funzioni

Nota a Corte di giustizia dell'Unione europea, Grande Sezione, Patriciello, sent. 6 settembre 2011 (causa C-163/10)

Con sentenza in data 6 settembre 2011 la Corte di giustizia si è pronuciata sull’interpretazione dell’art. 8 del Protocollo sui privilegi e sull’immunità dell’Unione europea – allegato ai trattati UE, FUE e CEEA –, il quale stabilisce che i membri del Parlamento europeo non possono essere ricercati, detenuti o perseguiti a motivo delle opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni.

 

In particolare, la Corte è stata chiamata in via pregiudiziale a chiarire in quali frangenti l’opinione espressa dal parlamentare europeo possa rientrare nell’ambito dell’esercizio tipico delle proprie funzioni.

 

La domanda pregiudiziale era stata sollevata dal Tribunale di Isernia nell’ambito di un procedimento penale contro un parlamentare europeo imputato del reato di calunnia per aver accusato un agente della polizia municipale di aver falsificato gli orari riportati in alcuni verbali relativi ad infrazioni al codice della strada.

 

Il giudice penale italiano, anche in ragione delle difese avanzate dall’imputato, domandava alla Corte se il comportamento del parlamentare potesse integrare un’opinione espressa nell’ambito delle proprie funzioni, ai sensi dell’art. 8 del Protocollo.

Nel corso della causa principale, inoltre, il Parlamento europeo, con apposita decisione emessa su sollecitazione dell’imputato, aveva ritenuto che sussistessero fondati motivi per raccomandare la difesa dell’immunità del proprio membro.

 

La Corte chiarisce anzitutto quali siano i criteri per stabilire se una dichiarazione effettuata al di fuori della sede del Parlamento europeo costituisca un’opinione espressa dal deputato nell’ambito delle sue funzioni.

 

Ad avviso della Corte, la previsione dell’immunità di cui all’art. 8 del Protocollo è funzionale alla garanzia della libertà di espressione e dell’indipendenza dei membri del parlamento europeo. Tale garanzia può estendersi anche alle opinioni comunque espresse al di fuori delle aule parlamentari; è necessario, tuttavia, che sussista un nesso tra l’opinione formulata e le funzioni esercitate dal parlamentare. Dal momento, poi, che l’immunità garantita ai parlamentari europei è idonea non solo a paralizzare le pretese punitive avanzate dai competenti organi degli Stati membri, ma anche a privare i soggetti lesi dalle dichiarazioni del diritto ad ottenere un risarcimento per i danni patiti, la Corte ritiene che il nesso tra opinione e funzione esercitata debba essere diretto, e anzi imporsi con evidenza.

 

Dopo avere incidentalmente sottolineato come, nel caso di specie, appaia difficilmente ipotizzabile un nesso evidente con le funzioni esercitate dal parlamentare, la Corte sottolinea comunque che la valutazione circa la riconducibilità dell’opinione espressa all’immunità di cui all’art. 8 del Protocollo spetta esclusivamente al giudice nazionale, il quale non deve ritenersi vincolato – nemmeno alla luce del principio del principio di leale cooperazione tra istituzioni dell’Unione e Stati membri – alla decisione del parlamento di difesa dell’immunità di un proprio membro.

 

La Corte conclude, dunque, nel senso che “l’art. 8 del Protocollo deve essere interpretato nel senso che una dichiarazione effettuata da un deputato europeo al di fuori del Parlamento europeo, la quale abbia dato luogo ad azioni penali nello Stato membro di origine dell’interessato per il reato di calunnia, costituisce un’opinione espressa nell’esercizio delle funzioni parlamentari beneficiante dell’immunità prevista dalla citata disposizione soltanto nel caso in cui essa corrisponda ad una valutazione soggettiva presentante un nesso diretto ed evidente con l’esercizio di funzioni siffatte. Spetta al giudice del rinvio stabilire se tali presupposti risultino soddisfatti nella causa principale”.

 

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