ISSN 2039-1676


15 giugno 2015

Per la Corte costituzionale è legittimo che il ricorso per cassazione contro la confisca di prevenzione sia ammissibile solo per violazione di legge

Corte cost., sent. 15 aprile 2015 (dep. 9 giugno 2015), n. 106, Pres. Criscuolo, Rel. Lattanzi

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1. Diamo notizia della soluzione adottata dalla Corte costituzionale  per una questione piuttosto dibattuta: se sia conforme a Costituzione la previsione che, nel caso di ricorso per cassazione contro il provvedimento che applica la misura della confisca in esito al procedimento di prevenzione, possa essere dedotto il solo vizio della violazione di legge, e non anche quelli ulteriori che vengono elencati all'art. 606 cod. proc. pen., tra i quali, soprattutto, il cd. vizio di motivazione.

La Corte ha escluso la prospettata illegittimità, dichiarando infondate le questioni sollevate, nella specie, dalla Corte di cassazione.

 

2. Il quesito concerneva, in particolare, il «combinato disposto» dell'art. 4, comma 11, della legge n. 1423  del 1956 (applicabile ratione temporis alla procedura posta ad oggetto del giudizio a quo) e dell'art. 3-ter, comma 2, della legge n. 575 del 1965  (norme ora riprese, rispettivamente, dagli artt. 10, comma 3, e 27, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011), «nella parte in cui limitano alla sola violazione di legge la proponibilità del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti di confisca adottati nell'ambito dei procedimenti di prevenzione».

Secondo il giudice rimettente, la disciplina contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione, in quanto la limitazione imposta non sarebbe razionalmente giustificabile una volta considerato che, invece, nel caso della confisca prevista dall'art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, il ricorso per cassazione può essere proposto anche per vizio di motivazione: i due provvedimenti subirebbero un trattamento differenziale sebbene presuppongano - secondo la Cassazione -  l'accertamento delle medesime condizioni di fatto, e producano le medesime conseguenze negative sul patrimonio dei soggetti destinatari.

Vi sarebbe anche violazione dell'art. 24 Cost.,  perché «proprio con riguardo alla confisca di prevenzione, siccome basata su un presupposto oggettivamente più debole di quello rappresentato da una condanna penale», richiesto dalla confisca di cui all'art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, «il diritto di difesa, a parità di conseguenze pregiudizievoli, derivanti dall'applicazione dell'una o dell'altra delle misure in questione dovrebbe essere maggiormente garantito».

 

3. La Corte costituzionale ha disconosciuto il fondamento delle censure.

È vero, come ricorda la rimettente, che gli spazi di critica consentiti dalla lettera e) del comma 1 dell'art. 606 cod. proc. pen. sono ben più ampi di quelli connessi alla violazione di legge, che sussiste solo nel caso di provvedimenti privi di motivazione o dalla motivazione apparente (mentre il "vizio di motivazione"  si estende ai casi di contraddittorietà o di manifesta illogicità dell'apparato argomentativo della decisione). Ma la Consulta aveva già escluso l'illegittimità delle limitazioni previste per il procedimento di prevenzione, affrontando il tema con riferimento alle misure personali (sentenza n. 321 del 2004), e negando fondamento all'assimilazione che già in allora veniva proposta con riguardo alle misure di sicurezza di carattere patrimoniale.

Ricorda la Corte che, mentre nel procedimento di prevenzione è previsto il «ricorso alla Corte d'appello, anche per il merito» (art. 4, comma 10, della legge n. 1423 del 1956), in quello di esecuzione (ove può applicarsi la misura di sicurezza ex art. 12-sexies)  è previsto solo il ricorso per cassazione. In materia di prevenzione v'è dunque una doppia possibilità di impugnazione, che ben può giustificare la parziale restrizione dei motivi ammissibili con la seconda.

Quanto alla prospettata analogia tra i provvedimenti posti in comparazione, la Consulta ha nuovamente evocato «le profonde differenze, di procedimento e di sostanza, tra le due sedi, penale e di prevenzione: la prima ricollegata a un determinato fatto-reato oggetto di verifica nel processo, a seguito dell'esercizio dell'azione penale; la seconda riferita a una complessiva notazione di pericolosità, espressa mediante condotte che non necessariamente costituiscono reato» (in tal senso già l'ordinanza n. 275 del 1996). Correlativamente, sono state riprese le osservazioni della stessa giurisprudenza di legittimità sul diverso finalismo dell'ablazione patrimoniale nella prospettiva della prevenzione ed in quella della misura di sicurezza, conseguente ad un reato e specificamente mirata ad impedire la commissione di nuovi reati.

Del resto - nota la Consulta - una volta considerata legittima la limitazione dei motivi di ricorso con riguardo alle misure personali non avrebbe avuto senso una diversa soluzione per le misure patrimoniali, che si fondano sul medesimo giudizio di pericolosità e spesso (anche se, ormai, non necessariamente) sono disposte contestualmente. (G.L.)