ISSN 2039-1676


16 giugno 2015

Illegittime le norme del c.p.p. che non consentono che l'incidente di esecuzione per l'applicazione della confisca si svolga nelle forme dell'udienza pubblica

Corte cost., sent. 15 aprile 2015 (dep. 15 giugno 2015), n. 109, Pres. Criscuolo, Rel. Frigo

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1. Dichiarati illegittimi dalla Consulta gli articoli 666, comma 3, 667, comma 4, e 676 cod. proc. pen., nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di opposizione contro l'ordinanza in materia di applicazione della confisca si svolga, davanti al giudice dell'esecuzione, nelle forme dell'udienza pubblica.

Rinviando ad un prossimo contributo un'analisi più approfondita della sentenza - che si pone in linea di continuità rispetto alla recentissima sent. n. 97/2015, decisa non a caso nella stessa camera di consiglio, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme del c.p.p. in materia di procedimento di sorveglianza nella parte in cui tali norme ancora una volta escludevano che il procedimento potesse svolgersi con le forme dell'udienza pubblica, su istanza degli interessati - ci limitiamo in questa sede a ricapitolare i passaggi essenziali della pronuncia.

 

2. La questione era stata sollevata dalla Corte di cassazione in relazione alle disposizioni ora dichiarate parzialmente illegittime, per contrasto con gli articoli 111, primo comma, e 117, primo comma, Cost. in riferimento all'art. 6 § 1 CEDU, "nella parte in cui [tali norme] non consentono che la parte possa richiedere al giudice dell'esecuzione lo svolgimento dell'udienza in forma pubblica".

Nonostante l'ampia formulazione del petitum, la Consulta ha peraltro ritenuto che la questione avesse in realtà ad oggetto soltanto  la "procedura di incidente di esecuzione per l'applicazione della confisca": e ciò, osserva la Corte, "in assonanza sia con l'oggetto del procedimento a quo che con le deduzioni poste a sostegno delle censure, calibrate anch'esse sull'ipotesi dell'applicazione della confisca in executivis".

 

3. Così delimitata la questione, la Corte la ritiene come anticipato fondata.

Richiamate le proprie precedenti sentenze n. 93/2919, 135/2014 e 97/2015 con le quali era stata dichiarata l'illegittimità delle norme in materia, rispettivamente, di procedimento di prevenzione, di procedimento per l'applicazione di misure di sicurezza e - da ultimo - di procedimento avanti il tribunale di sorveglianza nella parte in cui tali norme non consentivano, limitatamente ai gradi di merito e su istanza degli interessati, che i procedimenti in parola si svolgessero con le forme dell'udienza pubblica, la Corte ritiene che gli argomenti posti alla base di tali pronunce debbano valere anche in relazione alle disposizioni ora scrutinate.

Nella specie, non sussistono infatti ragioni che possano giustificare - nella duplice ottica del parametro convenzionale interposto così come interpretato dalla Corte EDU e della giurisprudenza della stessa Consulta - una deroga al principio generale della pubblicità delle udienze, principio che è componente essenziale della garanzia dell'equo processo ai sensi dell'art. 6 CEDU e dello stesso art. 111 Cost.

Anzi, la posta in gioco in un procedimento funzionale all'applicazione di una misura ablativa che incide sul diritto di proprietà, tutelato dall'art. 1 Prot. 1 CEDU, può essere in concreto assai elevata (come accadeva certamente nel caso concreto all'esame de giudice a quo, nel quale si discuteva niente meno che della confisca, disposta in sede esecutiva, di una statua attribuita allo scultore greco Lisippo, rinvenuta in mare).

Né si tratta in simili ipotesi di contenzioso a carattere esclusivamente o prevalentemente 'tecnico', tale da giustificare una deroga al principio generale della pubblicità delle udienze, posto che una decisione sulla confisca di un bene postula normalmente "accertamenti di natura anche e prima di tutto fattuale, attinenti, da un lato, al collegamento tra il bene oggetto della misura ed un fatto di reato, e, dall'altro, nel caso di confisca di un bene di proprietà o in possesso di terzi, alle condizioni che consentono di adottare la misura nei suoi confronti".

E ciò specialmente ove si consideri che, in tale ultima ipotesi, il provvedimento ablativo "può colpire un soggetto rimasto estraneo al giudizio di cognizione e che non ha avuto, quindi, neppure la possibilità di fruire della garanzia della pubblicità delle udienze nell'ambito di detto giudizio". (F.V.)