ISSN 2039-1676


21 aprile 2017 |

Sulla non configurabilità del reato di manipolazione del mercato nella fase di Initial Public Offering (IPO): la Cassazione e il caso SEA

Nota a Cass. Sez. V, sent. 13 settembre 2016 (dep. 25 gennaio 2017), n. 3836, Pres. Palla, Est. De Bernardinis, ric. Gamberale

Contributo pubblicato nel Fascicolo 4/2017

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1. Con la sentenza che può leggersi in allegato, la Corte di Cassazione affronta il peculiare problema della configurabilità del reato di manipolazione del mercato ex art. 185 d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria: d’ora in avanti TUF) nella procedura di IPO (acronimo di Initial Public Offering), ossia nel corso di quella particolare tipologia di offerta pubblica di vendita o di sottoscrizione finalizzata – tramite una sorta di sollecitazione all’investimento – alla diffusione dei titoli di una società tra il pubblico, necessaria per la  quotazione degli stessi sul mercato regolamentato[1]. Dal momento che nell’ambito di tale procedura la determinazione del prezzo di collocamento delle azioni avviene in maniera progressiva – essendo il risultato di diverse fasi[2], – la sentenza in esame ha avuto modo di valutare quali condotte siano in concreto qualificabili, in questa particolare procedura, come manipolative del prezzo dello strumento finanziario ex art. 185 TUF.  

In particolare, nel caso sottoposto all’esame della Suprema Corte, ad essere chiamati a rispondere del reato di manipolazione del mercato sono l’amministratore delegato di un fondo di investimenti (F2I) e due amministratori di SEA S.p.a. (impresa di esercizi aeroportuali con partecipazione del Comune e della Provincia di Milano, oltre che del Fondo F2I), società che, all’epoca dei fatti, aveva fatto richiesta di ammissione al mercato regolamentato.

I fatti risalgono al 2015: SEA S.p.a., intenzionata a quotarsi sul mercato azionario, avvia la preliminare procedura di IPO al fine di favorire – attraverso una sollecitazione all’investimento – la quotazione dei propri titoli sul mercato.  Nell’intraprendere tale procedura, tuttavia, la società si imbatte in alcune condotte ostili di due suoi stessi consiglieri e dell’amministratore delegato di un fondo di investimento ad essa collegato. In particolare, la fase iniziale dell’IPO  (il cosiddetto premarketing[3]), durante la quale solitamente gli operatori autorizzati immettono, modificano o cancellano le loro proposte di negoziazione, si era conclusa con la fissazione di un range di prezzo per le azioni della società; nella fase successiva e, dunque, nel corso del cosiddetto road show istituzionale – ossia il momento degli incontri tra gli investitori e il management della società che intende offrire i propri titoli –, i tre imputati, allarmati dalla prospettiva di perdere o quantomeno vedere ridotta in seguito alla quotazione di SEA la posizione dominante del Fondo F2I, con conseguente svalutazione del proprio investimento, trasmettono alla Consob e poi divulgano agli organi di stampa una comunicazione in cui vengono messe in evidenza una serie di presunte omissioni all’interno del prospetto informativo in merito a fattori di rischio della società quotanda. Ai tre, indagati per il reato di manipolazione del mercato così come previsto dall’art. 185 TUF, viene così contestato di avere diffuso notizie false e compiuto artifici idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di collocamento delle azioni della società partecipata, così condizionando le scelte degli investitori e pregiudicando il buon esito dell’IPO.

Il GUP di Milano, tuttavia, non accogliendo la richiesta di rinvio a giudizio del PM, pronucia sentenza di non luogo a procedere, basando la propria decisione sul rilievo che le condotte ascritte agli imputati non avrebbero in concreto inciso sulla corretta determinazione del prezzo delle azionibene giuridico tutelato dall’art. 185 TUF – poiché intervenute in una fase ad essa estranea, a nulla rilevando il conseguente fallimento dell’IPO dovuto al ritiro degli ordini da parte degli investitori. Contro questa decisione propone ricorso in Cassazione il PM, lamentando la manifesta illogicità della motivazione del GUP (il quale aveva escluso che le condotte tenute dagli imputati avessero influito sulla determinazione del prezzo), l’erronea applicazione della legge penale (ritenendo doversi ravvisare, per contro, i presupposti dell’art. 185 TUF) e, infine, l’inosservanza della legge processuale con riferimento all’art. 424 c.p.p. (dal momento che il giudice, non ravvisando una violazione dell’art. 185 TUF, avrebbe dovuto valutare se il fatto fosse invece suscettibile di integrare il reato di aggiotaggio ex art. 2637 c.c.). La Cassazione, tuttavia, conferma la decisione del GUP e rigetta perciò il ricorso.

 

2. Ebbene, l’esame dei motivi di ricorso e delle successive argomentazioni dei giudici di legittimità offre un’occasione per riflettere, una volta di più, su temi centrali in materia di tutela penale del mercato. I punti toccati nel ricorso per Cassazione sono essenzialmente due: a) la corretta individuazione delle condotte che possono integrare il reato di cui all’art. 185 TUF e il momento della loro attuazione; b) i rapporti tra il reato di manipolazione di mercato e l’aggiotaggio, così come disciplinato dall’art. 2637 c.c.

2.1. Quanto al primo profilo – la corretta individuazione delle condotte che possono integrare il reato di cui all’art. 185 TUF e il momento della loro attuazione – va ricordato anzitutto che la disposizione in esame punisce con la reclusione da uno a sei anni, e con la multa da euro ventimila a euro cinque milioni, chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari. Per poter inquadrare e meglio comprendere la soluzione che, nel caso qui in esame, la Cassazione ha adottato in relazione alla peculiare questione della configurabilità del reato di manipolazione del mercato in rapporto alla fase dell’IPO, è opportuno premettere, seppur brevemente, tre diverse considerazioni relative all’interpretazione corrente della norma incriminatrice della manipolazione di mercato.

La prima riguarda il bene giuridico tutelato, individuato nella corretta formazione del prezzo degli strumenti finanziari e, più in generale, nel corretto ed efficiente andamento del mercato. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il fine perseguito dall’incriminazione è di garantire che il prezzo del titolo, nelle relative transazioni, rifletta il suo valore reale e non sia invece influenzato da atti o fatti artificiosi[4], in grado di minarne la genuinità e, contemporaneamente, di ridurre l’affidamento degli investitori[5]. La disciplina italiana in materia di abusi di mercato è stata d’altra parte fortemente influenzata dal diritto europeo: in particolare, e da ultimo, dalla direttiva 2003/6/CE sugli abusi di mercato[6], che individua il bene giuridico tutelato nella garanzia della trasparenza del mercato finanziario, ossia nella garanzia di quelle regole del gioco il cui rispetto consente a tutti gli operatori del mercato di agire e negoziare in condizioni di parità.

La seconda considerazione attiene alla duplicità delle condotte tipiche represse: da un lato la diffusione di notizie false (cd. manipolazione informativa), che ricomprende ogni comunicazione in grado di influire sul prezzo degli strumenti finanziari in gioco, fatta con qualsiasi mezzo e indirizzata a uno o più destinatari; dall’altro, il più generico porre in essere operazioni simulate o “altri artifizi” (la cd. manipolazione operativa): una previsione connotata da margini più ampi, in grado di ricomprendere condotte – anche astrattamente lecite – che, quando sorrette da intenti ingannatori e fraudolenti, in determinate condizioni spazio-temporali risultano idonee a influire sulla determinazione del prezzo[7].

La terza e fondamentale considerazione, infine, riguarda la natura della fattispecie quale reato di mera condotta, per la cui integrazione non è necessario il verificarsi dell’evento di alterazione del prezzo degli strumenti finanziari. Le difficoltà insite in un accertamento ex post dell’alterazione del prezzo hanno fatto preferire al legislatore un’anticipazione della tutela penale, configurando un reato di pericolo. Tale approccio preventivo, che ha di fatto ampliato la sfera del penalmente rilevante in materia, trova, tuttavia, un limite nella qualificazione della fattispecie quale reato di pericolo concreto – confermata dalla sentenza in commento – che impone un esame del giudice in merito alla concreta idoneità delle condotte a produrre una sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario[8].

Orbene, tornando al peculiare caso in esame, il GUP di Milano, con una sentenza confermata dalla Cassazione, dopo avere individuato nella corretta formazione del prezzo il bene giuridico tutelato, ha affermato che nel caso di specie tale interesse non può dirsi leso poiché, essendo fallito l’IPO a causa del ritiro degli ordini da parte degli acquirenti, non si è mai arrivati alla fase di fissazione del prezzo (che in quel momento era unicamente stato inquadrato nella fase di premarketing in un range vincolante solo nel massimo). Non può dunque ravvisarsi una condotta degli indagati – né operativa, né informativa – volta all’alterazione di quest’ultimo. Per contro, secondo il PM ricorrente, un simile ragionamento avrebbe astrattamente come esito inaccettabile quello di sanzionare condotte manipolative meno efficaci (in quanto volte all’alterazione del prezzo nella fase di premarketing), mandando invece esenti da pena situazioni ben più gravi – come quella in esame –  in cui la condotta, pur non indirizzata direttamente all’alterazione del prezzo dello strumento, è stata però in grado di far fallire l’intera operazione. Gli acquirenti, infatti, avevano potuto revocare la propria sottoscrizione – determinando l’esito infausto dell’IPO –  sfruttando il secondo comma dell’articolo 95bis TUF, il quale prevede tale possibilità unicamente in conseguenza della pubblicazione di un nuovo prospetto, eventualità che in questo caso si era verificata in seguito alle comunicazioni fatte alla Consob dagli indagati che avevano comportato per la società l’onere di redigere un supplemento al prospetto informativo.  

I giudici di Cassazione ribattano però che, mirando l’art. 185 TUF a tutelare la genuinità del prezzo del titolo nelle transazioni, nel caso concreto la decisione del GUP deve essere condivisa poiché la condotta degli imputati – valutata alla luce dei criteri che derivano dalla natura di pericolo concreto del reato in questione – non avrebbe potuto concretamente influire sulla determinazione del prezzo delle azioni. Infatti, da un lato, una prima determinazione di una forchetta di valore era già avvenuta (qualche giorno prima della comunicazione inviata alla Consob) senza alcuna fraudolenta influenza degli imputati, dall’altro lato, invece, la formazione definitiva del prezzo all’interno del range previsto sarebbe avvenuta in una fase successiva, non raggiunta però a causa del ritiro degli ordini degli investitori.

Ancora, il PM ricorrente, per rafforzare la propria critica all’esclusione dell’applicabilità alle condotte degli indagati dell’art. 185 TUF, aveva richiamato gli articoli 180 e 182 TUF, che – rispettivamente rubricati “Definizioni” e “Ambito di applicazione” – chiariscono l’esatto significato e l’ambito applicativo delle disposizioni successive. Ex art. 180 sono interessati dalle disposizioni del Titolo I-bis del TUF (Abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato) gli strumenti finanziari, specificamente elencati all’articolo 1 comma 2 TUF, ammessi alla negoziazione o per i quali sia stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea, nonché qualsiasi altro strumento ammesso o per il quale sia stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato di un Paese dell'Unione europea. L’art. 182, invece, al comma 2, specifica che: “Le disposizioni degli articoli 184, 185, 187bis e 187ter si applicano ai fatti concernenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altri Paesi dell'Unione europea”. Ciò premesso, sottolineava il PM che la società, all’epoca dei fatti, non solo aveva presentato una richiesta di ammissione alla negoziazione, ma vi era anche già stata ammessa con un provvedimento di Borsa Italiana. Stando così i fatti, dunque, le condotte degli imputati avrebbero riguardato uno strumento finanziario perfettamente rispondente alle definizioni date dallo stesso TUF con riguardo all’ambito applicativo delle sanzioni, penali e amministrative.

Tali obiezioni non sono però state accolte dai Giudici di legittimità, i quali si sono invero limitati – condividendo le conclusioni e i ragionamenti del GUP – a ribadire che le condotte poste in essere, per quanto astrattamente riconducibili a una fattispecie manipolativa, non avevano in concreto influito sulla determinazione del prezzo, essendo intervenute in un momento successivo all’unica fase di determinazione del range di prezzo delle azioni, non essendo del resto mai stata raggiunta in seguito al fallimento dell’IPO la successiva fase di fissazione definitiva del valore. Per la Suprema Corte, infatti, le condotte sono correttamente ritenute estranee alla fattispecie di cui all’art. 185 TUF non tanto perché intervenute su di uno strumento non rispondente alla previsione normativa (ossia non quotato oppure privo di una richiesta di ammissione alla negoziazioni), ma piuttosto perché la condotta – che, lo si ricorda, è consistita nella trasmissione alla Consob, all’indomani della fissazione della forchetta di prezzo delle azioni, di una comunicazione contenente notizie false in merito a presunte lacune del prospetto informativo – era stata tenuta in un momento diverso da quello della fissazione del prezzo e quindi non poteva dirsi idonea a influenzare quest’ultimo, così da offendere il bene giuridico tutelato dalla disposizione.

2.2. Quanto poi ai rapporti tra il reato di manipolazione di mercato e l’aggiotaggio, così come disciplinato dall’art. 2637 c.c. –  si è detto che i motivi di ricorso del PM hanno toccato il tema del rapporto intercorrente tra l’art. 185 TUF e il reato di aggiotaggio, da tempo presente nel nostro ordinamento e oggi previsto all’art. 2637 del Codice civile[9], il quale reprime le condotte di chi diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo esclusivamente, però, di strumenti finanziari non quotati o per i quali non sia stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato[10].

L’art. 2637 è stato richiamato dal PM poiché, a suo dire, vi era stata un’erronea applicazione dell’art. 424 c.p.p. Tale disposizione, infatti, secondo una recente lettura della Cassazione, determina l’annullabilità con rinvio della sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal GUP “qualora i medesimi fatti siano diversamente qualificabili in altra ipotesi di reato per la quale sussistono i presupposti per il rinvio a giudizio, dal momento che il giudice, nell'assumere i provvedimenti conclusivi di cui all'art. 424 cod. proc. pen., può conferire al fatto contestato una diversa qualificazione giuridica[11]. Nel caso in esame, infatti, secondo la prospettazione del PM, il GUP, non ravvisando gli estremi per la configurabilità dell’art. 185 TUF, non aveva al contempo valutato l’eventuale configurabilità dell’art. 2637 c.c., specificamente rivolto a strumenti non quotati o per i quali non sia ancora stata fatta una richiesta di ammissione alla negoziazione nel mercato quotato. I giudici di legittimità, tuttavia, anche su questo ultimo punto, hanno rigettato il motivo di ricorso del PM, affermando, in primo luogo, che la condotta contestata agli imputati risultava posta in essere in epoca successiva a quella della determinazione della quotazione dei titoli oggetto di offerta (e quindi non più sussumibile nella fattispecie di aggiotaggio) e, in secondo luogo, che una condotta di aggiotaggio non poteva essere ravvisata nel caso concreto, in quanto non oggettivamente artificiosa[12].

***

3. Concludendo, lo snodo centrale di questa sentenza riguarda la condotta o, meglio, la sua (in)idoneità a offendere il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. Tale aspetto ha in effetti impegnato l’intero ragionamento dei giudici, che, per una volta, non erano chiamati ad affrontare il dibattuto e delicato tema del rapporto tra l’illecito penale di manipolazione del mercato e l’omonima fattispecie amministrativa[13].  Liberata – per così dire – da tale incombenza, la Suprema Corte si è concentrata sulla corretta qualificazione delle condotte tenute dagli imputati, ancorando strettamente il proprio ragionamento al dato letterale della disposizione, che, come si è visto, richiede che le condotte concretamente pericolose siano indirizzate alla sensibile alterazione del prezzo, a nulla rilevando eventuali conseguenze ulteriori, magari altrettanto gravi o addirittura più gravi di quelle prese in considerazione dalla legge. È questa la logica secondo la quale i giudici di legittimità hanno confermato la qualificazione operata dal GUP di Milano, che aveva escluso il reato di manipolazione del mercato in quanto la condotta – nel concreto, rivelatasi concausa del fallimento dell’intera operazione – era intervenuta in momento diverso da quello della fissazione del prezzo: come tale, risultava inidonea a offendere l’interesse tutelato.

Una decisione coraggiosa, o forse, più semplicemente, rispettosa dei diversi ruoli attribuiti al giudice e al legislatore, spettando sempre e solo a quest’ultimo il compito di scegliere le condotte da reprimere e gli interessi da tutelare.

 

[1]Consistendo in un’operazione rivolta al pubblico indistinto degli investitori, l’IPO obbligala società emittente al rispetto  della disciplina del Testo Unico della Finanza (D.lgs. 58/1998), volta garantire un'informazione trasparente ai destinatari dell'offerta. Una IPO può essere presentata in tre modi: con un’Offerta Pubblica di Sottoscrizione (emissione di nuove azioni offerte in sottoscrizione), con un’Offerta Pubblica di Vendita (vendita di azioni già in possesso dei precedenti azionisti) oppure, infine, con una modalità ibrida detta Offerta Pubblica di Vendita e Sottoscrizione. Per ulteriori approfondimenti v. www.borsaitaliana.it.

[2] Le fasi di formazione di prezzo dell’IPO (secondo il più diffuso metodo del book building) sono le seguenti: 1) la società sceglie di procedere con l’offerta; 2) viene richiesto e rilasciato il nulla osta da parte dell’autorità di controllo della borsa (Consob) con riguardo al prospetto informativo (nel quale sono elencati i dettagli dell’offerta, i dati contabili e le prospettive della società) e all’ammissione alla quotazione; 3) viene individuato l’intermediario che si occuperà del collocamento promuovendo la quotazione e certificando i requisiti di Borsa; 4) viene definito il numero delle azioni da offrire e una relativa forchetta di prezzo; 5) determinata tale forchetta (o range) di prezzo dell’offerta, si procede con la individuazione del prezzo finale in base alla quantità di domande di sottoscrizione ricevute. La determinazione del prezzo finale delle azioni, quindi, avviene al termine dell’operazione di collocamento e segna l’ultimo passo prima dell’ingresso sul mercato.

[3] Cfr. http://www.borsaitaliana.it.

[4] Cass. Sez. I, 6 maggio 2015, n. 45347, Bonsignore e altri, CED 265397

[5] In questo senso, in dottrina, Preziosi S., La manipolazione del mercato nella cornice dell’ordinamento comunitario e del diritto penale italiano, Bari, 2008, pp. 202 ss

[6] La cui attuazione in Italia è avvenuta con la legge 18 aprile 2005 n. 62 che ha introdotto il cosiddetto sistema del doppio binario, ossia una disciplina che affianca nel TUF, nel sancire il divieto di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato finanziario, sanzioni penali (artt. 184 e 185) e sanzioni amministrative (artt. 187bis e 187ter).

[7] Situazioni di manipolazione di mercato possono essere ravvisate, ad esempio, in operazioni dette di marking the close (ossia operazioni realizzate nella fase di chiusura della borsa), in compravendite apparenti di strumenti che in realtà non modificano la proprietà o la distribuzione del rischio (wash trades), in abusi di posizione dominante al fine di distorcere il prezzo per gli altri operatori e così via. Una elencazione comprendente molteplici ipotesi di manipolazioni del mercato è stata predisposta dal CESR (Committee of European Securities Regulators) nel documento Cesr/04-505b, consultabile al sito www.cesr-eu.org. In dottrina, v. per tutti Sgubbi F., in Sgubbi F. - Fondaroli D. - Tripodi A. F., Diritto penale del mercato finanziario. Abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, ostacolo alle funzioni di vigilanza della Consob, falso in prospetto. Lezioni, 2ª ed., CEDAM, 2013, pp. 82 ss.

[8] In dottrina cfr. ad es. Preziosi S., La manipolazione del mercato, cit., pp. 71 ss.

[9] Inizialmente, con la riforma del diritto penale societario del 2002 (d.lgs. 61/2002), nell’art. 2637 erano state accorpate tutte le figure di aggiotaggio ad allora esistenti, rendendo così applicabile questa disposizione a ogni condotta speculativa volta illecitamente alla manipolazione del valore di strumenti finanziarti quotati o non quotati. La situazione, tuttavia, si è modificata con la sopracitata direttiva europea del 2003 che ha riorganizzato la disciplina dandole l’aspetto attuale.

[10] Infine, continua a sussistere all’interno del codice penale l’art. 501 che punisce il rialzo e il ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio. L’applicabilità, tuttavia, di questa norma fattispecie residuali ha suscitato non pochi problemi e dubbi spingendo così, già in passato, verso una lettura di abrogazione implicita di tale disposizione o, in ogni caso, di prevalenze degli artt. 185 TUF e 2637 c.c.

[11] Cass. Sez. 6, 7 maggio 2015, n. 36676, Serino e altro, CED 264579

[12] Così Cass. Sez. V, 29 gennaio 2013, n. 4324, Dall’Aglio e altro, CED 254324

[13] Su questo aspetto, approfonditamente, fra molti, v. Fusco E., La tutela del mercato finanziario tra normativa comunitaria, ne bis in idem e legislazione interna. Nota a Trib. di Milano, Sez. I Penale, ord. 6 dicembre 2016, in questa Rivista; Paliero C. E., “Market Abuse” e legislazione penale: un connubio tormentato, in Corr. mer., 2006, pp. 811ss.; Lunghini G., La manipolazione del mercato, in Dir. pen. proc., 2005, p. 1479 ss.