ISSN 2039-1676


29 maggio 2018 |

Alle Sezioni Unite la questione del tempus commissi delicti nei reati ad evento “differito”

Cass., Sez. IV, ord. 5 aprile 2018, n. 21286, Pres. Fumu, Est. Pavich, ric. Pittala

Contributo pubblicato nel Fascicolo 5/2018

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1. Il prossimo 19 luglio le SS.UU. sono chiamate a decidere la seguente questione in materia di successione di leggi penali nel tempo: «se, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, debba trovare applicazione il trattamento sanzionatorio vigente al momento della condotta, ovvero quello vigente al momento dell’evento». Mettiamo a disposizione dei nostri lettori il testo dell’ordinanza di rimessione, di cui forniamo nel prosieguo una sintetica illustrazione, riservandoci di formulare alcune brevi considerazioni finali.

 

2. I fatti alla base del procedimento da cui scaturisce l’ordinanza di rimessione sono molto semplici: nel gennaio 2016 un automobilista travolgeva un passante in prossimità di un attraversamento pedonale, cagionandogli lesioni; nell’agosto 2016, a causa degli sviluppi della traumatologia derivante dall’incidente, la vittima decedeva. Il procedimento penale a carico dell’automobilista si concludeva con l’applicazione della pena su richiesta delle parti per il reato di omicidio stradale ex art. 589-bis, fattispecie nel frattempo entrata in vigore a marzo 2016[1]. Avverso la sentenza di patteggiamento, tuttavia, l’imputato proponeva ricorso in Cassazione, evidenziando come il delitto in questione fosse entrato in vigore in epoca successiva alla condotta contestata, alla quale pertanto avrebbe dovuto essere applicato il più mite trattamento sanzionatorio previsto per il reato di omicidio colposo, ancorché aggravato dalla violazione delle disposizioni sulla circolazione stradale (art. 589, co. 2 c.p.)[2].

 

3. Dopo avere sciolto una questione preliminare relativa all’ammissibilità del ricorso ed allo stesso interesse dell’imputato a proporlo[3], la Corte focalizza l’attenzione sulla questione centrale della vicenda, ossia l’individuazione della legge penale applicabile quando, nei reati causalmente orientati, l’evento tipico si sia verificato dopo l’entrata in vigore di una legge penale che prevede un trattamento sanzionatorio meno favorevole rispetto a quello vigente al momento della condotta.

Sul punto i giudici di legittimità ravvisano l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale.

 

4. In base ad un primo orientamento, che l’ordinanza indica come maggioritario, nell’ipotesi in questione dovrebbe trovare applicazione la legge penale vigente al momento dell’evento lesivo, ancorché meno favorevole rispetto a quella in vigore nel momento in cui la condotta si è esaurita (c.d. criterio dell’evento). Tanto sulla base del principio secondo cui il tempus commissi delicti corrisponde al momento in cui il reato giunge a consumazione, e dunque, nei reati causalmente orientati, coincide con la verificazione dell’evento lesivo. In questo senso si è da ultimo espressa – ricordano i giudici rimettenti – la sentenza Sandrucci (2015) [4], relativa ad un caso di lavoratori esposti ad amianto tra gli anni ’70 e gli anni ’80 del secolo scorso, due dei quali deceduti rispettivamente nel 2007 e nel 2009 per mesotelioma pleurico (patologia come è noto caratterizzata da una lunghissima latenza). In quell’occasione, proprio facendo leva sulla ritenuta coincidenza tra tempus commissi delicti e momento consumativo, la Cassazione aveva giudicato immuni da censure le pronunce di merito che avevano ritenuto applicabili le pene previste per l’omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica così come aumentate dalle riforme del 2006 e del 2008[5].

Ad sostegno di tale conclusione, la stessa sentenza Sandrucci aveva citato – come ricorda l’ordinanza di rimessione in esame – alcuni precedenti di legittimità in materia di ius superveniens sfavorevole: uno relativo alla trasformazione da contravvenzione a delitto del reato previsto dall’art. 9 della legge n. 1423 del 1956[6]; due riguardanti l’introduzione della fattispecie di atti persecutori (art. 612-bis). Al riguardo, peraltro, l’ordinanza di rimessione precisa come soltanto uno di tali richiami risulti effettivamente in linea con il c.d. criterio dell’evento, avendo esso a che fare con molestie e minacce esauritesi prima dell’introduzione della fattispecie di cui all’art. 612-bis c.p., condotte dalle quali erano scaturiti gli eventi tipici (stato d’ansia e timore per l’incolumità propria e altrui), accertati soltanto quando il nuovo delitto di stalking era già in vigore[7]. Viceversa, gli altri precedenti indicati dalla Cassazione erano a ben vedere compatibili anche con il c.d. criterio della condotta, in quanto riguardavano casi in cui le condotte erano state compiute in parte prima ed in parte dopo il ius superveniens sfavorevole.

Tra i precedenti a favore del criterio dell’evento, l’ordinanza di rimessione indica anche la sentenza Calamita (2014)[8], la quale, in un caso di concorso di persone nei reati di importazione e detenzione di armi da guerra[9], aveva ritenuto che la circostanza aggravante del metodo mafioso[10], fosse applicabile a tutti i concorrenti, compreso colui che, pur avendo in effetti inizialmente preso parte alla trattativa illecita (successivamente portata a compimento dagli altri concorrenti), era stato tuttavia arrestato prima che l’aggravante stessa entrasse in vigore.

 

5. In base ad un secondo orientamento, che l’ordinanza di rimessione mostra di condividere, al fine di individuare il tempus commissi delicti nei reati ad evento “differito” occorre avere riguardo alla legge applicabile al momento in cui viene posta in essere la condotta. In questo senso vengono richiamati sia un risalente precedente di legittimità (la sentenza Bartesaghi del 1972[11]); sia la posizione univocamente adottata dalla dottrina, secondo la quale l’adesione al diverso criterio dell’evento si tradurrebbe, in caso di inasprimenti della disciplina sanzionatoria intervenuti dopo l’esaurimento della condotta e prima della verificazione dell’evento, nell’applicazione retroattiva della disciplina sfavorevole intervenuta medio tempore, esponendo l’agente a conseguenze giuridico-penali non conoscibili nel momento in cui si è autodeterminato, cioè appunto nel momento in cui ha posto in essere la condotta. Sul punto l’ordinanza cita adesivamente le osservazioni svolte da chi scrive in sede di commento critico della sentenza Sandrucci [12], nelle quali si evidenziava il carattere «pericolosamente fuorviante» del c.d. criterio dell’evento, il quale, dietro l’apparente linearità logica del riferimento al momento consumativo del reato, contraddice la ratio di fondo del divieto di irretroattività sancito dall’art. 2 c.p., tradendo le garanzie costituzionali e sovranazionali che presidiano il principio di legalità nell’accezione «nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali». Il criterio della condotta – osserva per converso l’ordinanza – da un lato è l’unico compatibile con la funzione general-preventiva della pena (funzione che il legislatore persegue quando introduce un trattamento più severo, ma che è evidentemente sterile rispetto alle condotte già esaurite); dall’altro lato, e più in generale, riflette quell’intima saldatura tra legalità penale e prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie delle proprie azioni che la Corte Costituzionale, sin dalla sentenza n. 364 del 1988, rinviene nel combinato disposto degli artt. 25 co. 2 e 27 co. 1 Cost., e che oggi è avallata anche dalla Corte di Strasburgo nel quadro dell’art. 7 Cedu.

 

6. Sulla scorta di tali rilievi la Cassazione rimette alle Sezioni Unite il quesito sopra riportato, auspicando – «quanto meno in fattispecie del tipo di quella oggetto del presente giudizio», ossia rispetto ai reati colposi causalmente orientati – la riaffermazione del principio secondo cui il tempus commissi delicti deve essere individuato in corrispondenza della realizzazione o comunque dell’esaurimento della condotta.

 

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7. Le argomentazioni sviluppate dall’ordinanza di rimessione riprendono, anche testualmente, le osservazioni critiche che, in sede di commento della sentenza Sandrucci, avevamo rivolto al criterio dell’evento, sulla scorta di insegnamenti da tempo consolidati in dottrina[13] e recepiti nella più autorevole manualistica[14].

In vista dell’intervento del supremo consesso di legittimità, pare utile in questa sede ribadire come la questione in esame, prima ancora di investire il principio di irretroattività sfavorevole (la cui portata garantistica, a ben vedere, non è mai stata direttamente messa in dubbio da nessuna pronuncia), nasca da un equivoco di fondo in merito alla asserita coincidenza tra consumazione del reato e tempus commissi delicti. Un equivoco a sua volta generato dalla convinzione – inespressa ma evidentemente radicata in una parte della giurisprudenza – secondo cui esisterebbe una nozione unitaria di tempo del commesso reato.

È vero invece il contrario: il tempus commissi delicti è un concetto che non può affatto essere definito una volta per tutte (tanto è vero che il codice non contempla una disposizione definitoria a carattere generale), dovendo infatti essere modulato a seconda della funzione che l’istituto al quale va ad applicarsi è chiamato a svolgere[15].

Limitandoci ad alcuni significativi esempi, basti pensare che rispetto alla prescrizione del reato è lo stesso codice a fissare il dies a quo in corrispondenza della consumazione (art. 158 c.p.): una scelta giustificabile alla luce della ratio tradizionale dell’istituto estintivo, da rinvenirsi come è noto nel c.d. “tempo dell’oblio”[16], che ragionevolmente viene calcolato a partire dal momento in cui il disvalore dell’illecito si è compiutamente manifestato (salvo si tratti di tentativo, nel quale caso lo stesso art. 158 c.p. conferisce rilievo, per evidenti ragioni, al momento della condotta). Viceversa, ai fini dell’amnistia, e in particolare della regola secondo cui essa non può trovare applicazione per i reati “commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge” (art. 79 Cost.), sembra ragionevole fissare il tempus commissi delicti in corrispondenza, nuovamente, della condotta, tale conclusione essendo in linea, al contempo, con il principio del favor rei e con la soddisfazione dell’esigenza sottesa alla limitazione temporale in questione (impedire che possano giovarsi del provvedimento di clemenza coloro che, essendo a conoscenza della sua prossima approvazione, ne approfittino per porre in essere l’illecito)[17]. Ancora, rispetto all’applicazione della sospensione condizionale della pena, quando “il reato è stato commesso […] da chi ha compiuto gli anni settanta” (art. 163 co. 2 c.p.), il criterio dell’evento pare quello più adatto a soddisfare l’attenzione all’età avanzata dell’agente che il legislatore ha voluto valorizzare[18]

Ebbene, quando rivolgiamo l’attenzione alla successione di leggi penali, ed in particolare al principio di irretroattività sfavorevole cristallizzato negli artt. 2 co. 1 e co. 4 c.p., ci pare indubitabile che l’unico criterio davvero capace di garantire la prevedibilità della sanzione penale – e con essa tanto la libertà di autodeterminazione[19] quanto la funzione general-preventiva della pena[20] –  sia quello che valorizza il momento in cui il soggetto agisce (o comunque quello in cui la condotta giunge al suo esaurimento), e non quello successivo in cui l’evento si verifica: laddove infatti si abbia a che fare con eventi “lungo-latenti” (come nel caso deciso dalla sentenza Sandrucci) o “differiti” (come nel caso oggetto dell’ordinanza in esame), il criterio dell’evento può portare all’applicazione di pene che diventano prevedibili quando l’agente non è più in grado di intervenire sulla catena causale già inesorabilmente avviata verso il suo risultato lesivo, in frontale contraddizione con le richiamate garanzie costituzionali (art. 25 co. 2 Cost.) e sovranazionali (art. 7 Cedu)[21].

L’imminente intervento delle Sezioni Unite ci pare, in ultima analisi, l’occasione per ribadire non tanto la portata del principio di irretroattività sfavorevole, sulla quale invero non si ravvisano dubbi né contrasti giurisprudenziali, quanto la relatività della nozione di tempus commissi delicti.

Giova infine ricordare che, se per qualche ragione che non riusciamo ad immaginare le Sezioni Unite pervenissero ad una soluzione diversa da quella prospettata dall’ordinanza di rimessione, si profilerebbe a tutela di coloro che non abbiano ottenuto ragione dinanzi alle sedi nazionali la strada di un ricorso a Strasburgo per violazione dell’art. 7 Cedu, da far valere anche successivamente in sede nazionale ai fini di rideterminazione della pena, secondo quanto già illustrato nel richiamato contributo al quale non ci resta che rinviare il lettore[22].

 


[1] L’art. 589-bis c.p. è stato introdotto dall’art. 1, co. 1 della legge 23 marzo 2016, n. 41, ed è in vigore dal successivo 25 marzo.

[2] L’articolo 589 co. 2 c.p., nella versione precedente all’introduzione dell’art. 589-bis, prevedeva, tra l’altro, l’aggravante del fatto commesso con “violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale”, per la quale era prevista la pena da due a sette anni di reclusione. Tale aggravante è stata abrogata dalla legge n. 41 del 2016, che, come già ricordato, ha contestualmente introdotto la fattispecie autonoma di cui all’art. 589-bis, dotandola della medesima pena edittale. Con riferimento alla questione dell’interesse del ricorrente alla rideterminazione della pena nel quadro dell’art. 589 aggravato ex co. 2 anziché dell’art. 589-bis –  questione risolta affermativamente dalla Cassazione nell’ordinanza in esame – v. la nota successiva.

[3] Nel caso di specie, la pena in concreto patteggiata rientrava sia all’interno dei limiti edittali in vigore al momento dell’evento, sia all’interno di quelli più favorevoli vigenti al momento della condotta: tale constatazione poteva generare dubbi in merito all’ammissibilità del ricorso per violazione di legge sub specie di “illegalità” della pena, nonché in ultima analisi in merito allo stesso interesse del ricorrente a proporlo. I dubbi vengono tuttavia fugati dalla Corte: richiamando, in particolare, la giurisprudenza in materia di stupefacenti, l’ordinanza ricorda come il concetto di pena illegale non si riferisca soltanto al trattamento sanzionatorio che si collochi al di fuori della misura edittale, ma abbracci anche le ipotesi in cui la pena applicata in concreto, pur rientrando all’interno di tale misura, si fondi su parametri astratti che nel frattempo sono stati modificati o dichiarati incostituzionali; ciò in quanto il ricorrente ha un evidente interesse a vedersi rideterminata la pena nel quadro di una cornice edittale più favorevole. Né tale conclusione è inficiata, nel caso di specie, dal fatto che la pena edittale prevista fino a marzo 2016 per l’omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa sul codice della strada (artt. 589 co. 1 e 2) fosse identica nel quantum a quella oggi prevista dal nuovo omicidio stradale, ossia da due a sette anni di reclusione. Infatti, prima della novella tale cornice edittale era il frutto dell’applicazione di una circostanza aggravante, come tale soggetta a giudizio di bilanciamento e dunque sotto questo profilo più favorevole rispetto alla nuova fattispecie autonoma ex art. 589-bis.

[4] Cass. pen., sez. IV, 17 aprile 2015, n. 22379, Sandrucci e al., in Dir. pen. cont.Riv. Trim., fasc. 4/2015, 441 ss., con nota di Zirulia S., Irretroattività sfavorevole e reati d’evento lungo-latente.

[5] L’aggravante dell’omicidio colposo commesso con violazione delle disciplina sulla sicurezza del lavoro, introdotta nel co. 2 dell’art. 589 dalla legge n. 296 del 1966, è stata modificata dapprima dalla legge 21 febbraio 2006, n. 102, che ha elevato la pena minima da uno a due anni di reclusione; quindi dal decreto legge 23 maggio 2008, n. 92, conv. con modif. nella legge 24 luglio 2008, n. 125, che ha elevato la pena massima da cinque a sette anni di reclusione.

[6] Si tratta del reato “inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno” (attualmente previsto dall’art. 75, co. 2 del d.lgs. 159/2011, cd. codice antimafia) che la legge 31 luglio 2005, n. 155 aveva trasformato da contravvenzione in delitto.

[7] Si tratta, secondo quanto riferisce l’ordinanza di rimessione, di Cass. pen., 19 maggio 2011, n. 29875, L. (nel testo pubblicato sul CED tutte le informazioni sensibili, comprese le date delle condotte, sono state oscurate).

[8] Cass. pen., sez. V, 13 marzo 2014, n. 19008, CED 260003, in Cass. pen., 2015, 1872 ss., con nota di Rossi C., Successione di leggi penali e concorso di persone nel reato.

[9] Si trattava in particolare delle fattispecie sanzionate dagli artt. 1, 2 e 4 della legge n. 859 del 1967.

[10] All’epoca prevista dall’art. 7, d.l. 152/1991, conv. in l. 203/1991. Tale disposizione è stata abrogata dal decreto legislativo 1 marzo 2018, n. 21, recante “Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice”, che ha contestualmente trasferito l’aggravante nell’art. 416-bis.1 c.p. 

[11] Cass. pen., sez. IV, 5 ottobre 1972, n. 8448, Bartesaghi, CED 122686. La pronuncia aveva ad oggetto un caso di omicidio colposo per violazione delle norme sulla circolazione stradale, nel quale tra il sinistro e l'evento morte era stato introdotto un più severo trattamento sanzionatorio per effetto della legge 11 maggio 1966, n. 296. Accogliendo il ricorso avverso la sentenza d'appello che aveva applicato il jus superveniens sfavorevole, la Cassazione aveva affermato che, ogniqualvolta la commissione del reato e la sua consumazione non coincidono, perché tra condotta ed evento intercorre un significativo iato temporale, il principio di irretroattività vieta l'applicazione della legge sfavorevole intervenuta tra la commissione ed il momento consumativo.

[12] Cfr. Zirulia S., Irretroattività sfavorevole e reati d’evento “lungo-latente”, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., fasc. 4/2015, 441 ss.

[13] Cfr. Siniscalco M., Tempus commissi delicti, in Studi in onore di Francesco Antolisei, Giuffrè, 1965, vol. III, 234: «Il cittadino, nel momento in cui pone in essere un determinato comportamento, deve sapere se agisce lecitamente o illecitamente; ritenere commesso il reato nel momento in cui si realizza l’evento naturalistico contrasterebbe in sostanza col principio di irretroattività»; Pagliaro A., Tempus commissi delicti, in Enc. dir., XLIV, Giuffrè, 1992, 92: «al fine di determinare il momento commissivo, non ha alcuna importanza il tempo nel quale si è verificato l’evento: quest’ultimo, dunque, può sopravvenire anche molti anni dopo, senza che il momento commissivo ne venga influenzato»; Marinucci G., Dolcini E., Corso di diritto penale, III ed., 2001, Giuffrè, 288-289: «la soluzione più persuasiva sembra quella che individua il tempo del commesso reato per i reati commissivi […] nel momento dell’azione o dell’ultima azione prevista dalla norma incriminatrice […]. Questa soluzione discende dalla funzione general-preventiva delle norme incriminatrici: è infatti nel momento in cui agisce […] che l’agente si sottrae all’azione motivante e deterrente della norma incriminatrice. La legge invece non può più orientare il comportamento del suo destinatario quando, esaurita l’azione o l’omissione, si verifica, magari dopo un lungo intervallo temporale, l’evento richiesto dalla norma incriminatrice (ad es., la morte dell’uomo nei delitti di omicidio): per questa ragione va respinta la c.d. teoria dell’evento»; Romano M., Commentario sistematico del Codice penale (artt. 1-84), 2004, III ed., 2004, Art. 2, n. 2, secondo cui, ai fini della determinazione del tempo del commesso reato nei reati d’evento, occorre guardare al momento in cui «si verifica la condotta, poiché è questa l’estrinsecazione del processo di motivazione dell’agente e l’atto di ribellione con riferimento al quale, secondo la norma allora vigente, il soggetto poteva eventualmente rappresentarsi specifiche conseguenze del suo operato».

[14] Cfr., ex multis, Marinucci G., Dolcini E., Manuale di diritto penale. Parte generale, VI ed., Giuffrè, 2017, 142; Mantovani F., Diritto penale. Parte generale, X ed., Wolters-Kluwer Cedam, 2017, 94; Padovani T., Diritto penale, XI ed, Giuffrè, 2017, 56-57; Pulitanò D., Diritto penale. Parte generale, VII ed., Giappichelli, 2017, 569; Canestrari S., Cornacchia L., De Simone L., Manuale di diritto penale. Parte generale, il Mulino, II ed., 2017, 197; Palazzo F., Corso di Diritto penale. Parte Generale, VI ed., 2016, 161; Cadoppi A., Veneziani P., Elementi di diritto penale. Parte generale, VI ed., Wolters Kluwer Cedam, 2015, 147-148; Fiandaca G., Musco E., Diritto penale. Parte Generale, VII ed., Zanichelli, 2014, 117.

[15] Cfr., per tutti, Siniscalco M., Tempus commissi delicti, cit., 235: «non esiste il problema della individuazione del tempus delicti, la cui soluzione […] possa valere per tutte le questioni o gli istituti nei quali la individuazione stessa si rende necessaria. Ogni istituto, costruito per soddisfare determinate esigenze ed avente una particolare funzione, in relazione al quale sia da individuare il tempus delicti, può richiedere che questa individuazione avvenga secondo criteri particolari: solo l’indagine interpretativa consente volta a volta conclusioni attendibili».

[16] Cfr. Romano M., Commentario sistematico del Codice penale, vol. III, Artt. 150-240, II ed., Giuffrè, 2011, Art. 157, n. 7, che richiama, tra l’altro, l’«affievolirsi del bisogno di pena (almeno sino a che non si tratti di crimini di speciale gravità) per l’attenuazione del ricordo sociale del fatto e dell’allarme relativo».

[17] In questo senso Pagliaro A., Principi di diritto penale. Parte generale, VIII ed., Giuffrè, 2003, 728; Marini G., voce Amnistia e indulto nel diritto penale, in Dig. disc. pen., I, 1987, 143; contra Romano M., Commentario sistematico del Codice penale, vol. III,  Art. 150-240, II ed., Giuffrè, 2011, Art. 151, n. 20.  Per una più estesa trattazione sul punto v. Siniscalco M., Tempus commissi delicti, cit., 255-258.

[18] V. ancora, amplius, Siniscalco M., Tempus commissi delicti, cit., 258-259.

[19] Cfr., per tutti, Marinucci G., Dolcini E., Corso di diritto penale, cit., 253-255. Per il corrispondente principio maturato nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, cfr. Mazzacuva F., Nulla poena sine lege, in Ubertis G., Viganò F. (a cura di), Corte di Strasburgo e giustizia penale, Giappichelli, 2016, 237-242.

[20] Cfr. Marinucci G., Dolcini E., Corso di diritto penale, cit., 289.

[21] Sul punto la dottrina si esprime unanimemente: cfr. la manualistica citata supra, nt. n. 14.

[22] Cfr. Zirulia S., Irretroattività sfavorevole, cit., 446 ss.