ISSN 2039-1676


19 settembre 2011 |

Pregressa estinzione della pena per esito positivo dell'affidamento in prova e configurabilità  della recidiva

Cass. pen., Sez. VI, 27.6.2011 (dep. 12.7.2011), n. 27150 (ord.), Pres. Mannino, Rel. Citterio, Ric. Marcianò (Rimessa alle Sezioni unite la questione della possibilità  di configurare la recidiva con riferimento a precedenti condanne per le quali la pena sia stata dichiarata estinta per esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale)

Approda alle Sezioni unite, per l’udienza del 27 ottobre 2011, la questione – rimessa dalla sesta sezione penale con l’ordinanza annotata – relativa alla configurabilità della recidiva (nella specie, reiterata anziché semplice; ma il dettaglio è irrilevante) quando le pene relative alle precedenti condanne siano state dichiarate estinte per esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale (nella specie tutte, salvo una).
 
Questione risolta in modo difforme dalla giurisprudenza di legittimità, ma – sia consentita la precisazione – non in termini tali da far ritenere la sussistenza di un contrasto di giurisprudenza, che può configurarsi solo quando si rinvengano corposi orientamenti di segno contrario su determinati problemi interpretativi, qui all’evidenza assenti, secondo le stesse prospettive dell’ordinanza di rimessione.
Difatti una sola decisione, a quanto risulta dall’ordinanza stessa, avrebbe escluso la possibilità di ipotizzare la recidiva in relazione a precedente condanna a pena espiata nelle forme alternative dell’affidamento in prova al servizio sociale conclusosi con esito positivo (Cass., sez. III, 13 maggio 2010 n. 27689, in C.e.d. Cass., n. 247925); e per di più, sempre secondo l’ordinanza di rimessione, con una motivazione per implicito ritenuta carente, perché non confrontatasi adeguatamente con le argomentazioni di un autorevole precedente ad essa noto (Cass., sez. VI, 6 maggio 2004 n. 26093, ivi, n. 229745), che aveva accolto, invece, l’opposta opzione interpretativa.
 
In particolare, con la sentenza citata da ultimo, la Corte aveva ritenuto illogico ignorare, in occasione di un nuovo reato commesso dall’ex affidato, la precedente condanna, assicurandogli una sorta di quasi impunità alla sola condizione della buona condotta mantenuta nei vari periodi di prova. D’altronde – argomentava la sentenza – ad onta della non perspicua formulazione letterale, l’art. 47, comma 12, ord. pen. (“l’effetto positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale”) da un lato non prevede l’estinzione anche della pena pecuniaria e, dall’altro,non potrebbe riferirsi specificamente agli effetti penali della condanna (a differenza di quanto, invece, dispone l’art. 178 c.p. in tema di riabilitazione), escludendo così l’applicazione dell’art. 106, comma secondo, c.p. che preclude la configurazione della recidiva allorché la causa di estinzione del reato o della pena comporti anche l’estinzione degli effetti penali (in tal senso, peraltro, già la risalente Cass., sez. I, 24 settembre 1993 n. 3588, ivi, n. 198973 e anche Cass., sez. VI, 14 maggio 2004 n. 28378, ivi, n. 229593; nonché, sulla medesima lunghezza d’onda, Cass., sez. I, 1o ottobre 2002 n. 38405, ivi, n. 222648).

Le premesse, che sembravano avallare tutte l’interpretazione meno recente, univocamente attestata sulla soluzione affermativa (e cioè che l’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale con la conseguente estinzione della sola pena detentiva – inquadrandosi nella previsione dell’art. 106, comma primo, c.p. – non può obliterare la condanna ai fini della recidiva) sembravano preludere a un rigetto del ricorso, anche per l’evocata prospettiva di dubbi di legittimità costituzionale nell’ipotesi di una ritenuta automatica estinzione anche della pena pecuniaria conseguente all’esito favorevole della prova (già avanzati da Cass., sez. I, 3 marzo 1995 n. 1333, ivi, n.201613, anche con riferimento a Corte cost., 28 novembre 1994 n. 410). Ma evidentemente questa soluzione non è parsa del tutto convincente, anche per la delicatezza delle implicazioni, che ne ha suggerito la rimessione al più alto Collegio.
Qualche chiosa al problema non pare inopportuna.
 
Intanto, un’osservazione preliminare: l’art. 106 c.p., la cui interpretazione è centrale per la risoluzione del problema che qui si pone, sottintende, nel contesto del sistema originario del codice Rocco, riferimenti a cause di estinzione della pena di tipologia diversa da quella in rilievo nel presente caso. In realtà l’affidamento in prova al servizio sociale non costituisce, in senso tecnico, una causa di estinzione della pena, ma è una misura alternativa alla detenzione intramuraria e perciò contempla una forma di esecuzione della pena in modalità alternativa, il cui esito, se è positivamente valutata la prova, può dar luogo all’estinzione di essa, ma limitatamente a quella detentiva, come posto in luce anche nell’ordinanza di rimessione. In altri termini, l'estinzione della pena sarebbe solo un effetto eventuale dell'intero iter procedurale, e non il naturale sbocco dell'applicazione di una delle cause di estinzione della pena previste, in via generale, dagli artt. 171 e segg. c.p.; peraltro, anche con una lettura ad litteram dell’art. 106 citato, il requisito della presenza di una estinzione integrale della pena mancherebbe, non facendosi luogo, se non in casi particolari sui quali qui non interessa soffermarsi, all’estinzione della pena pecuniaria: e sarebbe arduo concepire, in presenza di tali presupposti, la possibilità che venga in applicazione il secondo comma dell’art. 106 c.p., con la preclusione alla configurazione della recidiva – che ha luogo quando la causa di estinzione estingue anche gli effetti penali – per la sola circostanza che l’art. 47, comma 12, ord. pen. testualmente preveda l’estinzione anche di ogni altro effetto penale, oltre quella della pena principale.
 
A tale ultimo proposito, sembra per la verità piuttosto fragile l’argomento utilizzato dalla sentenza n. 26093/2004, che distingue la nozione di effetti penali da quella di effetti penali della condanna in base alla specificazione in tal senso contenuta nell’art. 178 c.p. (e un sottinteso avallo del vieto brocardo ubi dixit, voluit). Soprattutto perché l’art. 106, comma secondo, c.p. si riferisce genericamente agli effetti penali, così come l’art. 47, comma 12, ord. pen.(analogamente, anche l’art. 556, ult. comma, c.p., in tema di bigamia, non contiene alcuna specificazione, né si potrebbe dubitare che si riferisca agli effetti penali della condanna); e non pare consentito all’interprete, specie in un campo al confine con il divieto di analogia in malam partem, una “manipolazione” della lettera della legge che ridondi, nel dubbio, in danno del reo.
D’altronde, la giurisprudenza della Corte di cassazione formatasi sull’art. 47 ord. pen. è pacificamente orientata nel senso che l’estinzione conseguente all’esito positivo della prova alla quale è stato sottoposto il detenuto “affidato” concerne gli effetti penali della condanna e non generici  effetti penali (in tal senso, tra le altre, Cass., sez. I, 14 novembre 1994 n. 5315, in C.e.d. Cass., n. 199685; Cass., sez. I, 28 ottobre 1994 n. 4925, ivi, n. 199944).
 
Peraltro, il tema degli effetti penali della condanna non è di quelli per i quali la giurisprudenza sia in grado di offrire certezze assolute e incontrovertibili. Ne è prova la miriade di soluzioni ondivaghe fornite nella casistica esaminata dalla Corte di legittimità sia prima, sia dopo una non recente sentenza sul tema del massimo organo di nomofilachia (Cass., Sez. un., 20 aprile 1994 n. 7, ivi, n. 197537): soluzioni sulle quali in questa sede non mette conto indugiare.
Poiché, dunque, questo secondo aspetto della questione presenta profili di non agevole approccio e implicazioni sistematiche di difficile “gestione preventiva”, è molto probabile che l’argomento discendente dall’estinzione solo parziale della pena, che consegue all’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale, come l'altro della non riconducibilità di quest'ultimo, sul piano sistematico, alle cause di estinzione della pena, possano rivelarsi sufficienti a dirimere la questione, perché assorbenti. Naturalmente nel senso della meno recente decisione sull’argomento, che l’ordinanza di rimessione pare ampiamente condividere.