ISSN 2039-1676


08 novembre 2011 |

Per le Sezioni unite la condanna alla rifusione delle spese della parte civile, inflitta con la sentenza di patteggiamento, è censurabile in cassazione anche in mancanza di tempestiva eccezione

Cass., Sez. Un., 14.07.11 (dep. 7.11.11), n. 40288, Pres. Lupo, Rel. Cassano, ric. Tizzi e altro (l'entità  delle spese da rifondere alla parte civile non è oggetto, neppure indirettamente, dell'accordo ex art. 444 c.p.p.)

1. Con la decisione in esame, la Suprema Corte interviene a risolvere un contrasto di giurisprudenza riguardante il tema della condanna alle spese processuali inflitta con sentenza di applicazione della pena.
La questione giudica controversa sottoposta all’esame del Supremo Collegio era la seguente: “se sia ricorribile la sentenza di patteggiamento nella parte relativa alla condanna alla rifusione delle spese di parte civile, in particolare per quanto attiene alla congruità delle somme liquidate e alla coerenza della motivazione sul punto, una volta che, sulla relativa richiesta, proposta all'udienza di discussione, nulla sia stato eccepito.
 
La questione traeva origine da una sentenza di patteggiamento che, nell’applicare una pena detentiva, condizionalmente sospesa, a due imputate per il reato di falsità materiale ex art. 482 cod. pen., aveva altresì condannato le stesse alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, senza tuttavia specificare i criteri adottati per la liquidazione della somma complessiva. Le imputate proponevano ricorso per cassazione a mezzo del difensore, denunciando la violazione di legge e il difetto di motivazione in relazione alla liquidazione delle spese in favore della parte civile, tenuto conto del fatto che la stessa non aveva dovuto sopportare spese di simile entità e per le quali non vi era, comunque, idonea giustificazione e analitica valutazione.
La Quinta Sezione penale, cui i ricorsi erano stati assegnati ratione materiae, registrata l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza sul tema centrale che ne ha formato oggetto, con ordinanza emessa il 29 marzo 2011, aveva rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, a norma dell’art. 618 cod. proc. pen.; era quindi seguito il decreto del Primo Presidente 26 maggio 2011, con cui la questione era stata assegnata al Supremo Collegio.
 
 
2. Le Sezioni Unite hanno, anzitutto, valutato se la pronuncia sulle spese sostenute dalla parte civile abbia un fondamento pattizio, dal momento che essa si inserisce all’interno di uno schema di giustizia contrattata, e se l’entità della somma da liquidare, così come indicata nella nota presentata dalla stessa parte civile nel corso dell’udienza di discussione, venga a far parte dell’accordo tra le parti, ossia dei termini del patteggiamento.
 
Sul punto, si contendevano il campo due orientamenti.
Il primo, il quale ritiene che l'accordo fra il pubblico ministero e l'imputato, in quanto pertinente esclusivamente agli aspetti penalistici e sanzionatori, non si estende a quelli strettamente inerenti la liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile, la cui entità non è, pertanto, ricompresa nell’accordo processuale. Da qui, dunque, l’affermazione secondo cui è indubbio che sul capo della sentenza di condanna alla rifusione delle spese della parte civile, la parte interessata (imputato o parte civile) è legittimata a dedurre, mediante il ricorso per cassazione, le normali censure che attengono alla valutazione giudiziale circa la pertinenza delle voci di spesa, la loro documentazione e congruità in quanto, proprio per consentire siffatto controllo sulla statuizione accessoria alla sentenza di patteggiamento, il giudice ha il dovere di fornire adeguata motivazione (Cass., Sez. 6, n. 7902 del 03/02/2006, Fassina, in C.E.D. Cass., n. 233698; Cass., Sez. 6, n. 3057 del 20/12/2000, dep. 11/01/2001, Fanano, ivi, n. 219707; cfr. inoltre, Cass., Sez. 4, n. 20796 del 03/05/2006, Lopo, ivi, n. 234593 che ha affrontato il tema in modo incidentale e, infine, Cass., Sez. 2, n. 39626 dell’11/05/2004, Di Pinto, ivi, n. 230052, che ha considerato rilevabile in sede di legittimità il vizio motivazionale della sentenza di applicazione di pena nella determinazione globale dell'ammontare delle spese liquidate in favore della parte civile, in quanto ostativo della doverosa verifica delle parti in ordine al rispetto dei limiti tariffari e delle altre condizioni di legge nelle singole voci di spesa).
L’altro orientamento, invece, sostiene che la pronuncia sulle statuizioni contenute nella sentenza di patteggiamento in favore della parte civile, essendo necessariamente oggetto di rappresentazione ed accettazione da parte dell’imputato che abbia avanzato l'istanza di applicazione della pena o vi abbia aderito, viene a far parte, pur se non espressamente, di un atto plurilaterale. Dalla riconducibilità della liquidazione degli esborsi sostenuti dalla parte civile all’ambito dell’accordo tra le parti derivano, quali logiche conseguenze, secondo il predetto orientamento, l’applicazione anche agli stessi del principio dell’intangibilità dell’accordo e l’inammissibilità delle censure mosse, mediante il ricorso per cassazione, dall’imputato che nulla aveva eccepito in sede di patteggiamento (Cass., Sez. 5, n. 14309 del 21/03/2008, Leoni, ivi, n. 239491; Cass., Sez. 5, n. 35599 del 27/09/2002, Ridolfi, ivi, n. 222684; Cass., Sez. 6, n. 2815 del 21/01/1999, Mingon, ivi, n.  213473; Cass., Sez. 5, n. 6375 del 26/11/1998, dep. 18/01/1999, Costa, ivi, n.  212149; Cass., Sez. 3, n. 2000 del 02/05/1996, Maranini, ivi, n. 205469).
In sostanza, pur non giungendo ad affermare il carattere incondizionato dell’adesione all’accordo, le decisioni espressione di tale orientamento ritengono che, in caso di mancata eccezione in sede di  patteggiamento, sarebbe preclusa la possibilità di avanzare, con il ricorso per cassazione, rilievi circa la congruità delle spese liquidate, gravando sull’imputato che impugna la statuizione della sentenza relativa alla liquidazione delle spese processuali in favore della parte civile l’onere di dimostrare, qualora la liquidazione sia stata effettuata in misura assai contenuta, l’esistenza di uno specifico interesse a sostegno della richiesta di applicazione delle tariffe professionali (Cass., Sez. 5, n. 21056 del 08/04/2011, Rosania, inedita; Cass., Sez. 2, n. 24790 del 16/04/2010, Halilovic, in C.E.D. Cass., n. 247737).
 
 
3. Le Sezioni Unite risolvono il contrasto giurisprudenziale aderendo al primo dei due orientamenti valorizzando il tenore testuale dell’art. 444, comma 2, cod. proc. pen., sia in chiave soggettiva (posto che la norma rende evidente che il danneggiato è escluso dalla partecipazione all’accordo che intercorre fra imputato e pubblico ministero, pur avendo lo ius loquendi sulle questioni che formano oggetto della valutazione del giudice) sia in chiave oggettiva (posto che il dato normativo ha una portata inequivoca nel definire la natura e i contenuti tipici del patteggiamento sulla pena unicamente in relazione agli aspetti penalistico–sanzionatori e nel lasciare strutturalmente estranea la parte civile all’accordo intercorrente tra il pubblico ministero e l’imputato sulla pena da applicare ad una determinata fattispecie delittuosa; gli interessi della parte privata non possono filtrare nell’accordo attraverso il pubblico ministero neppure sotto il limitato profilo della rifusione delle spese sostenute: Cass., Sez. 4, n. 6670 del 09/04/1991, Pilotti, ivi, n.  187788).
 
Esclude, poi, il Collegio che possa avere seguito la tesi secondo cui, parallelamente all’accordo principale tra pubblico ministero e imputato, si perfeziona implicitamente un patto autonomo – pur se intimamente connesso al primo – tra l’imputato e il danneggiato. La domanda della parte civile tesa ad ottenere la rifusione delle spese sostenute nel processo svoltosi nelle forme di cui all’art. 444 cod. proc. pen., pur inserendosi in uno schema di giustizia contrattata, esula, infatti, dall’accordo intercorso tra il pubblico ministero e l’imputato circa la pena da applicare in ordine ad un determinato reato. L’entità della somma da liquidare a titolo di rifusione delle spese sostenute dalla parte civile non è compresa nei termini del patteggiamento e forma oggetto di una decisione che, pur se inserita nel rito alternativo, si connota per la sua autonomia (in quanto prescinde dalla pronunzia sul merito) e per la maggiore ampiezza dello spazio decisorio attribuito al giudice rispetto a quello inerente ai profili squisitamente penali.
 
Infine, le Sezioni Unite non condividono neppure l’affermazione, presente in talune delle sentenze riconducibili al secondo indirizzo interpretativo, che sia onere dell’imputato sollevare specifica eccezione sui contenuti della nota spese presentata dalla parte civile nel corso dell'udienza, qualora intenda contestare la loro entità, non apparendo lo stesso coerente con la peculiarità del rito e con le sue scansioni procedimentali (cfr. Cass., Sez. Un., n. 47803 del 27/11/2008, D’Avino, ivi, n. 241356).
 
Sussiste, dunque, il dovere del giudice di fornire, pur nell’ambito di una valutazione discrezionale, un’adeguata motivazione sulle singole voci riferibili all’attività svolta dal patrono di parte civile e sulla congruità delle somme liquidate, tenuto conto del numero e dell’importanza delle questioni trattate, della tipologia ed entità delle prestazioni difensive, avuto riguardo ai limiti minimi e massimi fissati dalla tariffa forense. E tale dovere, per il Supremo Collegio «è tanto più cogente qualora correlato all’entità della somma liquidata che superi sensibilmente la media per tipologie di procedimenti di analoga difficoltà».
Da qui, quindi, il principio di diritto affermato con la sentenza in esame: «è ricorribile per cassazione la sentenza di patteggiamento nella parte relativa alla condanna alla rifusione delle spese di parte civile, in particolare per quanto attiene alla legalità della somma liquidata e alla esistenza di una corretta motivazione sul punto, una volta che sulla relativa richiesta, proposta all’udienza di discussione, nulla sia stato eccepito».
Il principio affermato è certamente condivisibile, posto che la liquidazione delle spese in favore della parte civile non può essere effettuata, come nel caso all’esame della Corte,  con semplice riferimento alla determinazione fatta nella nota spese presentata in giudizio, in quanto non contiene alcuna valutazione sulla congruità degli emolumenti in relazione alle previsioni della tariffa professionale ed all'entità e pertinenza delle somme anticipate, sicché viene sottratta, di fatto, all'imputato qualsiasi possibilità di controllo sulla stessa.
 
Non mancano però voci dissonanti in dottrina. Si è ritenuto, infatti (F. P. GUIDOTTI, Persona offesa e parte civile – la tutela processuale penale, Torino, 2002, 276), aderendo all'orientamento giurisprudenziale contrario alla ricorribilità per cassazione del capo della sentenza di patteggiamento recante la condanna alle spese in favore della parte civile, come l'argomento sostenuto dall'opposto orientamento non possa assolutamente reggere, in quanto l'unica via per stabilire se sia giustificata la costituzione di parte civile è giustappunto valutare la fondatezza della domanda che essa spiega. È dogmaticamente scorretto, per tale A., effettuare una commistione tra la legittimità della costituzione (che certamente il giudice può valutare, non ammettendo, ad esempio, una dichiarazione sprovvista dei necessari requisiti) e la giustificazione di essa (che è vaglio di merito, escluso), né si può contrabbandare la seconda all'ombra della prima. Così precisata, secondo l'A., la questione è di equità, nel senso più pieno e perfino metagiuridico del termine: non è ammissibile che l'esame della domanda risarcitoria, negato dalla legge, con tutte le conseguenze negative per la parte civile, sia eccezionalmente effettuato solo in suo danno.