ISSN 2039-1676


7 dicembre 2011 |

La Corte EDU salva il 'délit de solidarité': la condanna con dispensa dalla pena per favoreggiamento dell'ingresso e del soggiorno irregolare non costituisce una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8)

Nota a Corte EDU, sez. V, 10 novembre 2011, ric. n° 29681/08, Mallah c. France.

La Corte di Strasburgo, pronunciandosi su un ricorso proposto da un cittadino marocchino residente in Francia già condannato con dispensa dalla pena per aver agevolato il soggiorno irregolare del proprio genero sul territorio nazionale, ha dichiarato che tale misura «non costituisce un'ingerenza sproporzionata nell'esercizio del diritto al rispetto della vita privata e familiare». Con una decisione caratterizzata da una certa economia argomentativa - approvata con sei voti favorevoli ed il solo voto contrario della giudice Ann Power-Forde che ha manifestato la propria posizione in un'opinione dissidente - la quinta sezione della Corte europea dei diritti dell'uomo non sembra aver voluto cogliere l'occasione per censurare l'odiosa fattispecie di reato del favoreggiamento dell'ingresso e del soggiorno irregolare, prevista nell'ordinamento francese dall'art. L622-1 del Code de l'entrée et du séjour des étrangers et du droit d'asile (CESEDA) e nota anche come 'délit de solidarité' o 'délit d'humanité'[1].

Tale fattispecie di reato, che trova le proprie origini in una legislazione particolarmente repressiva adottata nei confronti degli stranieri all'alba dello scoppio della Seconda guerra mondiale, punisce infatti con cinque anni di reclusione e trentamila euro di pena pecuniaria «chiunque abbia, attraverso un aiuto diretto o indiretto, facilitato o tentato di facilitare l'ingresso, la circolazione o il soggiorno irregolari di uno straniero». Essa conserva tutte le peculiarità strutturali che caratterizzavano la sua formulazione originaria - imprecisione ed indeterminatezza dell'elemento oggettivo e dolo generico - con il  risultato di sanzionare penalmente qualsivoglia forma di aiuto, anche disinteressato, prestato ad uno straniero in situazione irregolare. L'estensione dell'ambito applicativo della fattispecie di reato si combina infine con il sistema restrittivo di esimenti, applicabile nelle sole ipotesi in cui sussista uno stretto vincolo di parentela con lo straniero in situazione irregolare - limitato agli ascendenti, ai discendenti, ai fratelli, al coniuge dello straniero, nonché ai fratelli del coniuge (cosiddette «immunités familiales») - ovvero sussista una situazione di pericolo attuale ed imminente che renda necessario l'aiuto prestato per salvaguardare «la persona» dello straniero, a condizione che non vi sia sproporzione tra i mezzi utilizzati dal soccorritore e la gravità della minaccia o che tra le parti non sia stato pattuito un corrispettivo diretto o indiretto (cosiddetta «immunités humanitaires»)[2]. Così 'congegnato', il reato di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare si presta dunque ad essere utilizzato - e lo sarà in particolare dalla seconda metà degli anni ottanta - al fine di comprimere ogni spazio di solidarietà di cui lo 'straniero-clandestino' possa beneficiare grazie all'azione di associazioni, comuni cittadini o, addirittura, dei propri familiari[3].

Ed è proprio nella dimensione della solidarietà familiare che si inserisce la vicenda su cui la Corte di Strasburgo è stata chiamata a pronunciarsi: il ricorrente era stato infatti ritenuto responsabile del reato di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare per aver ospitato il genero che si tratteneva irregolarmente sul territorio nazionale al fine di poter assistere la moglie, figlia del ricorrente, durante una gravidanza particolarmente problematica. Dopo esser stato trattenuto in garde à vue, il ricorrente era stato citato in giudizio per violazione dell'art. L622-1 CESEDA. Nonostante il procuratore avesse successivamente comunicato la propria volontà di non dar seguito all'azione penale in ragione della procedura amministrativa di ricongiungimento familiare a cui gli interessati avevano nel frattempo dato corso, il ricorrente era stato ugualmente ritenuto colpevole del reato di favoreggiamento del soggiorno irregolare del genero, ancorché dispensato dalla pena: i giudici di primo e secondo grado avevano infatti riconosciuto che la condotta criminosa del reo era stata dettata unicamente da un sentimento di generosità (§ 5-21)[4].

In punto di ricevibilità, la Corte rigetta la posizione del governo francese secondo il quale la relazione invocata dal ricorrente (suocero-genero) non rientrerebbe nella definizione di «vita familiare» protetta dalla Convenzione: richiamandosi ad una consolidata giurisprudenza, la Corte precisa che, ai sensi dell'articolo 8, la nozione di «famiglia» non è limitata alle sole relazioni fondate sul matrimonio, ma ricomprende anche altri vincoli familiari di fatto quando le parti coabitano al di fuori di un vincolo maritale (§ 30-32). Il riconoscimento nel caso di specie dell'applicabilità dell'art. 8 non si traduce ovviamente in una protezione assoluta del diritto alla vita familiare da ogni ingerenza esercitata dall'autorità pubblica: gli Stati conservano infatti un margine di apprezzamento sulla necessità di comprimere il diritto alla vita familiare, che la Corte valuta sotto il profilo della legittimità e della proporzionalità.  

Quanto al primo profilo, la Corte ritiene integrati i requisiti richiesti dall'art. 8: il reato di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare è infatti previsto dalla legge ed è funzionale alla tutela dell'ordine pubblico ed alla prevenzione di altri reati (§ 38). Facendo proprie le osservazioni del governo francese, la Corte precisa inoltre che le giurisdizioni interne non potevano astenersi dalla dichiarazione di colpevolezza del ricorrente in ragione dell'inapplicabilità al caso di specie delle esimenti previste dalla legge, nonché del carattere «sufficientemente chiaro e prevedibile» della fattispecie di reato (§ 40). Tale ultima precisazione sembra avere il sapore della provocazione in quanto, come già accennato, il principale profilo di criticità del reato di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare riguarda proprio il carattere indeterminato ed impreciso della sua formulazione. Non stupisce pertanto il tono delle osservazioni espresse su tale punto dalla giudice dissenziente Power-Forde, la quale sottolinea come anche l'acquisto di una carta telefonica, di un maglione o l'invito a cena di uno straniero in situazione irregolare integrano delle condotte punibili a titolo di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare, tale essendo il livello di indeterminatezza della fattispecie incriminatrice contestata. Senza contare, inoltre, che la mancata previsione del dolo specifico della finalità di lucro impedisce al giudice nazionale di tenere in considerazione, al fine del giudizio di non colpevolezza, eventuali motivi umanitari posti a fondamento della condotta di favoreggiamento. Breve: contrariamente a quanto deliberato dalla maggioranza, la fattispecie di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare, così come formulata nell'ordinamento francese, sarebbe incompatibile con il rispetto dei diritti dell'Uomo in uno Stato fondato sulla preminenza del diritto e la sua 'qualità' - chiosa il giudice Power-Forde - dovrebbe essere conseguentemente censurata anche nell'ambito di un giudizio sull'art. 8.

Ma, come spesso accade nella giurisprudenza della Corte, è sul terreno della proporzionalità che si gioca il giudizio di 'convenzionalità' della misura contestata. Prendendo atto che il vincolo familiare che lega il ricorrente al proprio genero non rientra tra le esimenti disciplinate dall'art. L622-4 CESEDA, la Corte ritiene che il 'giusto equilibrio' tra lo scopo di tutela del reato di favoreggiamento - il contrasto dell'immigrazione irregolare e delle filiere di passeurs - e l'esigenza di garantire l'esercizio del diritto alla vita familiare del ricorrente sia stato nondimeno raggiunto mediante la dispensa di quest'ultimo dalla pena. Secondo i giudici di Strasburgo, l'ingerenza esercitata sul diritto del ricorrente al rispetto della vita privata e familiare non può infatti ritenersi sproporzionata in quanto, pur sul presupposto dell'accertamento della sua colpevolezza, i giudici francesi hanno rinunciato all'applicazione della pena nei confronti del ricorrente, così tenendo nella dovuta considerazione quel sentimento di generosità che aveva connotato la condotta criminosa a lui imputabile.

Il ragionamento della Corte - che 'salva' la fattispecie astratta del favoreggiamento sul presupposto che l'accertamento della colpevolezza del ricorrente non abbia determinato l'applicazione in concreto della pena e abbia avuto delle «conseguenze limitate» sul piano degli effetti penali - presta il fianco a più di un'osservazione critica. La Corte sembra anzitutto sottostimare le conseguenze che il solo accertamento della colpevolezza può avere sull'esercizio del diritto alla vita privata e familiare. A conferma di tale affermazione, è sufficiente ripercorrere i fatti di causa: il ricorrente ha subito una perquisizione, è stato trattenuto in garde à vue, ha subito un processo che si è protratto per venti mesi e si è visto infine condannare per il solo fatto di aver continuato ad offrire ospitalità al marito della figlia successivamente alla data di scadenza del visto turistico con il quale questi era entrato nel territorio francese. Se lo scopo di tutela della fattispecie di favoreggiamento è effettivamente quello di contrastare le organizzazioni dedite al traffico di migranti, come può ritenersi 'necessario' sottoporre ad un processo penale un individuo per aver prestato aiuto ad un proprio familiare in situazione irregolare e riconoscergli solo in sede di applicazione della pena l'efficacia esimente di quel sentimento di generosità proprio di un vincolo familiare che l'ordinamento esclude irragionevolmente dal novero delle immunités familiales ? Se la Corte avesse dedicato più spazio all'analisi di tale profilo, essa sarebbe probabilmente pervenuta alla stessa conclusione a cui giunge la giudice Power-Forde nell'opinione dissidente, ossia che imporre un processo penale ad un individuo per il solo fatto di aver offerto ospitalità ad un proprio familiare costituisce - di per sé, e a prescindere dalle decisioni che i giudici abbiano adottato quoad poenam - un'ingerenza totalmente sproporzionata rispetto allo scopo di tutela della fattispecie incriminatrice e, come tale, non ammissibile in una società democratica.

Ma oltre ad aver minimizzato le conseguenze che il mero accertamento della colpevolezza può determinare sull'esercizio del diritto alla vita privata e familiare, la Corte ha omesso di analizzare le conseguenze che sul godimento di tale diritto può determinare la mera previsione astratta della fattispecie di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare, così come tratteggiata nell'ordinamento francese. Se si fosse dedicata a tale analisi, la Corte avrebbe potuto rilevare come la sola esistenza del délit de solidarité possa avere l'effetto di dissuadere gli individui dal pieno e legittimo esercizio delle libertà garantite dalla Convenzione e, segnatamente, del diritto alla vita privata e familiare. Si tratta del cosiddetto chilling effect, ossia dell'effetto di inibizione o di dissuasione che la sola minaccia di una sanzione può avere sul legittimo esercizio di una libertà fondamentale: elaborato dalle Corti costituzionali nazionali nell'ambito della libertà di manifestazione del pensiero[5], il chilling effect trova spazio anche nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che lo ha richiamato al fine di censurare - proprio sul terreno dell'art. 8 - la mera previsione astratta della fattispecie incriminatrice dell'omosessualità. Nel celebre caso Dudgeon v. the United Kingdom la Corte ha infatti riconosciuto che la mera esistenza di una fattispecie incriminatrice può avere - di per sé e a prescindere dall'esercizio dell'azione penale - delle conseguenze sull'esercizio del diritto alla vita privata e familiare, costituendo una fonte di stress, di apprensione e di paura tale da determinarne una limitazione sproporzionata[6]. Essa ha inoltre precisato - richiamando peraltro tale principio in una recentissima sentenza, pronunciata in materia di libertà di manifestazione del pensiero qualche settimana prima di quella in esame - che il chilling effect può essere imputato ad una fattispecie astratta di reato indipendentemente dall'eventuale esito assolutorio del procedimento penale[7].

Tale principio può essere applicato mutatis mutandis anche al délit de solidarité ? Il dibattito è aperto[8]. Tuttavia, l'auspicio più sentito è che la Grande Camera accolga la richiesta di rinvio della causa, che il ricorrente proporrà a breve ai sensi dell'art. 43 della Convenzione, e colga tale occasione per censurare in termini netti una fattispecie di reato, quale il délit de solidarité, che non dovrebbe trovare alcuno spazio in un ordinamento giuridico democratico. Così facendo, la Corte di  Strasburgo dimostrerà non solo di voler superare quell'atteggiamento di eccessiva prudenza che fino ad oggi ha connotato i suoi interventi in materia di immigrazione, ma di voler contribuire a pieno titolo a quel processo di 'umanizzazione' della politica criminale in materia di immigrazione irregolare che, in ragione del contesto politico ed ideologico attualmente esistente in Europa, trova nelle Corti sovranazionali dei protagonisti necessari.

 


[1] Su tale fattispecie di reato, si vedano i recenti contributi di S. Slama, Délit d'aide à l'entrée, à la circulation et au séjour irréguliers: controverse sur la légitimité d'un «délit d'humanité», in AJ pénal, n° 11, 2011, pp. 496-500 e di K. Parrot, Le délit de solidarité, in M. Bentolo-Carabot e K. Parrot, L'actualité du droit des étrangers, Bruylant, 2011, p. 129.

[2] Art. L622-4 CESEDA

[3] Per una casistica cfr. Commission nationale consultative des droits de l'homme, Note sur les cas d'application du délit d'aide à l'entrée, à la circulation et au séjour irréguliers, 6 gennaio 2011. Si veda anche il bel film di Philippe Loiret, Welcome, 2009 che ha avuto il merito di portare la questione all'attenzione dell'opinione pubblica francese e di sollecitare i partiti di opposizione a presentare una proposta di depenalizzatione del favoreggiamento dell'immigrazione irregolare, che non è stata tuttavia accolta dall'Assemblea Nazionale.

[4] L'istituto della dispensa dalla pena è disciplinato dall'art. 132-59 Code pénal: «La dispense de peine peut être accordée lorsqu'il apparaît que le reclassement du coupable est acquis, que le dommage causé est réparé et que le trouble résultant de l'infraction a cessé. La juridiction qui prononce une dispense de peine peut décider que sa décision ne sera pas mentionnée au casier judiciaire. La dispense de peine ne s'étend pas au paiement des frais du procès».

 

[5] Cfr. il leading case della Corte Suprema degli Stati Uniti, Lamont vs. Postmaster General, 381 U.S. 301 (1965).

[6] Corte EDU, Dudgeon v. United Kingdom, 22 Ottobre 1981, Serie A, n° 45, § 41.

[7] Corte EDU, II sezione, 25 ottobre 2011, ric. n° 27520/07, Allug Taner Akçam c. Turchia. Cfr. anche per ulteriori riferimenti giurisprudenziali, N. Hervieu, Conventionalité du "délit d'aide au séjour irrégulier d'un étranger" dit "délit de solidarité", in Lettre « Actualité Droits-Libertés » du CREDOF, 11 novembre 2011.

[8] Cfr. l'attuale dibattito sul chilling effect di alcune previsioni della nuova legge sull'immigrazione dell'Alabama sul diritto all'educazione dei figli di immigrati in situazione irregolare: http://www.nytimes.com/2011/10/28/us/alabama-immigration-laws-critics-question-target.html?pagewanted=all 

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