4 giugno 2014 |
Sussiste la giurisdizione italiana per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare quando gli stranieri sono stati soccorsi in acque internazionali
Cass., sez. I pen., 28 febbraio 2014 (dep. 27 marzo 2014), n. 14510, Pres. Giordano, Rel. Caprioglio
Con la sentenza in oggetto, la Corte di cassazione, in sede cautelare, affronta un problema di sempre più frequente attualità, concernente le ipotesi di soccorso di migranti irregolari in acque internazionali. In particolare la Corte si è trovata a decidere circa la sussistenza della giurisdizione italiana in riferimento a condotte di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare destinate ab initio ad esaurirsi oltre il limite delle acque territoriali nazionali.
Nel caso di specie, risultava accertato che l'imputato H.H. fosse membro dell'equipaggio di una motonave con la quale un'associazione criminale operante in Libia aveva organizzato un trasporto di stranieri irregolari in direzione delle coste italiane, e che avesse poi preso il comando del gommone sul quale successivamente, in acque internazionali, erano stati trasbordati i clandestini stessi per compiere la seconda e ultima parte del viaggio, interrotta tuttavia ben presto dal soccorso prestato da una nave battente bandiera liberiana che aveva condotto i passeggeri in Italia. Il gommone era risultato chiaramente inidoneo a compiere effettivamente il tratto di traversata previsto (in quanto privo di carburante, cibo e acqua sufficienti a coprire la distanza che lo separava dalle coste italiane), ed il trasbordo dalla motonave apparivo perciò preordinato non tanto all'effettivo raggiungimento delle coste italiane da parte del gommone, bensì ad innescare procedure di soccorso in mare da parte di navi terze in modo da raggiungere comunque l'obiettivo di condurre gli irregolari sul territorio nazionale.
Due le fattispecie di reato contestate al sig. H.H.: da un lato la partecipazione al reato associativo di cui all'art. 416 c.p., dall'altro il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina previsto dall'art. 12 T.U. imm.. Per entrambe, e fatti salvi ulteriori aspetti di merito, il Tribunale del riesame aveva negato la giurisdizione dello Stato italiano sui fatti di causa, ritenendo che ogni elemento delle relative condotte si fosse esaurito al di fuori del territorio nazionale. Per quanto riguarda in particolare il reato di cui all'art. 12 T.U. imm., la giurisdizione era esclusa sulla scorta della considerazione che si trattava "di condotta commessa in acque internazionali e maltesi, non potendosi ravvisare come consumato nel nostro Stato neppure un segmento della condotta illecita intesa in senso naturalistico, così da potere ritenere la giurisdizione italiana secondo il disposto dell'art. 6 cod.pen., essendosi esaurita in acque extraterritoriali ogni condotta ascrivibile all'indagato".
La Procura ricorrente afferma invece la sussistenza della giurisdizione sulla base di due diverse argomentazioni, la seconda delle quali valida solo per la fattispecie associativa:
1. la giurisdizione italiana sussisterebbe ex art. 6 c.p. in quanto una parte della condotta doveva ritenersi consumata sul territorio italiano: infatti, la "successione di eventi stava a dimostrare che gli atti diretti a procurare l'ingresso in Italia dei clandestini posti in essere dall'indagato non si erano arrestati in acque internazionali, ma erano proseguiti fino al porto di (OMISSIS), ovvero sino al conseguimento dell'obiettivo fin dall'inizio prefissato", l'intervento di soccorso in mare da parte del mercantile liberiano sarebbe allora stato "sapientemente e scientemente provocato, strumentalizzando l'obbligo di soccorso in mare", in quanto i trafficanti avrebbero sin dall'inizio previsto e voluto tale esito creando artatamente la situazione di pericolo che avrebbe poi costretto (come effettivamente è accaduto), una nave terza a compiere le operazioni di soccorso e condurre i migranti in Italia; "poteva [allora] certamente affermarsi che sussistevano i requisiti previsti dall'art. 54 c.p., comma 3, nel senso che i soccorritori si erano trovati esposti alla minaccia attuale e concreta, posta in essere da chi aveva determinato il fatto, che potesse verificarsi un danno grave alle persone, danno che non poteva essere scongiurato se non ponendo in essere la condotta prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12"; per tale ragione, se le condotte dei soccorritori erano coperte dall'operare della scriminante di cui all'art. 54, co. 3, c.p., "a norma di tale disposizione si profilava nettamente la responsabilità degli organizzatori del traffico". La Procura faceva altresì notare come, reputando la condotta degli scafisti esaurita al momento del trasbordo sul gommone, "si legittimerebbe una sostanziale loro impunità, con il che lo Stato italiano si troverebbe da un lato a dover soccorrere in mare e dall'altro ad essere impossibilitato a perseguire e sanzionare chi tale stato di pericolo abbia provocato".
2. la giurisdizione, limitatamente al reato associativo di cui all'art. 416 c.p., sussisterebbe anche ai sensi dell'art. 7, n. 5 c.p., in relazione alla norma speciale di cui all'art. 15 co. 2 lett. c), della Convenzione di Palermo del 12-15.12.2000 in materia di criminalità organizzata transnazionale, ratificata dallo Stato italiano con L. 146/2006. In particolare, l'art. 7, rubricato "Reati commessi all'estero", introduce una eccezione al generale regime di territorialità previsto dagli artt. 3 e 6 c.p., e al n. 5 fonda la giurisdizione italiana mediante il rinvio a "ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l'applicabilità della legge penale italiana". Nel presente caso trattasi del combinato disposto degli artt. 15, co. 2, lett. c), e 5, co. 1, della citata Convenzione ONU di Palermo in materia di criminalità organizzata: la prima norma consente agli Stati di assoggettare alla propria giurisdizione una fattispecie di reato ogniqualvolta "Il reato è: (I) Uno di quelli stabiliti ai sensi dell'art. 5, paragrafo 1, della presente Convenzione ed è commesso al di fuori del suo territorio, al fine di commettere un grave reato sul suo territorio", mentre l'art. 5, par. 1, fonda un obbligo di criminalizzazione di alcune fattispecie di "Partecipazione ad un gruppo criminale organizzato" (così la rubrica) e in particolare dell'"accordarsi con una o più persone per commettere un reato grave per un fine concernente direttamente o indirettamente il raggiungimento di un vantaggio economico o altro vantaggio materiale e, laddove richiesto dalla legislazione interna, riguardante un atto commesso da uno dei partecipanti in virtù di questa intesa o che coinvolge un gruppo criminale organizzato". Quanto poi alla natura transazionale del reato de quo, necessaria per l'applicazione della Convenzione, essa è determinata ai sensi del suo art. 3 - fra l'altro - quando "è commesso in uno Stato ma ha effetti sostanziali in un altro Stato". A tutto voler concedere, pertanto, perlomeno il reato associativo ricadrebbe pacificamente nella giurisdizione italiana.
La Corte, accogliendo, per quanto riguarda la questione della giurisdizione, il ricorso sotto entrambi i profili evidenziati, si sofferma in particolare sul primo, l'unico a poter fondare la giurisdizione per il reato di favoreggiamento di cui all'art. 12.
Queste le scansioni del ragionamento giuridico svolto dalla Cassazione:
- la condotta illecita della "nave madre" che salpa dalle coste nordafricane e si esaurisce con l'abbandono dei clandestini in acque extraterritoriali, facendo sì che le condotte terminali di sbarco siano apparentemente riconducibili all'attività lecita delle navi dei soccorritori, deve essere ricostruita come una "pianificazione complessiva", unitaria e organica, "frutto di un accorto disegno";
- tale procedura si caratterizza per l'aumento "esponenziale del rischio fatto correre ai trasportati", "rischio opportunamente strumentalizzato per provocare l'intervento dei servizi di soccorso in mare", e pertanto tale intervento deve essere considerato un "tassello essenziale e pianificato di una concatenazione articolata di atti che non può essere interrotta o spezzata nella sua continuità", ponendosi "in diretta derivazione causale" rispetto "all'azione criminale di abbandonare in mare gli uomini in attesa dei soccorsi";
- "in tali evenienze l'intervento di soccorso è doveroso, ai sensi delle Convenzioni internazionali sul diritto del mare (Convenzione di Amburgo del 27.4.1979, ratificata con legge n.147/1989 e relativo regolamento D.P.R. n. 662 del 1984, ed art. 98, della Convenzione di Montego Bay), anche una volta avuto contezza dell'illiceità dell'immigrazione", e pertanto "la condotta posta in essere in acque extraterritoriali si lega idealmente a quella da consumarsi in acque territoriali", consentendo di affermare che "l'azione dei soccorritori (che di fatto consente ai migranti di giungere nel nostro territorio) è da ritenere ai sensi dell'art. 54 c.p., comma 3, in termini di azione dell'autore mediato, operante in ossequio alle leggi del mare, in uno stato di necessità provocato e strumentalizzato dai trafficanti e quindi a loro del tutto riconducibile e quindi sanzionabile nel nostro Stato, ancorché materialmente questi abbiano operato solo in ambito extraterritoriale";
- pertanto anche l'azione di soccorso (pacificamente avvenuta sotto la giurisdizione italiana) deve essere imputata a chi abbia organizzato ed attuato il viaggio, e quindi anche all'indagato H.H., "secondo il principio causa causae est causa causati";
- ai sensi dell'art. 6 c.p., pertanto, un segmento rilevante della condotta tipica è avvenuto sotto la giurisdizione italiana, la quale risulta di conseguenza sussistente.
Con un'operazione di schietto distinguishing, la Corte richiama poi un proprio precedente (Cass. pen., sez. I, 28.10.2003, n. 5583), nel quale era stata negata la giurisdizione per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina nel caso di un mercantile greco nel quale si erano nascosti alcuni stranieri irregolari, poi scoperti, i quali erano stati fatti sbarcare su territorio italiano per decisione del comandante della nave: in tal caso, osserva la Corte, "il risultato finale (l'azione di sbarco, ndr) era da ricondurre non già allo stratagemma operato dal trasportatore, bensì alla autonoma decisione del comandante", venendo così a configurare una forma di interruzione/deviazione del decorso causale della condotta di favoreggiamento, la quale risultava così essersi esaurita in acque internazionali, mentre nel caso de quo non si era verificata alcuna interruzione del programma criminoso, posto che l'intervento dei soccorritori era stato previsto e voluto dai trafficanti.
Quanto al fondamento della giurisdizione limitatamente al reato associativo, la Corte accoglie integralmente le argomentazioni della Procura catanese, affermando la giurisdizione circa il reato associativo anche "sotto la diversa angolazione" derivante dall'applicazione delle già citate norme convenzionali.
Affermata così la giurisdizione per entrambi i reati contestati, la Corte di cassazione passa a decidere in ordine al requisito dei gravi indizi di colpevolezza, confermando la decisione del Tribunale del riesame circa la carenza indiziaria in ordine al reato associativo e cassando con rinvio per quanto riguarda il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina: se infatti il quadro indiziario risultava sufficientemente preciso circa tale ultima contestazione (costituendo "base inferenziale per ritener[e l'indagato] plausibilmente non già un immigrato, ma il nocchiero del natante lasciato in balia delle onde, operante su incarico dell'associazione"), con conseguente necessità di rinvio al Tribunale per ogni ulteriore valutazione, "la base indiziaria quanto al reato di associazione a delinquere [appariva] assolutamente inadeguata, non potendosi affatto escludere che l' H. sia stato cooptato solo per questa intrapresa dall'associazione senza che da detto incarico si possa desumere, a livello di gravità indiziaria, il suo collegamento con l'associazione criminale".