24 aprile 2012 |
Una decisione della Corte di giustizia dell'Unione europea in materia di sanzioni penali per il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
C-83/12 PPU, 10.4.2012, Vo (questione sollevata dal Bundesgerichtshof tedesco)
1. La Corte di giustizia, con la pronuncia resa a definizione della causa c-83/12, ha dichiarato comunitariamente legittima l'applicazione, da parte delle autorità di uno Stato membro, della sanzione penale nei confronti di chi abbia favorito l'ingresso nel territorio di uno Stato dell'Unione di cittadini extracomunitari in possesso di un visto ottenuto in maniera fraudolenta, anche se dello stesso non è stato ancora disposto l'annullamento in sede amministrativa.
Il caso trae origine da una decisione della Corte di cassazione tedesca (Bundesgerichtshof), che ha rinviato in via pregiudiziale alla Corte del Lessumburgo una questione sorta in relazione alla vicenda di un cittadino vietnamita (il sig. Minh Khoa Vo) che, a fini di lucro, aveva ottenuto per diversi concittadini dei visti dai consolati ungherese e svedese, per fini rispettivamente turistici e lavorativi. Dopo pochi giorni dall'ingresso nello spazio Schengen, i cittadini vietnamiti si trasferivano tuttavia in Germania, dove veniva loro trovata un'abitazione ed un lavoro irregolare, sempre grazie all'aiuto del sig. Vo o di altri soggetti a lui riconducibili. Sulla base di queste risultanze di fatto, il sig. Vo veniva condannato in primo e secondo grado alla pena di quattro anni e tre mesi di reclusione in applicazione degli artt. 95, 96 e 97 della legge tedesca relativa al soggiorno, al lavoro ed all'integrazione degli stranieri (Aufehthaltgesetz), che puniscono con pene sino a dieci anni di reclusione chi favorisca l'ingresso irregolare di stranieri in forma organizzata ed a fini di lucro.
La condanna viene pronunciata dal giudice penale tedesco senza il previo annullamento dei visti rilasciati dall'autorità ungherese e svedese, che dunque al momento del procedimento, benché ottenuti con modalità fraudolente, erano ancora formalmente validi. Il Bundesgerichtshof pone alla Corte UE la questione se tale affermazione di responsabilità in sede penale, non preceduta dall'annullamento del visto, sia in contrasto con il disposto degli artt. 21 e 34 del regolamento CE 810/2009 (cd. codice dei visti), che impongono l'annullamento del visto "se esistono dei seri motivi per ritenere che esso sia stato ottenuto in modo fraudolento", e prevedono che l'annullamento sia normalmente disposto dalle autorità dello Stato che lo ha rilasciato, salva la possibilità di annullamento da parte delle autorità di un altro Stato membro, che in questo caso sono tenute ad avvertire le autorità dello Stato di rilascio (art. 34 § 1 e 2).
La Corte, su parere conforme dell'avvocato generale, fornisce risposta negativa al quesito. Con una motivazione assai sintetica (per una argomentazione più distesa, cfr. la citata presa di posizione dell'avvocato generale Sharpston), i giudici ricordano in primo luogo come le finalità del regolamento siano quelle da un lato di rendere più agevoli i viaggi all'interno dello spazio giuridico europeo, e dall'altro di predisporre un sistema efficace di contrasto all'immigrazione irregolare (§35). La Corte constata poi come il regolamento in questione non contenga alcuna disposizione riguardante la materia penale (§42), mentre la decisione-quadro 2002/946 e la direttiva 90/2002 obbligano ogni Stato membro a prendere le misure necessarie perché le infrazioni in materia di visti siano oggetto di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive (§ 43). Il diritto dell'Unione, dunque, non soltanto non si oppone a che uno Stato membro preveda sanzioni penali a carico di chi abbia favorito l'ingresso illegale di un cittadino extracomunitario, ma addirittura impone ad ogni Stato membro di ricorrere allo strumento penale per reprimere condotte di tale natura (§ 44). Considerato poi come il processo penale, per esigenze di segretezza e di celerità, può risultare incompatibile con il previo annullamento in via amministrativa del visto fraudolentemente ottenuto, la Corte conclude che non vi sono ragioni per ritenere contraria al diritto dell'Unione l'applicazione di sanzioni penali a carico di chi abbia favorito l'ingresso nel territorio dell'Unione di cittadini di Paesi terzi muniti di visti ottenuti in modo fraudolento, anche quando tali visti non siano stati previamente annullati dall'autorità competente (§47 e 48).
2. Venendo ora ad una brevissima valutazione della sentenza, era davvero difficile immaginare che la Corte potesse assumere una decisione diversa. Come ben esplicitato nella presa di posizione dell'avvocato generale, non si vede infatti per quale ragione dal regolamento del 2009 sui visti si sarebbe dovuto desumere un obbligo di previo annullamento del visto ottenuto fraudolentemente per poter procedere penalmente nei confronti di chi ha fornito un contributo all'ingresso illecito dello straniero, quando è evidente come tale regolamento intenda regolare soltanto le procedure amministrative per il rilascio e l'annullamento dei visti, senza in alcun modo pregiudicare le modalità di accertamento della responsabilità penale di coloro che favoriscono l'ingresso illegale di cittadini di Paesi terzi nel territorio dell'Unione. Per riprendere le parole dell'avvocato generale, "appare chiaro come l'art. 34 del cd. codice dei visti non contenga alcun elemento che permetta di pensare che esso si applichi alla situazione di un terzo imputato in un processo penale concernente il favoreggiamento dell'immigrazione illegale" (§ 64). In altri termini, gli Stati membri sono tenuti ad annullare un visto di cui sia stato accertato l'ottenimento fraudolento, ma ciò non toglie che i criteri di accertamento dell'irregolarità del soggiorno nel processo penale a carico di chi abbia favorito l'ingresso irregolare restino nella loro piena disponibilità, e che dunque essi siano liberi (come avviene in Germania) di svincolare il giudice penale dal previo annullamento del visto di ingresso, se risulta provato che l'ingresso formalmente regolare era in realtà finalizzato ad una fraudolenta permanenza del territorio dell'Unione. Negare agli Stati questa possibilità significherebbe introdurre un irragionevole ostacolo all'implementazione di un efficace sistema di contrasto all'immigrazione irregolare, che è invece proprio l'obiettivo che tutta la normativa europea in materia di visti intende perseguire.
Quanto infine ai riflessi della sentenza nel nostro ordinamento, è solo il caso di ricordare che casi come quello che ha indotto il Bundesgericthshof al rinvio pregiudiziale (processo penale per favoreggiamento dell'immigrazione irregolare di soggetti dotati di visto formalmente valido) sono risolti dalla nostra giurisprudenza nel senso dell'applicazione delle fattispecie di cui all'art. 12 co.1 e 3 t.u. imm., quando, come nel caso di specie, gli ingressi formalmente regolari fossero ab origine destinati ad evolvere in successive permanenze illecite, anche in mancanza di un previo annullamento del titolo di soggiorno (per qualche riferimento alla giurisprudenza sul punto, cfr. per tutti ZIRULIA, Art. 12 t.u. imm., in Codice penale commentato, a cura di DOLCINI-MARINUCCI, 2011, p. 7670). Come in Germania, quindi, anche in Italia il processo penale per il delitto di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare può prescindere da una dichiarazione di invalidità amministrativa del titolo di ingresso: sicché la decisione della Corte UE non fa che ribadire la legittimità comunitaria di un orientamento già pacifico nel nostro ordinamento.