ISSN 2039-1676


27 marzo 2012 |

La Corte di giustizia UE dichiara, una volta ancora, incompatibile con il diritto europeo la vigente disciplina italiana in materia di scommesse

Nota a Corte di giustizia EU, IV Sez., sent. Costa e Cifone, 16 febbraio 2012, cause riunite C-72/10 e C-77/10

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1. Con la sentenza Costa e Cifone, la Corte di giustizia dell'Unione europea si è nuovamente pronunciata in via pregiudiziale sulla compatibilità tra la normativa italiana in materia di attività di raccolta di scommesse sportive - e le relative sanzioni penali in caso di svolgimento di attività non autorizzata - e due delle libertà fondamentali dell'Unione europea, quella di stabilimento (art. 43 CE, oggi art. 49 TFUE, che garantisce il diritto dei cittadini comunitari di stabilire in modo permanente in uno Stato diverso da quello di appartenenza lo svolgimento di un'attività di lavoro autonomo) e quella di prestazione dei servizi (art. 49 CE, oggi art. 56 TFUE, che è complementare alla prima, e garantisce la libertà di svolgere un'attività di lavoro autonomo in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza non in forma stabile, ma con lo spostamento transfrontaliero del solo servizio).

 

2. Come è noto, il settore delle scommesse sportive in Italia non è liberalizzato; l'art. 88 TULPS, infatti, prevede che per operare in tale settore siano necessari una concessione, rilasciata dall'Amministrazione Accentrata dei Monopoli di Stato (AAMS, che fa capo al Ministero dell'Economia e delle Finanze), e un'autorizzazione di polizia, rilasciata solo a soggetti concessionari, revocabile, che viene negata a chi abbia subito una condanna a determinate pene o per particolari delitti, ad esempio, per reati contro la moralità pubblica ed il buon costume o per violazione della stessa normativa relativa ai giochi d'azzardo (artt. 11 e 14 del TULPS). Inoltre, fino al 2002, nel caso in cui il concessionario fosse stato una società di capitali, le azioni aventi diritto di voto dovevano essere intestate a persone fisiche, società in nome collettivo o in accomandita semplice, e non potevano essere trasferite per semplice girata.

 

3. Le condizioni di rilascio della concessione amministrativa per lo svolgimento delle attività di scommesse sono rilevanti ai fini penali perché l'art. 4 della l. 401/1989, rubricato "Esercizio abusivo dell'attività di giuoco o di scommessa", prevede - tra le altre fattispecie penalmente rilevanti - la reclusione da sei mesi a tre anni per chi eserciti abusivamente l'organizzazione del gioco del lotto o di scommesse o di concorsi pronostici che la legge riserva allo Stato o ad altro ente concessionario (co. 1). Alla stessa pena soggiace, per effetto delle novità apportate all'art. 4 dalla l. 381/2000, chi, privo di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell'art. 88 del TULPS, svolga in Italia qualsiasi attività organizzata al fine di accettare o raccogliere o comunque favorire l'accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettati in Italia o all'estero (co. 4 bis); e chi effettui la raccolta o la prenotazione di giocate del lotto, di concorsi pronostici o di scommesse per via telefonica o telematica, ove sprovvisto di apposita autorizzazione all'uso di tali mezzi per la predetta raccolta o prenotazione (co. 4 ter).

 

4. Della compatibilità tra la normativa penale stabilita dall'art. 4 l. 401/1989, il sistema delle concessioni italiano e la libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi, la Corte di giustizia si è già occupata in altre occasioni. Di almeno due di queste è necessario dare sinteticamente conto in sede di commento alla recente sentenza Costa e Cifone della CGUE: anzitutto, perché le tre sentenze sono cucite tra loro dall'intento di liberalizzare il settore delle scommesse sportive, disinnescando discriminazioni dirette o indirette a danno degli operatori stranieri; in secondo luogo, perché la Corte di giustizia viene chiamata a intervenire in sequenza su  restrizioni progressivamente meno stringenti, poiché introdotte, seppur con una cautela che talvolta sfocia nel protezionismo, per liberalizzare il settore proprio a seguito degli interventi della Corte; infine, perché le vicende interne che portano all'intervento dei giudici del Lussemburgo sono pressoché coincidenti nei tre diversi casi. In ognuna delle tre pronunce, infatti, entra in gioco la Stanley International Betting ltd, società di capitali britannica, che pur non avendo potuto - per la sua veste giuridica - partecipare alla maggior parte dei bandi disposti dalle amministrazioni italiane, esercitava comunque attività di raccolta di scommesse in territorio italiano attraverso centri di trasmissione dati (CTD), che provvedono alla raccolta di scommesse e al loro invio in forma telematica a un server di proprietà della Stanley, ubicato nel Regno Unito o in altri Stati membri. Tutti e tre i procedimenti nazionali che hanno portato i giudici italiani a chiedere l'intervento della Corte in via pregiudiziale, per l'appunto, sono sorti proprio in seguito alla contestazione a carico di titolari di CTD del reato di esercizio abusivo dell'attività di raccolta di scommesse previsto dall'art. 4 l. 401/1989.

 

5. Nella sentenza Gambelli (CGE, 6 novembre 2003, Gambelli et al., C-243/01) venivano in rilievo in modo particolare le sanzioni penali previste per l'esercizio abusivo dell'attività di raccolta di scommesse in via telematica (commi 4 bis e ter): l'introduzione di tali fattispecie solo nel 2000 aveva comportato, nel silenzio serbato dalla legge dell'89 sulla rilevanza penale dello svolgimento transfrontaliero di tale attività, la penalizzazione della costituzione da parte di operatori economici stranieri - tra cui la Stanley - dei CTD. Il giudice italiano, dubitando della compatibilità tra l'art. 4 e gli artt. 43 e 49 CE, aveva adito la Corte di giustizia, la quale ritenne che la normativa italiana in materia di rilascio di concessioni per lo svolgimento di attività di scommesse e le relative sanzioni penali fossero in contrasto tanto con la libertà di stabilimento quanto con la libertà di prestazione di servizi. Secondo la Corte, le restrizioni imposte dal legislatore italiano non potevano essere neanche fatte rientrare nelle limitazioni alle libertà fondamentali ammissibili nel sistema dei Trattati: né in una delle clausole previste dagli artt. 45 e 46 specificamente per le libertà di stabilimento e prestazione di servizi (motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza, sanità pubblica), nel caso si tratti di misure discriminatorie; e neanche nella categoria generale delle esigenze imperative connesse all'interesse generale che per costante giurisprudenza della Corte di giustizia possono giustificare, invece, misure indistintamente applicabili restrittive di qualsiasi libertà fondamentale. L'argomento forte addotto dalla Corte per sostenere che le limitazioni predette non potessero essere fatte rientrare in motivi imperativi d'interesse generale, quali la tutela del consumatore e la prevenzione della frode e dell'incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al gioco (che, sulla base della giurisprudenza europea, ben possono legittimare tali restrizioni), era l'incoerenza manifestata dal legislatore italiano, che da un lato incoraggiava per finalità fiscali il gioco d'azzardo se gestito da concessionari nazionali, dall'altro lo rendeva praticamente impossibile per gli operatori stranieri sia in forma stabile sia in forma transfrontaliera.

 

6. Nella successiva sentenza Placanica (CGE, Grande Sezione, 6 marzo 2007, Placanica et al., cause riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04), la Corte del Lussemburgo fu chiamata a pronunciarsi su una questione centrale nel sistema di rilascio delle concessioni e nelle correlate fattispecie penali di "esercizio abusivo di". Come già si è anticipato, fino al 2002 la normativa italiana prevedeva una serie di limitazioni alla titolarità e alla circolazione delle azioni costituenti il capitale sociale dei concessionari costituiti in forma di società di capitali, che rendevano praticamente impossibile per tali forme di società - prevalentemente straniere - ottenere le concessioni. In forza di una modifica introdotta dall'art. 22 n. 11 l. 289/2002 (introdotta dopo che la Corte era stata adita nel caso Gambelli), tutte le società di capitali, senza limitazione alcuna relativamente alla loro forma, erano state ammesse a partecipare alle gare per l'attribuzione delle concessioni.

Nonostante la riforma, però, la rinnovabilità delle concessioni sessennali rilasciate sulla base di un bando ministeriale disposto nel 1999, bando cui non avevano potuto partecipare le società di capitali, aveva comportato la pratica impossibilità per tali società di ottenere una concessione fino al 2011. Alla CGE era stato quindi chiesto - tenuto conto anche della coeva sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 26 aprile 2004, n. 111, Gesualdi, che invece aveva ritenuto compatibili le condizioni previste per il rilascio della concessione amministrativa allo svolgimento dell'attività di raccolta di scommesse con gli artt. 43 e 49 CE - di valutare a) se, nonostante le aperture, tale impossibilità de facto fosse in contrasto con le libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, nonché b) se le sanzioni penali applicabili ai sensi dell'art. 4 l. 401/1989 a chi - come nel caso de quo il sig. Placanica, titolare di un CTD collegato ai server della Stanley - operasse in collegamento con quei soggetti illegittimamente esclusi dai precedenti bandi - come la Stanley, società di capitali - fossero in contrasto con tali libertà fondamentali.

La Corte di giustizia, ricollegandosi al dictum delle Sezioni Unite e innovando in parte rispetto alla sua precedente pronuncia del 2003, partì dal presupposto che la politica espansiva perseguita dal legislatore italiano nel settore dei giochi d'azzardo e il rilascio di nuove concessioni a condizioni restrittive, potessero trovare coerenza nell'obiettivo - che poteva integrare un motivo imperativo d'interesse generale ­- di controllare chi operi nel settore dei giochi di azzardo allo scopo di prevenire l'esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti. Tale obiettivo però non giustificava, secondo la Corte, l'esclusione dai bandi di operatori che siano costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati  e rendeva anche le sanzioni penali applicate alle società di capitali per aver svolto attività telematica di raccolta di scommesse in assenza di concessione e di autorizzazione di polizia, contrastanti con la libertà di stabilimento e di prestazione di servizi proprio perché dette società, in violazione del diritto comunitario, non avevano potuto ottenere quelle autorizzazioni e concessioni.

 

7. Con il d.l. n. 226/2003 (c.d. decreto "Bersani") il legislatore nazionale introdusse nel sistema qualche cauta apertura alla concorrenza, disponendo il rilascio di nuove concessioni. Lo spirito liberalizzatore, però, si mostrò particolarmente attento a non ledere gli interessi dei soggetti già titolari di concessioni, dal momento che l'art. 38 del decreto prevedeva che le nuove concessioni fossero rilasciate tenendo conto, oltreché del numero di abitanti di ciascun comune, anche del numero di concessioni già rilasciate negli stessi comuni, e mantenendo una distanza minima dai soggetti già concessionari. L'AAMS inoltre era incaricata della definizione di ulteriori modalità di salvaguardia dei titolari di concessioni sulla base dei precedenti bandi. Lo schema di convenzione tra l'AAMS e l'aggiudicatario della concessione prevedeva inoltre la decadenza dalla stessa, previa immediata sospensione cautelativa della sua efficacia nel caso in cui "nei confronti del concessionario, del legale rappresentante o degli amministratori del concessionario, siano state adottate misure cautelari o provvedimenti di rinvio a giudizio per tutte le ipotesi di reato di cui alla legge 19 marzo 1990, n. 55, nonché per ogni altra ipotesi di reato suscettibile di far venire meno il rapporto fiduciario con AAMS" (art. 23 co. 2 lett. a) e "qualora il concessionario commercializzi, in proprio od attraverso società in qualsiasi modo ad esso collegate, sul territorio italiano od anche attraverso siti telematici situati al di fuori dai confini nazionali, giochi assimilabili ai giochi pubblici, ovvero ad altri giochi gestiti da AAMS, ovvero giochi vietati dall'ordinamento italiano" (art. 23 co. 3). In tali casi inoltre, l'art. 23 co. 6 prevedeva che la garanzia bancaria obbligatoriamente costituita dal concessionario per partecipare alla gara, fosse incamerata dall'AAMS in caso di decadenza della concessione, fermo restando il diritto dell'AAMS di chiedere il risarcimento del danno ulteriore.

Nel 2006 (quattro mesi prima che la CGE si pronunciasse con la sentenza Placanica) furono stati emanati i bandi per il rilascio delle nuove concessioni previste dal decreto Bersani, e la Stanley Ltd, interessata a parteciparvi, chiese all'AAMS se le modalità telematiche con cui essa raccoglieva le scommesse potessero integrare un'ipotesi di automatico decadimento dalla concessione ai sensi dell'art. 23 co. 3 dello schema di convenzione; avendo ricevuto dall'AAMS risposta affermativa, essa - nuovamente - non aveva potuto partecipare al nuovo bando. Nonostante ciò, i signori Costa e Cifone, titolari di due CTD, presentarono, rispettivamente nel 2008 e nel 2007, richiesta di autorizzazione di polizia ai sensi dell'art. 88 TULPS per lo svolgimento di attività di scommesse. Essendo stata - come prevedibile - respinta tale richiesta, essi procedettero ugualmente all'esercizio dell'attività, di talché nei loro confronti furono instaurati altrettanti procedimenti penali per il reato di esercizio abusivo delle scommesse previsto dall'art. 4 l. n. 401/89.

I due procedimenti penali giunsero così all'attenzione della Corte di Cassazione, che con due parallele ordinanze del 2009 adì la Corte di giustizia in via pregiudiziale, chiedendo ai giudici del Lussemburgo se l'interpretazione corretta degli artt. 43 e 49 CE (oggi, artt. 49 e 56 TFUE) ostasse:

  • all'esistenza di un indirizzo generale manifestato dal legislatore italiano a tutela di soggetti già titolari di concessioni rilasciate da bandi dai quali erano stati illegittimamente esclusi altri operatori;
  • alla presenza di disposizioni che di fatto garantiscono il mantenimento delle posizioni commerciali acquisite sulla base di una procedura dalla quale erano stati illegittimamente esclusi alcuni operatori;
  • alla fissazione di ipotesi di decadenza della concessione e di incameramento di cauzioni di entità molto elevata, tra le quali l'ipotesi che il concessionario gestisca direttamente o indirettamente attività transfrontaliere di gioco assimilabili a quelle oggetto della concessione.

In buona sostanza, il giudice a quo chiedeva alla Corte di Lussemburgo se, nonostante l'avvenuta apertura dei bandi di gara alle società di capitali, e quindi alle società straniere che erano prevalentemente costituite in tale forma, le nuove disposizioni continuassero a favorire illegittimamente gli operatori economici nazionali.

 

8. Per quanto riguarda le prime due questioni, che la Corte di giustizia ha trattato unitamente essendo unica la ratio delle disposizioni, i giudici del Lussemburgo iniziano il loro ragionamento evidenziando come spetti al legislatore nazionale predisporre i migliori strumenti giuridici per rimediare all'illegittima esclusione di alcuni operatori (le società di capitali di cui si era già occupata nella sentenza del 2007) dai bandi per l'ottenimento di concessioni, purché tali strumenti non siano meno favorevoli di quelli applicabili a situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (principio di effettività). Queste condizioni non erano soddisfatte, secondo la Corte, dai bandi del 2006 poiché essi avevano perpetuato la violazione degli artt. 43 e 49 CE, continuando a danneggiare i soggetti - straneri per la maggior parte - illegittimamente esclusi dai precedenti bandi (sono quindi contrari al principio di equivalenza) e non avevano assicurato il godimento dei diritti garantiti dalle norme comunitarie sulla libertà di stabilimento e di prestazione di servizi (in contrasto col principio di effettività).

Anche la parità di trattamento tra operatori nazionali e stranieri può subire eccezioni (i classici motivi imperativi d'interesse generale), ma motivi di natura economica - quali la protezione dell'investimento effettuato dagli aggiudicatari nel 1999 - non possono mai giustificare una restrizione a una libertà fondamentale. Neanche la fissazione di soglie massime di concessioni per numero di abitanti o di distanze minime tra i titolari di nuove concessioni e i già concessionari può essere fatte rientrare nell'esigenza imperativa di limitare le occasioni di gioco, giacché ciò sarebbe incoerente - la Corte lo aveva già rilevato - con la politica di espansione del settore dei giochi d'azzardo perseguita per finalità fiscali dallo Stato italiano anche coi bandi del 2006.

Secondo la Corte quindi, gli artt. 43 e 49 CE nonché il principio di effettività e di parità di trattamento ostano a una normativa nazionale, come quella italiana, che cercando di rimediare all'illegittima esclusione dallo svolgimento di un'attività economica di una determinata categoria di operatori economici, preveda il rilascio di nuove concessioni con modalità intese a favorire i soggetti che già svolgono quell'attività sulla base dei bandi dai quali la prima categoria di soggetti è stata illegittimamente esclusa.

 

9. Per quanto riguarda la seconda questione, quella delle ipotesi di decadenza dalla concessione e d'incameramento della cauzione da parte dell'AAMS, la Corte rileva che anche queste misure costituiscono un ostacolo alla libertà di stabilimento e di prestazione di servizi. Tali restrizioni potrebbero rientrare nei motivi imperativi d'interesse generale - quali la tutela dei consumatori, la prevenzione delle frodi e dell'incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco, la prevenzione di turbative dell'ordine sociale in generale - purché l'autorità concedente, nel delineare tali ipotesi di decadenza, si attenga fedelmente a un dovere di trasparenza, corollario del principio di uguaglianza, consentendo agli operatori economici di conoscere con completezza tutte le condizioni richieste per la partecipazione alla gara. L'ipotesi di decadenza prevista dall'art. 23 co. 2 lett. a) soddisfa tali requisiti nella parte in cui si riferisce alle ipotesi di reato previste dalla l. 55/90 (delitti di mafia e altre forme di criminalità particolarmente gravi); per contro, il riferimento a "ogni altra ipotesi di reato suscettibile di far venire meno il rapporto fiduciario con AAMS" sembra piuttosto vago, e spetta al giudice del rinvio valutare se la previsione normativa assicuri il rispetto della certezza del diritto.

Le restrizioni imposte dalla normativa nazionale alle libertà fondamentali, inoltre, non devono travalicare quanto strettamente necessario per il raggiungimento dell'obiettivo perseguito (principio di proporzionalità); pertanto, secondo la Corte, "sebbene in determinate circostanze possa rivelarsi giustificato adottare misure preventive nei confronti di un operatore di giochi d'azzardo sospettato, sulla base di indizi concludenti, di essere implicato in attività criminali, un'esclusione dal mercato in virtù della decadenza della concessione dovrebbe, in linea di principio, essere considerata proporzionata all'obiettivo della lotta contro la criminalità unicamente nel caso in cui fosse fondata su una sentenza avente autorità di giudicato e riguardante un delitto sufficientemente grave. Una legislazione che contempli, anche in modo temporaneo, l'esclusione di operatori dal mercato potrebbe essere considerata proporzionata unicamente a condizione di prevedere un'efficace possibilità di ricorso in sede giurisdizionale nonché un risarcimento del danno subìto nel caso in cui, in un momento successivo, tale esclusione si rivelasse ingiustificata". Il quadro diventa ancor più fosco per il legislatore italiano, se si considera che l'eventualità contemplata dalla Corte in quest'ultimo passaggio della sentenza Costa e Cifone è proprio ciò che si verifica nella legislazione italiana, laddove l'automatica decadenza dalla concessione sarebbe derivata, per operatori come la Stanley, dal fatto che i suoi rappresentanti, al momento dell'emissione dei bandi del 2006, erano soggetti a procedimento penale per ipotesi delittuose (art. 4 l. 401/1989) poi considerate in contrasto col diritto comunitario dalla sentenza Placanica e per le quali vi era stato conseguente proscioglimento. Anche sotto tale profilo le nuove gare non avevano rimediato all'illegittima esclusione già censurata, e pertanto la Corte conclude che sia in contrasto con gli artt. 43 e 49 CE l'applicazione di sanzioni penali per l'esercizio in forma abusiva dell'attività di raccolta di scommesse a soggetti che siano stati illegittimamente esclusi dalla partecipazione ai bandi per il rilascio delle concessioni, se anche la nuova gara destinata a rimediare a tale violazione perpetui la violazione precedente.

 

10. Infine, l'ipotesi di decadenza prevista dall'art. 23 co. 3 dello schema di concessione (quando il concessionario gestisca attività transfrontaliere di gioco assimilabili a quelle oggetto della concessione) si presenta, secondo la Corte, non chiara e incerta quanto agli effetti e all'obiettivo da realizzare; questo aveva determinato l'impossibilità per la Stanley, illegittimamente esclusa dai bandi precedenti, di presentare la propria candidatura per ottenere le nuove concessioni, e comporta  che anche questa previsione perpetui la violazione precedente non rimediando all'illegittima esclusione di determinati operatori economici. Pertanto, "risulta dagli articoli 43 CE e 49 CE, dal principio di parità di trattamento, dall'obbligo di trasparenza, nonché dal principio di certezza del diritto che le condizioni e le modalità di una gara, quale quella in questione negli odierni procedimenti principali, e in particolare le norme contemplanti la decadenza di concessioni rilasciate al termine di tale gara, come quelle dettate dall'articolo 23, commi 2, lettera a), e 3, dello schema di convenzione, devono essere formulate in modo chiaro, preciso e univoco".