ISSN 2039-1676


26 settembre 2012 |

Uno sguardo oltralpe: la Corte d'Appello di Colonia ritiene che la pratica di circoncisione maschile cd. rituale integri reato

Nota a Landgericht Köln, 1. kleine Strafkammer, 7 maggio 2012, Az. 151 Ns 169/11

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1. Tornano sul 'banco degli imputati' - questa volta, però, in Germania - i complessi rapporti tra diritto penale e multiculturalismo.

La Corte d'Appello di Colonia - con una pronuncia che di certo non è passata inosservata nelle cronache estive - è stata chiamata, per la prima volta in Germania, a prendere posizione circa la rilevanza penale della circoncisione maschile cd. rituale (nella dottrina tedesca, v. Beulke-Diessner, "Ein kleiner Schnitt fűr einen Menschen, aber ein grosses Thema fűr die Menschheit". Warum das Urteil des LG Köln zur religiös motivierten Beschneidung von Knaben nicht űberzeugt, in ZIS 7/2012, S. 338-345).

La circoncisione maschile - eseguita non per ragioni terapeutiche o profilattiche, ma per ragioni culturali, tradizionali o religiose - è una pratica antichissima diffusa presso svariate popolazioni, consistente nella escissione chirurgica, totale o parziale, dell'anello prepuziale e finalizzata a determinare una scopertura permanente del glande.

Dal punto di vista strettamente simbolico, essa assume una caratterizzazione identitaria particolarmente spiccata soprattutto nell'ebraismo e nell'islamismo, ove viene posta in essere da un medico o da persona specializzata, rispettivamente, nei primi giorni (per gli ebrei, all'ottavo giorno) o anni (per i musulmani, tra i tre e i dodici anni) di vita.

I giudici tedeschi - al pari di quelli italiani, che si sono occupati, anche di recente, dei profili di compatibilità della pratica di circoncisione maschile con il nostro ordinamento penale (sia consentito il rinvio a Pusateri, La circoncisione maschile cd. rituale non integra - se eseguita per motivi culturali che determinano l'ignoranza inevitabile della legge penale - il reato di esercizio abusivo della professione medica, in questa Rivista, 22 marzo 2012; Id., Escluso il reato di esercizio abusivo della professione medica se la circoncisione maschile cd. rituale è stata eseguita per motivi culturali, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza XIV, 1-2012, pagg. 94-103) - si trovano dunque ad interrogarsi in ordine ad un duplice quesito: da un canto, se i genitori, appellandosi al proprio credo religioso, siano legittimati a esprimere un consenso, con efficacia esimente, per la circoncisione del proprio figlio minore e, dall'altro, se un 'medico-circoncisore' possa dar seguito ad una simile richiesta, senza incorrere in conseguenze di natura penale.

Ed il risultato a cui giungono è drastico: a detta dei giudici di Colonia, la circoncisione di un minore di anni 4 eseguita, per motivi religiosi, da un medico su espressa volontà dei genitori, può dar luogo ad una condanna per il reato di lesioni (§ 223 StGB).

Violente le reazioni del mondo politico e soprattutto delle comunità religiose interessate, che hanno accolto tale pronuncia come un attacco alla libertà di professare il proprio culto ed hanno, al contempo, esortato una regolamentazione legislativa, in base alla quale la circoncisione di minori per motivi religiosi venga definitivamente sottratta all'area del penalmente rilevante.

Ma vediamo, nel dettaglio, la ricostruzione dei fatti e, soprattutto, le considerazioni di diritto che hanno spinto la Corte d'Appello di Colonia a prendere una posizione di tal guisa.

Posizione, si anticipa fin d'ora, che, all'atto pratico, non ha, tuttavia, condotto ad una effettiva condanna per il rilievo che è stato dato all'ignoranza inevitabile della legge penale (§ 17 StGB).

 

2. Nel caso di specie, un medico di fede musulmana il 4 novembre 2010 eseguiva su espressa volontà di due genitori, anch'essi musulmani, e senza che ve ne fosse alcuna necessità terapeutica, presso il proprio ambulatorio di Colonia, la circoncisione di un bambino di 4 anni mediante uno scalpello chirurgico.

Benché il medico avesse subito suturato la ferita ed avesse provveduto, la sera stessa, alle medicazioni con visita a domicilio, il 6 novembre 2010 il bambino, a seguito di un'emorragia, veniva portato d'urgenza al Pronto Soccorso pediatrico della Clinica universitaria di Colonia, ove il piccolo veniva ricoverato.

La Procura di Colonia, venuta a conoscenza dell'accaduto, promuoveva un'azione nei confronti del medico per il reato di lesioni aggravate per aver arrecato, attraverso l'utilizzo di uno strumento pericoloso, delle lesioni ad un minore (§§ 223, co. 1; 224, co. 1, n. 2 StGB).

 

3. Il Tribunale di Colonia, in primo grado, assolveva l'imputato dal contestato reato, attribuendo una duplice valenza scriminante al consenso manifestato dai genitori in ordine alla pratica circoncisioria (sent. Az. 528 Ds 30/11 del 21 settembre 2011).

I giudici di prime cure ritenevano, infatti, da un canto, che il consenso alla circoncisione espresso dai genitori fosse valido ed efficace, perché volto a perseguire il benessere del bambino, in conformità a quanto previsto dal § 1627, co. 1 BGB (codice civile tedesco), secondo cui la potestà genitoriale è esercitata di comune accordo, sotto la propria responsabilità, da entrambi i genitori nell'interesse del minore ("Die Eltern haben die elterliche Sorge in eigener Verantwortung und in gegenseitigem Einvernehmen zum Wohl des Kindes auszuüben").

Dall'altro, volgendo lo sguardo ai principi costituzionali, il Tribunale aggiungeva altresì che - per effetto del bilanciamento tra il diritto del minore alla salvaguardia della propria integrità fisica (art. 2, co. 2 Grundgesetz - Legge fondamentale: nel prosieguo, 'GG') ed il diritto dei genitori a tramandare ai figli un'educazione religiosa (artt. 4, co. 2 e 6, co. 2 GG) - discenderebbe la liceità del consenso alla circoncisione, il cui scopo è unicamente quello di prevenire qualsiasi forma di 'ghettizzazione' di un giovane musulmano. La circoncisione - rilevano i giudici di prime cure - rappresenterebbe, infatti, a ben guardare, un imprescindibile segno di appartenenza religiosa alla comunità musulmana, in assenza del quale un giovane musulmano rischierebbe di non essere accettato come tale.

Il Tribunale precisava, infine, che la lesione al diritto all'integrità fisica del bambino doveva essere considerata lecita, perché eseguita da persona esperta al solo scopo di prevenire determinate patologie tumorali che colpiscono frequentemente le persone di sesso maschile.

 

4. Avverso la sentenza di assoluzione proponeva appello la Procura.

La Corte d'appello di Colonia, pur confermando l'esito assolutorio cui era già giunta la sentenza di primo grado, fornisce una diversa qualificazione giuridica della pratica di circoncisione e del consenso dei genitori.

I giudici d'appello - esclusa la contestazione della circostanza aggravante, poiché lo scalpello chirurgico non rappresenta un'arma pericolosa, ove venga utilizzata in maniera perita da un medico - ritengono innanzitutto che la circoncisione di un minore eseguita (seppur a regola d'arte) per motivi religiosi ad opera di un sanitario rientri compiutamente nel perimetro della fattispecie tipica del reato di lesioni, perché una simile pratica non può ritenersi 'coperta' dalla teoria della cd. adeguatezza sociale (Sozialadäquanz).

Neppure il consenso prestato dai genitori - a detta dei giudici d'appello - paralizzerebbe la rilevanza penale della pratica circoncisoria, perché quest'ultima si porrebbe nettamente in contrasto con il benessere del minore.

Ai sensi del già menzionato § 1627, co. 1 BGB, infatti, sono legittimate dalla potestà genitoriale (elterliche Sorge) solamente quelle misure educative funzionali e necessarie per la salute, fisica e psichica, del bambino.

I giudici d'appello, muovendosi dunque sul delicato terreno di confine tra libertà del singolo e principi dello stato di diritto, mettono sulla 'bilancia' una serie di diritti-doveri costituzionalmente garantiti che vengono in rilievo nel caso sottoposto alla loro attenzione: il diritto del minore all'integrità del proprio corpo (art. 2, co. 1 e 2 GG: "Ognuno ha diritto al libero sviluppo della propria personalità, in quanto non violi i diritti degli altri e non trasgredisca l'ordinamento costituzionale o la legge morale. Ognuno ha diritto alla vita e all'incolumità fisica"), la libertà religiosa dei genitori (art. 4, co. 1 GG: "La libertà di fede e di coscienza e la libertà di confessione religiosa e ideologica sono inviolabili"), il diritto, da parte di questi ultimi, di trasmettere alla prole il proprio credo religioso (art. 6, co. 2 GG: "La cura e l'educazione dei figli sono un diritto naturale dei genitori ed un precipuo dovere che loro incombe. La comunità statale sorveglia la loro attività").

L'esito del bilanciamento di tali diritti-doveri, che fa leva sul principio di proporzione, non può che condurre, a detta della Corte d'Appello, ad un unico risultato: i diritti fondamentali dei genitori debbono essere circoscritti e cedere il passo al duplice diritto del bambino all'integrità fisica ed alla libera autodeterminazione, che costituisce dunque un limite costituzionalmente immanente ai primi.

La lesione all'integrità fisica conseguente alla pratica di circoncisione di un minore, eseguita per motivi religiosi, è - ove non sia strettamente necessaria - in ogni caso inadeguata ("unangemessen").

Attraverso tale intervento, il corpo del bambino subisce, infatti, una modificazione duratura ed irreversibile, che si pone in netto contrasto con la libertà del minore, al momento incapace di manifestare il proprio consenso, di poter decidere, una volta raggiunta la maggiore età, la propria appartenenza religiosa.

All'opposto, la potestà genitoriale non viene in alcun modo pregiudicata, se i genitori sono tenuti ad attendere il momento in cui il loro figlio, oramai maggiorenne, potrà decidere autonomamente e liberamente di sottoporsi ad una pratica circoncisoria come segno visibile di appartenenza alla religione islamica.

Sulla base di tale bilanciamento di interessi costituzionalmente protetti, secondo cui il diritto all'integrità fisica ed alla libera autodeterminazione del minore prevale sia sulla libertà religiosa che sulla potestà genitoriale, la Corte d'Appello di Colonia ritiene che, dal punto di vista oggettivo, la condotta del 'medico-circoncisore' integri a pieno titolo il contestato reato di lesioni.

 

5. Nella seconda parte della pronuncia, tuttavia, i giudici, nel valutare il profilo soggettivo della fattispecie, 'paralizzano' ogni rimprovero di colpevolezza nei confronti dell'imputato.

La chiave di lettura utilizzata per valutare l'atteggiamento soggettivo del 'medico-circoncisore' è rappresentata dall'ignoranza inevitabile della legge penale ex § 17, primo co. StGB, secondo cui "quando all'agente nella commissione del fatto, manca la coscienza di agire illecitamente, egli non agisce colpevolmente, se non poteva evitare tale errore".

Sulla scorta di tale disposizione - che corrisponde, nella sostanza al 'nostro' art. 5 cod. pen., così come riletto dalla Corte costituzionale nel 1988 - è possibile muovere un rimprovero di colpevolezza all'agente soltanto nel caso in cui questi abbia conosciuto, o almeno, abbia potuto conoscere l'illiceità penale della propria condotta.

Laddove l'ignoranza o l'errore siano inevitabili (e dunque scusabili), la responsabilità penale dovrà invece essere esclusa.

Come sempre accade nei casi di ignoranza sulla portata applicativa della legge penale, si tratta di capire se ed in che termini l'agente possa invocare, a propria scusa, il fatto di non aver conosciuto o non aver potuto conoscere la rilevanza penale del proprio comportamento.

Nella specie, duplice è l'iter argomentativo che ha indotto la Corte d'Appello a propendere per l'inevitabilità dell'errore in cui sarebbe incorso il 'medico-circoncisore'.

In primo luogo, essi riconoscono in capo a quest'ultimo la cd. 'buona fede' che attribuisce efficacia scusante a tutte quelle situazioni in cui la mancata coscienza dell'illiceità derivi non dalla mera ignoranza della legge, ma da una circostanza positiva che induce l'agente nella convinzione che il proprio comportamento sia lecito.

L'imputato aveva, infatti, pacificamente ritenuto che in qualità di devoto musulmano e medico esperto, gli fosse consentito praticare, su richiesta dei genitori, la circoncisione per motivi religiosi, di un minore.

Egli presumeva, per di più, che tale condotta non fosse vietata dall'ordinamento giuridico tedesco.

La Corte d'appello di Colonia non si ferma qui, ma aggancia l'inevitabilità dell'errore/ignoranza sull'illiceità penale anche all'ulteriore profilo dell'incertezza giurisprudenziale e dottrinale che governa la materia della circoncisione maschile cd. rituale.

E' pur vero che l'imputato non si è debitamente informato sulla vigente disciplina giuridica, ma tale inadempimento del dovere di informazione (Erkundigungspflicht) non può essergli rimproverato, perché anche laddove si fosse premurato di raccogliere le opinioni di esperti, non sarebbe giunto ad un risultato univoco cui poter uniformare la propria condotta.

Tali considerazioni, che fanno dunque leva su una personalizzazione del giudizio di colpevolezza, inducono i giudici ad assolvere il 'medico-circoncisore' dal contestato reato di lesioni.

 

6. La pronuncia della Corte d'Appello di Colonia - seppur assolutoria e non vincolante al di fuori del proprio Land - è certamente sintomatica di una diffidenza (più o meno dichiarata) nei confronti di quel 'dialogo multiculturale' cui tutti gli Stati sono sempre più spesso chiamati per effetto del pluralismo culturale e religioso che caratterizza l'intero panorama europeo.

Evidente il tentativo dei giudici tedeschi di attribuire dei precisi contorni normativi ad una pratica appartenente al bagaglio di una minoranza religiosa, con tutte le ricadute e problematiche che ne discendono a livello costituzionale e penale.

Sul fronte dei diritti primari ed irrinunciabili, una simile presa di posizione non può che alimentare il fuoco di una secolare polemica, che in Germania risente certamente di un ingombrante passato: se e fino a che punto lo Stato possa intromettersi nella libertà religiosa del singolo individuo.   

Dal punto di vista strettamente penale, attraverso una simile prospettiva esegetica, si rischia, invece, di privilegiare soluzioni ispirate ad esigenze politico-criminali oppure - come è avvenuto nel caso di specie - di fornire soluzioni 'apparenti' che non risolvono, ma semplicemente posticipano, il vero nodo problematico che si cela alla base dei complessi (ed a volte contraddittori) rapporti tra diritto penale e multiculturalismo.

Al fine di garantire l'auspicata apertura verso il 'dialogo multiculturale' sarà, infatti, necessario interrogarsi ab origine attraverso quali specifici strumenti giuridici sia possibile risolvere in maniera univoca i conflitti tra una norma penale che incrimina un determinato fatto ed una norma culturale/religiosa, radicata nel gruppo di appartenenza, che invece impone o facoltizza quel determinato comportamento.

Necessariamente al legislatore, dunque, l'ardua sentenza.