ISSN 2039-1676


08 ottobre 2012 |

Un nuovo self-referral da parte di uno Stato africano dinanzi alla Corte penale internazionale: il Mali chiede l'apertura di un'indagine.

Il Mali denuncia i crimini di guerra commessi sul proprio territorio. La decisione sull'apertura delle indagini passa ora alla Procuratrice della Corte Penale Internazionale.

1. In data 18 luglio 2012, la neo-nominata Procuratrice della Corte Penale Internazionale, Fatou Bensouda, ha ricevuto un nuovo referral da uno Stato africano, il Mali, secondo il meccanismo previsto dall’art. 13 lett.(a) dello Statuto della Corte, in combinato disposto con l’art. 14 dello Statuto. Quest’ultima norma consente allo Stato che abbia ratificato il Trattato istitutivo della Corte Penale Internazionale di rivolgersi al Procuratore per chiedere l’apertura formale di un’indagine su crimini rientranti nella giurisdizione della Corte. Il Procuratore è comunque sempre libero di esercitare la propria discrezionalità nel decidere se aprire o meno le indagini e, in un secondo momento, esercitare l’azione penale.

Il Mali ha deciso di sottoporre all’Ufficio del Procuratore una situazione interna relativa alla presunta commissione di crimini rientranti nella giurisdizione della Corte. Si tratta di diversi episodi di omicidio, sparizione forzata, violenza sessuale, arruolamento forzato di bambini, esecuzione sommaria di soldati, tortura, appropriazione indebita di beni sia privati che statali, distruzione di simboli dello Stato, di edifici, ospedali, tribunali, municipi, scuole, chiese, mausolei e moschee. Questi eventi criminosi si sarebbero verificati a partire dal mese di gennaio 2012, intensificandosi però a partire dal 21 marzo 2012 quando un colpo di stato militare ha deposto il regime di Amadou Toumani Touré e ha determinato la conquista della parte nord del Paese da parte di gruppi Tuareg di fede islamica.

Tra le varie condotte criminose è stata riportata anche la demolizione di alcuni santuari musulmani della città di Timbuctu, condotta che potrebbe di per sé costituire un crimine di guerra ex art. 8 dello Statuto. Questi accadimenti sono stati qualificati come “violazioni gravi ed estese dei diritti dell`uomo e del diritto internazionale umanitario” nella lettera inviata dall’attuale Ministro della Giustizia del Mali, Malick Coulibaly, alla Procuratrice.

Membri della organizzazione indipendente Human Rights Watch hanno provveduto ad intervistare un centinaio di testimoni delle violenze (97 nella sola capitale, Bamako) che, nelle ultime settimane, hanno abbandonato la regione. Tre gruppi islamici armati che controllano la parte settentrionale del Paese dopo il colpo di stato di marzo avrebbero perpetrato gravi abusi contro la popolazione locale applicando la loro interpretazione della Sharia. Già nell’aprile 2012 i gruppi ribelli avevano consolidato il loro controllo sulle regioni settentrionali di Kidal, Timbuktu, e Gao. Le tre fazioni islamiche si chiamano Ansar Dine (letteralmente i “difensori della fede” o gli “indicatori del cammino”), il Movimento per l’unità e la Jihad in Africa occidentale (MUJAO), e Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM). Secondo le testimonianze, questi gruppi avrebbero reclutato centinaia di bambini (alcuni di soli 12 anni di età), eseguito sistematicamente condanne a morte, fustigazioni e amputazioni come ‘punizioni’.

L’attuale Primo Ministro del Mali, Cheikh Modibo Diarra, in carica dal 17 aprile, ha chiesto ufficialmente nel corso dell’ultima Assemblea Generale dell’ONU, il 25 settembre scorso, l’immediato invio dei caschi blu per liberare il nord del Paese dai gruppi fondamentalisti. La Francia, per voce dello stesso Presidente Hollande, si è subito dichiarata favorevole, mentre molto cauti si sono dimostrati gli Stati Uniti e il Segretario Generale.

 

2. Il Mali è uno Stato Parte dello Statuto della Corte penale internazionale, avendo ratificato il Trattato di Roma del 1998, ed è il quarto Paese africano ad essersi “auto-denunciato” alla Corte, dopo Uganda, Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centro-Africana.

La denunzia (referral) di una determinata “situazione” ad opera di uno Stato Parte rappresenta uno dei tre meccanismi attraverso i quali è possible attivare la giurisdizione della Corte, oltre al referral da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e alle indagini proprio motu del Procuratore (le quali ultime tuttavia richiedono il vaglio preventivo, nella forma di una autorizzazione ad aprire le indagini, da parte della Camera Preliminare).

Anche il referral del Mali (come già quello dell`Uganda, della Repubblica Democratica del Congo, e della Repubblica Centro-Africana) è dunque un self-referral: si tratta cioè di una denunzia sporta direttamente dallo Stato coinvolto, più precisamente dallo Stato sul cui territorio sono stati commessi crimini rientranti nella giurisdizione della Corte.

Il Mali ha affermato di non aver sinora condotto alcuna indagine o azione penale in ordine agli specifici crimini oggetto della situazione riferita alla Corte.

Certamente questo nuovo referral ad opera di uno Stato africano attirerà nuove critiche da parte di coloro che si sono già espressi negativamente rispetto all’opera sin qui svolta dall’Ufficio del Procuratore della Corte, i quali tra le altre cose imputano a quest’ultimo la responsabilità di aver trasformato la Corte in una sorta di “Tribunale africano di riserva”.

Quanto alle altre quattro indagini (tutte africane) al momento aperte davanti alla Corte, che riguardano presunti crimini commessi in Libia, in Dafur (Sudan), in Kenya e in Costa d’Avorio, occorre notare che sono state attivate con meccanismi diversi.

La Costa d’Avorio, che non è Stato Parte (non avendo ratificato il Trattato di Roma), ha accettato ad hoc la giurisdizione della Corte, secondo quanto previsto dall’art. 12 c. 3 dello Statuto. Questa norma consente anche agli Stati che non hanno ratificato il Trattato di sottoporre alla giurisdizione della Corte crimini di competenza di questa, sempre che però si tratti dello Stato sul cui territorio sono stati commessi i crimini oppure che gli stessi siano stati presuntivamente perpetrati da soggetti aventi la nazionalità dello Stato non-Parte. Si parla di accettazione ad hoc in quanto è consentito allo Stato non-Parte di limitare sia sotto il profilo temporale che sotto il profilo geografico l’oggetto dell’indagine del Procuratore. Ovviamente non è consentito allo Stato non-Parte inserire alcun vincolo di carattere personale: in altri termini non può lo Stato segnalare al Procuratore su quali singoli episodi o su quali gruppi investigare ed anche qualora la dichiarazione contenesse tali restrizioni, il Procuratore non ne sarebbe in alcun modo vincolato.

Le situazioni inerenti ai crimini commessi in Libia e in Sudan-Darfur (entrambi sono Stati non-Parte dello Statuto) sono invece state riferite alla Corte tramite due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sulla base di quanto disposto dall’art. 13 lett.(c) dello Statuto.

L’unica indagine avviata proprio motu dal Procuratore concerne le violenze scoppiate durante le elezioni kenyote nel 2008. Per il resto l’attivazione della giurisdizione della Corte è avvenuta, come anticipato, o per mezzo di referrals statuali o da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Sinora dunque l`Ufficio del Procuratore non ha aperto alcuna indagine, secondo i poteri che gli sono conferiti dall’art. 15, per crimini commessi al di fuori del continente africano. La politica seguita è stata, in altri termini, quella di attendere un referral ad opera di uno Stato Parte, o una lettera di accettazione ad hoc della giurisdizione della Corte ad opera di uno Stato non-Parte, piuttosto che rischiare di avventurarsi in una indagine aperta proprio motu, previa autorizzazione della Camera Preliminare.

 

Per ulteriori informazioni sul referral del Mali (ivi inclusa la lettera del Ministro della Giustizia di quel Paese) si può consultare la pagina dedicata sul sito della Corte Penale Internazionale