ISSN 2039-1676


03 settembre 2013 |

Le Sezioni unite chiamate a pronunciarsi sulla sorte della sentenza di patteggiamento deliberata per reati già  prescritti

Cassazione, Sez. Fer., ord. 6 agosto 2013 (dep. 8 agosto 2013), n. 34283, Pres. Esposito, Rel. Lignola, Ric. Citarella e altri

 

1. È stato finalmente rilevato, ed opportunamente sottoposto con urgenza alla valutazione delle Sezioni unite della Corte suprema, un contrasto che si protrae da lungo tempo, riguardo ad una questione di grande rilevanza pratica e teorica.

Con l'ordinanza qui pubblicata, in particolare, la Sezione feriale della Cassazione ha rimesso al massimo Collegio il quesito «se la presentazione della richiesta di applicazione della pena da parte dell'imputato o il consenso a quella proposta dal pubblico ministero costituiscano una dichiarazione legale tipica di rinuncia alla prescrizione non più revocabile».

La Presidenza della Corte ha condiviso la scelta di rimessione e fissato la trattazione del relativo ricorso già per l'udienza pubblica del 26 settembre 2013*.

 

2. Il problema, come emerge dal quesito formalizzato nell'ordinanza in commento, è quello delle sentenze di patteggiamento pronunciate, sull'accordo tra le parti, riguardo a reati già prescritti.

Il fenomeno - indubbiamente patologico (in linea di massima, il giudice dovrebbe rilevare la causa di non punibilità, secondo il disposto degli artt. 129 e 444, comma 2, c.p.p.) - può determinarsi per varie ragioni. Deve soprattutto distinguersi tra casi nei quali il reato risulta estinto avuto semplice riguardo alla imputazione configurata dal pubblico ministero e casi nei quali è proprio l'accordo tra le parti, ed in particolare il prospettato assetto degli elementi circostanziali del reato, ad implicare un effetto estintivo, per le variazioni indotte riguardo ai livelli edittali di pena. Sul piano soggettivo, si danno casi di consapevole presentazione della domanda di patteggiamento riguardo a reati prescritti e fattispecie prive della relativa consapevolezza (accade spesso, ad esempio, che la richiesta di applicazione della pena segua ad una istanza di proscioglimento disattesa dal giudice e fondata proprio sull'asserita prescrizione del reato).

L'intersecarsi delle variabili produce un quadro complesso. Il paradosso di una pena richiesta dall'imputato che dovrebbe essere prosciolto può dipendere da negligenza degli attori del processo, e tale si rivela, in genere, quando il negozio processuale riguarda l'intero novero dei reati in contestazione. Nei casi di estinzione parziale delle fattispecie contestate, tuttavia, la domanda difensiva risponde talvolta a scelte tattiche, cioè viene formulata per offrire all'accusa un «pacchetto» più allettante, sebbene ispirato ad un trattamento favorevole, così da acquisire definitivamente un risultato utile per i fatti non prescritti, e nel complesso suscettibile di miglioramento grazie al riconoscimento della prescrizione, in fasi successive del giudizio, quanto alle ulteriori fattispecie. In questi casi almeno, l'impugnazione della sentenza, motivata sulla violazione di legge insita nell'elusione dell'obbligo di immediata declaratoria della causa di non punibilità, rappresenta una forma sostanziale di revoca del consenso all'applicazione della pena, ed oltretutto introduce elementi di squilibrio nella definizione del trattamento sanzionatorio (essendo chiaro che il pubblico ministero ed il giudice valutano la pena per i singoli reati pure alla luce del livello sanzionatorio complessivamente raggiunto con l'accordo).

La possibilità di un uso strumentale della procedura sottende, probabilmente, alle contraddizioni che caratterizzano la giurisprudenza sull'argomento. Si vedono qui le conseguenze della carenza di «visione prospettica» forse più grave, tra quelle addebitabili ai compilatori del codice vigente: hanno costruito una pletora di riti speciali, per la gran parte fondati sulla disponibilità dell'imputato a dismettere parte delle garanzie usualmente apprestate nei suoi confronti, senza nel contempo offrire alcuna regolazione positiva e «dedicata» del sistema delle sanzioni processuali e delle stesse impugnazioni (fa eccezione, in sostanza, la sola preclusione dell'appello per la sentenza di patteggiamento). Con il risultato, per fare un primo esempio, delle prolungate controversie circa il regime di deduzione delle nullità nel giudizio abbreviato. Con il risultato, ancora, della frequente impugnazione, con deduzione di nullità, di sentenze che esprimono il pieno accoglimento della domanda difensiva (come tipicamente avviene nel patteggiamento).

Il problema che ci occupa, nella specie, si riduce a ciò: sia o meno consapevole della estinzione del reato, l'imputato dapprima sollecita l'applicazione della pena, assicurandosi i connessi vantaggi, e poi sostiene che il giudice non avrebbe dovuto accogliere la sua richiesta, dovendo piuttosto proscioglierlo in forza dell'intervenuta prescrizione; assume, in sostanza, l'inaccoglibilità della propria originaria richiesta.

La giurisprudenza ha notoriamente sviluppato, con il correre degli anni, forme reattive al ritenuto abuso degli strumenti di garanzia, anche attraverso scelte ermeneutiche di massima valorizzazione del consenso prestato alla definizione del giudizio mediante un rito speciale. A queste tendenze sembra riferibile anche l'orientamento che tradizionalmente nega la rilevabilità della prescrizione, e dunque l'annullamento della sentenza di applicazione della pena, quando il termine estintivo sia maturato prima della richiesta difensiva di accesso al rito speciale.

Come subito vedremo, però, il cammino è tutt'altro che lineare, e tutt'altro che compiuto.

 

3. Negli anni di prima applicazione del nuovo rito si è sostenuto che, per effetto della domanda di accesso al patteggiamento, «deve ravvisarsi da parte dell'imputato una dichiarazione legale tipica di rinuncia alla prescrizione»1]. Ancora: «l'adesione all'accordo tra le parti costituisce una dichiarazione legale tipica di rinuncia alla prescrizione»2].

In effetti, con la sentenza 31 maggio 1990, n. 275, la Corte costituzionale aveva dichiarato illegittimo l'art. 157 c.p., nella versione allora vigente, nella parte in cui non prevedeva che la prescrizione del reato potesse essere oggetto di rinuncia da parte dall'imputato. E c'è da dire che il dibattito sulle forme implicite di rinuncia, o sulla necessità della consapevolezza dell'estinzione quale presupposto della rinuncia non esplicita, non era certo già del tutto sviluppato.

Nondimeno, l'orientamento in questione era stato fronteggiato, pressoché immediatamente, da soluzioni interpretative di segno opposto. Si negava, in sostanza, che la pretesa rinuncia potesse essere considerata «univoca ed espressa»3].

 

4. Lo spartiacque avrebbe potuto essere rappresentato dalla successiva riforma dell'art. 157 c.p. Tenendo conto delle precedenti indicazioni della Consulta, il legislatore del 2005 ha riscritto il penultimo comma dell'art. 157 c.p., stabilendo che «la prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall'imputato». Ecco, il riferimento ad una rinuncia espressa dovrebbe sortire, secondo alcuni, l'effetto di escludere ogni possibilità di valorizzazione di atti impliciti di disposizione del diritto, come potrebbe considerarsi, al più, la richiesta di patteggiamento per un reato già estinto.

In questo senso si era pronunciata, in effetti, la giurisprudenza immediatamente successiva alla novella: il «tassativo tenore letterale della nuova disposizione non consente di attribuire alla richiesta del rito speciale contenuto ed effetto della rinuncia alla prescrizione, in quanto difetta il requisito di legge della forma espressa». La qual cosa - si osservava - viene a privare di rilevanza, nei singoli casi concreti, ogni discussione sulla consapevolezza o non dell'imputato circa l'intervenuta maturazione del termine prescrizionale4].

Il nuovo orientamento, o meglio la nuova giustificazione dell'orientamento favorevole alla rilevabilità della prescrizione, ha trovato conferma in diverse pronunce successive della Corte di legittimità5].

 

5. Non sono mancati neppure, lungo il corso degli anni e fino ad epoca recente, argomenti desumibili da decisioni delle Sezioni unite della Cassazione.

In sede di prima applicazione del codice vigente si è dovuto tra l'altro stabilire se il giudice, rilevata la prospettazione di circostanze attenuanti nell'accordo intervenuto tra le parti, dovesse tenerne conto a fini di computo del termine prescrizionale, con la conseguenza di una eventuale declaratoria di estinzione del reato a norma dell'art. 129 c.p.p. A molti sembrava paradossale che l'accordo nato al fine di applicare una pena comportasse invece un proscioglimento che, altrimenti, non vi sarebbe stato. Una parte della giurisprudenza, come già si è accennato, aveva semplicemente e speditamente superato il problema con l'assunto che la domanda di patteggiamento implicasse una rinuncia alla prescrizione.

Maggiore cautela, però, avevano espresso le Sezioni unite, affermando che un ragionamento del genere «non sembra il percorso giuridicamente più sicuro per superare» la contraddizione tra finalismo del negozio processuale ed esito di «disapplicazione» della pena. Di fatto, ed anzi, la Corte più autorevole aveva squalificato la prospettiva in questione: «nella scelta di quel procedimento speciale riesce difficile riconoscere una rinuncia ad una causa estintiva del reato che, come la prescrizione, non rappresenta un mero espediente processuale [...] L'indubbia difficoltà [...] assume una più accentuata consistenza allorché la causa estintiva non preesiste alla scelta del procedimento, ma è conseguente all'accordo intervenuto tra le parti e ratificato dal giudice, sia pure nell'ambito riduttivo dei poteri decisori attribuitigli in relazione alla possibile conclusione del procedimento. Ed è quanto meno discutibile che dalla richiesta di applicazione della pena, formulata dalla parte, possa desumersi una non esplicita sua volontà di rinunziare alla prescrizione del reato come configurato nella suddetta richiesta»6].

La Corte, com'è noto, aveva ugualmente concluso per l'irrilevanza, quanto al computo del termine prescrizionale, dell'accordo concernente le circostanze del reato, e delle relative implicazioni sui valori edittali di pena, ma era giunta al risultato per altra via, che qui non interessa approfondire7].

In seguito il tema della declaratoria di prescrizione nel procedimento per l'applicazione di pena era stato ulteriormente sondato, giungendo a distinguere tra la rilevazione «preliminare» dell'estinzione del reato, subordinata all'evidenza sullo stato degli atti della causa estintiva, e l'effettiva constatazione da parte del giudice dell'intervenuta decorrenza del termine prescrizionale, anche per l'eventuale effetto dell'esclusione di aggravanti o dell'integrazione di attenuanti: in altre parole, una sterilizzazione del patto, di per sé considerato, nella verifica da compiere a norma dell'art. 129 c.p.p.8].

Sull'assunto che i profili circostanziali dell'accordo rilevano per la quantificazione della pena in concreto, ove questa sia accettabile, ma non per la determinazione dei termini prescrizionali, la giurisprudenza si è infine assestata nel senso che la sentenza di patteggiamento può e deve essere pronunciata, anche quando, in astratto, la configurazione negoziale del fatto varrebbe ad implicare un termine già decorso a fini di estinzione del reato9].

Di notevole, ai nostri fini, resta il fatto che le Sezioni unite non sono mai pervenute al proprio «obiettivo» per la strada più «semplice», cioè la pretesa valenza della domanda di patteggiamento quale efficace dichiarazione di rinuncia alla prescrizione10].

 

6. Ma v'è di più, e non è quindi necessario accontentarsi solo delle implicazioni più o meno mediate di sentenze ormai risalenti.

Con una decisione molto più recente, infatti, proprio le Sezioni unite della Cassazione hanno stabilito che il ricorso proposto contro una sentenza dichiarativa della prescrizione non può essere considerato alla stregua di una rinuncia alla prescrizione medesima11].

Ancora una volta, lo specifico oggetto del decisum non coincide con l'argomento in discussione. Ma la Corte è intervenuta, finalmente, dopo la riforma dell'art. 157 c.p., e la sua motivazione assume un carattere decisamente generale: «va affermato che la rinuncia alla prescrizione, secondo il testuale dettato dell'art. 157, comma 7, cod. pen., così come novellato dall'art. 6 legge 5 dicembre 2005 n. 251, richiede una dichiarazione di volontà espressa e specifica che non ammette equipollenti [...] per cui, essa non si può desumere implicitamente dalla mera proposizione del ricorso per cassazione».

Se mai vi fossero dubbi sulla pertinenza della pronuncia, dovrebbe considerarsi che la giurisprudenza citata dalla Corte in senso adesivo è proprio quella che esclude la rilevanza della rinuncia implicita asseritamente sottesa alla domanda di patteggiamento. Non a caso, nell'ordinanza qui in commento si afferma che la decisione delle Sezioni unite «milita nel senso della tesi [...] favorevole all'affermazione del dovere del giudice del rito patteggiato di rilevare l'intervenuta prescrizione dei reati oggetto di accordo».

 

7. Nonostante tutto quanto si è detto, sullo specifico fronte della rilevabilità della prescrizione antecedente alla richiesta di applicazione della pena, l'opinione contraria non è affatto venuta meno.

In qualche caso la scelta risulta giustificata solo in base a precedenti conformi di epoca risalente, senza neppure un riferimento al carattere storicamente controverso della questione12]. In altre occasioni risulta enunciata l'integrazione della «nuova» fattispecie di rinuncia: «la richiesta di applicazione di pena anche per reati prescritti costituisce manifestazione di una scelta processuale che ontologicamente implica l'espressa rinuncia alla prescrizione». L'espressione sembra collegare la connotazione «espressa» alla domanda di accesso al rito (che, naturalmente, non può essere implicita), operando poi una sorta di «trasferimento» della qualità a favore dell'atto di rinuncia alla prescrizione: «la richiesta espressa [...] di applicazione di pena che nel calcolo includa anche reati prescritti [...]»13]. La tenuta dell'operazione, sul piano logico, sembra davvero scarsa.

Appartiene allo stesso schieramento anche la decisione più recente sul tema, o almeno l'ultima della quale si abbia notizia14]. La Corte, nella specie, si è premurata di contestare la pertinenza della già citata pronuncia delle Sezioni unite sul necessario carattere espresso della rinuncia. L'elemento differenziale sarebbe dato dalla irrevocabilità della domanda di patteggiamento, una volta che la stessa abbia incontrato il consenso del pubblico ministero: ammettere la successiva sollecitazione per una dichiarazione parziale o totale di estinzione dei reati cui si riferisce la sentenza varrebbe sostanzialmente ad ammettere, appunto, la revoca del consenso inizialmente prestato.

È chiaro che l'adozione di una prospettiva siffatta svaluta la questione della consapevolezza dell'imputato in merito alla pertinenza della sua domanda ad un reato prescritto. Ancora, passa in secondo piano una questione che dovrebbe essere posta con coerenza dai fautori della domanda di patteggiamento quale rinuncia alla prescrizione, e cioè se il giudice possa davvero, a questo punto, pronunciare sentenza ex art. 129 c.p.p. quando rileva un fatto estintivo che, per una ragione o per l'altra, l'imputato non ha fatto valere: se la prescrizione è paralizzata dalla rinuncia, e questa si connette alla mera richiesta di applicazione della pena, non si vede in base a quali presupposti potrebbe essere respinta la soluzione concordata tra le parti. Infine, lo stesso teorema della irrevocabilità della rinuncia alla prescrizione comincia a mostrare qualche segno di cedimento, anche se, per ora, riguardo a fattispecie molto particolari15]. L'evocazione del tema è in qualche modo suggerita dalla stessa ordinanza di rimessione, qui in commento, visto che nel quesito è fatta allusione non solo alla rinuncia in ipotesi insita nella domanda di patteggiamento, ma anche al carattere irrevocabile di quella stessa rinuncia. È ovvio che l'apertura verso forse di neutralizzazione dell'atto di rinuncia indebolirebbe, in misura proporzionale, gli argomenti spesi contro l'ammissibilità delle impugnazioni mirate ad ottenere la rilevazione dell'effetto estintivo.

Sembra in certo senso comprensibile, a questo punto, la tendenza ad abbandonare il tema della rinuncia, in favore appunto delle dinamiche specificamente inerenti alla procedura di patteggiamento. Occorrerà vedere se l'operazione potrà realizzarsi, o se piuttosto la questione essenziale della pienezza ed univocità dell'atto di disposizione non riemergerà, ad esempio, in termini di vizi del consenso utili ad invalidare il negozio processuale (vizi che la giurisprudenza, com'è noto, tende a considerare influenti nonostante il carattere di stabilità dell'accordo tra le parti).

Certo è - in queste condizioni - che la scelta culminata con l'investitura delle Sezioni unite appare particolarmente opportuna.

 


* Con un comunicato diffuso il 26 settembre 2013 la Corte di cassazione ha informato che la questione rimessa alle Sezioni unite (se la presentazione della richiesta di applicazione della pena da parte dell'imputato o il consenso a quella proposta dal pubblico ministero costituiscano una dichiarazione legale tipica di rinuncia alla prescrizione non più revocabile) non è stata esaminata, «essendo stato il procedimento rinviato a nuovo ruolo per l'acquisizione di documentazione da parte del giudice a quo».

[1] Cass., sez. VI, 23 ottobre 1995, n. 44/1996, Brughera, in Arch. nuova proc. pen. 1996, 69.

[2] Cass., sez. II, 20 novembre 2003, n. 2900/94, Puliatti, in C.e.d. Cass., n. 227887; Cass., sez. V, 28 ottobre 1999, n. 14109, Matonti, ivi, n. 215799.

[3] Cass., sez. III, 11 aprile 1997, n. 4713, Di Costanzo, in C.e.d. Cass., n. 207619; nello stesso senso, Cass., sez. VI, 18 dicembre 1996, n. 2626/97, Laugi, ivi, n. 207528.

[4] Cass., sez. I, 13 marzo 2007, n. 18391, Cariglia, in Cass. pen. 1988, 1889, con nota di F. M. FERRARI, Sentenza di patteggiamento e rinuncia implicita alla prescrizione: nuovi orizzonti applicativi alla luce del riformato art.157 c.p.

[5] Cass., sez. V, 1 aprile 2008, n. 17399, Bongiolatti, in C.e.d. Cass., n. 240423, in un caso, per altro, in cui l'imputato aveva posto senza successo, prima della richiesta di patteggiamento, la questione della prescrizione; in seguito, Cass., sez V, 26 novembre 2009, n. 3548/10, Collura, ivi, n. 245841; Cass., sez. III, 4 marzo 2010, n. 14331, Cardinali, ivi, n. 246608; Cass., sez. V, 12 ottobre 2010, n. 45023, Coata, ivi, n. 249077.

 

[6] Cass., Sez. un, 28 maggio 1997, n. 5, Lisuzzo, in Guida dir. 1997, 35, p. 55, con nota di V. SANTORO, Dall'accordo sull'applicazione della pena nessuna legittimazione al proscioglimento.

[7] Per comodità di consultazione si trascrive il testo della massima ufficiale estratta dalla sentenza: « In tema di patteggiamento, qualora in seguito alla valutazione positiva dell'accordo intervenuto fra le parti in ordine al riconoscimento ed alla comparazione di circostanze attenuanti risulti ridotta l'originaria pena edittale e si renda conseguentemente applicabile un più breve termine prescrizionale, deve ritenersi che al giudice richiesto dell'applicazione della pena sia preclusa la possibilità di dichiarare l'estinzione del reato, come ritenuto nell'accordo, per essere decorso il termine predetto: diversamente, infatti, sarebbe consentito utilizzare solo una parte dell'accordo medesimo per finalità incompatibili con il suo contenuto e con gli scopi alla cui realizzazione, nel procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti, era preordinato». L'argomento è stato ripreso ed avallato più volte, anche dalle stesse Sezioni unite (infra).

[8] Cass. pen., Sez. Un., 25 novembre 1998, n. 3, Messina, in C.E.D. Cass., n. 212437.

[9] Cass. pen., Sez. Un, 21 giugno 2000, n. 18, Franzo, in Cass. pen. 2000, p. 3270, con nota di G. ROMEO, Patteggiamento e prescrizione: la storia è ancora tutta da scrivere.

[10] Per la verità la «sottigliezza» della separazione tra «volontà di patteggiare" e «volontà di accertamento del fatto nonostante la prescrizione» sembra condurre talvolta a qualche sbandamento. Nella decisione del 2000, le Sezioni unite hanno osservato che «nel procedimento speciale di applicazione della pena a richiesta delle parti, l'indicazione nel patto di circostanze attenuanti vale solo per la determinazione della pena da infliggere in concreto, non già per farne conseguire anche la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, a seguito dell' abbreviazione del relativo termine dovuta alla modifica della pena edittale, non essendo consentito utilizzare l'accordo medesimo per finalità incompatibili con il suo contenuto e con gli scopi alla cui realizzazione era preordinato. Questa soluzione, peraltro, non si scontra affatto con il dettato dell'art. 129 cod. proc. pen., considerato che la prescrizione, quale causa estintiva del reato, non preclude più in maniera assoluta la pronuncia di merito, ben potendo la parte rinunciarvi. Tanto meno essa si dimostra priva di logicità,  considerate le peculiarità della sentenza pronunciata ex art. 444 cod. proc. pen. ed i numerosi vantaggi che ne conseguono, sia sul piano sostanziale, che processuale [...] Non si vede, quindi, la ragione per la quale un istituto, ispirato ad una logica pattizia, che "trova il suo fondamento primario e la sua ragion d'essere nella volontà delle parti", "concepito in funzione di collaborazione ad una rapida affermazione della giustizia con una effettiva e ed immediata applicazione della pena" (C. cost., sent. n. 313/90), debba poi essere distorto nella sua applicazione pratica al punto da travolgere la concorde volontà manifestata dalle parti e snaturare quella ratio deflattiva che sta alla base della scelta legislativa (cfr. Rel. pagg. 106 e segg.), considerato, tra l'altro, che il consenso prestato dal pubblico ministero all'applicazione della pena richiesta dall'imputato non può di certo essere utilizzato per fini diversi da quelli per i quali è stato accordato. Aggiungasi che il controllo esercitato dal giudice sulla corretta applicazione e comparazione delle circostanze prospettate dalle parti, non equivale affatto ad una concessione delle stesse, proprio perché manca un accertamento pieno ed incondizionato in ordine alla loro sussistenza». Come si vede, la Corte aveva apprezzato una sorta di «assonanza» tra gli effetti negoziali (e in certo senso vincolanti) della domanda di patteggiamento per un reato in ipotesi prescritto e la dichiarazione di rinuncia alla prescrizione introdotta dalla nota decisione della Consulta, senza tuttavia impegnarsi, in alcun modo, circa la diretta valenza della domanda su entrambi i fronti.

[11] Cass. pen, Sez. un., 3 dicembre 2010, n. 43055, Della Serra, in Cass. pen. 2011, p. 2082, con nota di A.M. SIAGURA, Sul regime delle impugnazioni della sentenza di proscioglimento emessa ex art. 459, comma 3. c.p.p.

[12] Cass., sez. V, 25 novembre 2009, n. 7021/10, Puorro, in C.e.d. Cass., n. 246151.

[13] Cass., sez. II,  6 dicembre 2011, n. 47940, Piccinno, in C.e.d. Cass., n. 252052.

[14] Cass., sez. III, 5 luglio 2012, n. 207/13, P.g. in c. Mazzoli, in C.e.d. Cass., n. 254144.

[15] Cass., Sez. VI, 11 luglio 2012, n. 30104, P.g. in c. Barcella, in C.e.d. Cass., n. 253256. Sui limiti dell'innovazione recata dalla sentenza, rispetto all'orientamento tradizionale che considera sempre irrilevante la revoca della rinuncia alla prescrizione, può vedersi, volendo, G. LEO, Se sia ammissibile, ed in quali casi, la revoca della rinuncia alla prescrizione, in Dir. pen. proc. 2013, p. 46 segg.