ISSN 2039-1676


18 febbraio 2014 |

Rimessa alle Sezioni unite una rilevante questione sul termine per la richiesta di giudizio abbreviato

Cass., sez. IV, ord. 16 gennaio 2014, Pres. Brusco, Rel. Iannello, Ric. Frija

1. Con l'ordinanza qui pubblicata in allegato (clicca sotto su downoload documento per scaricarla), la quarta sezione penale della Corte di cassazione ha dovuto affrontare un annoso problema interpretativo, in merito al termine ultimo per la presentazione della richiesta di giudizio abbreviato.

Nel caso di specie, il giudice dell'udienza preliminare - con decisione poi ritenuta corretta dal Tribunale e dalla Corte d'appello - aveva ritenuto tardiva la richiesta di rito speciale, presentata dall'imputato, dopo la formulazione delle conclusioni da parte del pubblico ministero (art. 421, comma 3, c.p.p.). La difesa proponeva quindi ricorso per cassazione, assumendo che la decisione dei giudici di merito fosse in contrasto con la giurisprudenza prevalente, tesa a ritenere ammissibile tale richiesta fino alla dichiarazione di chiusura della discussione (art. 421, comma 4, c.p.p.).

 

2. La Corte, chiamata a esaminare la questione, rileva l'esistenza di un effettivo contrasto esegetico, di cui poi illustra analiticamente le rispettive posizioni.

Un primo orientamento - «più risalente ma prevalente» - ritiene che la richiesta di giudizio abbreviato, «proposta nel corso dell'udienza, prima che il giudice dichiari chiusa la discussione, ma dopo le conclusioni del pubblico ministero» sia tempestiva e dunque ammissibile.

Secondo questo filone giurisprudenziale, l'espressione «fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422», contenuta nell'art. 438, comma 2, c.p.p., ricomprenderebbe «l'intera fase della discussione prevista dal comma 2 dell'art. 421, fino al suo epilogo»[i]; il termine finale per la rituale proposizione della richiesta sarebbe quindi rappresentato dal momento in cui tale discussione si esaurisce e non dal suo inizio o da particolari momenti della stessa, «riferibili a ciascuna parte»[ii]. Infatti, laddove il legislatore ha voluto collegare una decadenza al momento iniziale di una discussione, lo ha chiaramente esplicitato, come accade nell'art. 589, commi 1 e 3, c.p.p. secondo cui la facoltà di rinunciare all'impugnazione può essere legittimamente esercitata soltanto «prima dell'inizio della discussione»[iii].

Tale indirizzo interpretativo pone poi in rilievo la «ratio deflazionistica» del giudizio abbreviato, che imporrebbe «una interpretazione lata» delle regole che ne disciplinano l'accesso[iv]: la l. 479/1999 (cosiddetta "legge Carotti") avrebbe infatti espresso una vera e propria preferenza per tale rito, ampliando «gli spazi temporali concessi all'imputato per valutare la propria posizione processuale e scegliere strategie difensive alternative»[v].

In altre parole, la lettera della legge, nonché il favor manifestato dal legislatore «per ogni forma di definizione anticipata del processo»[vi], indurrebbero a pensare che il momento preclusivo della richiesta di giudizio abbreviato debba essere ritardato il più possibile, ossia fino alla chiusura della discussione ex art. 421, comma 4, c.p.p.

 

3. L'orientamento opposto, continua la Corte, è invece rappresentato da un'isolata, ma più recente pronuncia, secondo cui la succitata richiesta, nell'udienza preliminare, «può essere proposta sino al momento in cui il giudice conferisca la parola al P.M. per la formulazione delle conclusioni»[vii].

A sostegno di questa interpretazione, viene anzitutto invocato un argomento testuale: qualora il legislatore avesse scelto di vincolare l'ammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato alla dichiarazione di chiusura della discussione, ne avrebbe fatto espressa menzione; con la «composita ed apparentemente ambigua» espressione «fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422», si sarebbe invece voluto «individuare un termine diverso ed un po' "anticipato" rispetto a quello della "fine della discussione"».

Si afferma, poi, che se fosse concesso presentare richiesta di giudizio abbreviato dopo la formulazione delle conclusioni da parte del pubblico ministero, l'«ordine», impresso dal codice, all'udienza preliminare, verrebbe meno, per lasciare spazio a «una generica e informale discussione produttrice di confusione e di probabili iniquità»; sarebbero del pari compromesse le finalità di «trasparenza» e «par condicio», di cui l'attuale formulazione dell'art. 438, comma 2, c.p.p. è invece garante.

Siffatte conseguenze si verificherebbero, principalmente, nei procedimenti con più imputati.

Rimarrebbe «ancora aperta la possibilità di chiedere il giudizio abbreviato solo a "quell'imputato per il quale il difensore non abbia ancora concluso"» e «la scansione dei tempi di discussione» diverrebbe così «strumento per nuove strategie difensive alla luce delle conclusioni che vengano, via via, rassegnate da altri».

Questa situazione non muterebbe nemmeno se il termine ultimo fosse collocato, ugualmente per tutti gli imputati, alla fine della discussione: «potrebbe, infatti, darsi il caso [...] in cui, ad un'udienza preliminare completa, dove tutti abbiano concluso, in limine della camera di consiglio, uno o più imputati improvvisamente cambino opinione e riaprano interamente il discorso formulando una richiesta di rito abbreviato, cui potrebbe accodarsi anche qualche altro imputato»[viii].

Insomma, questo indirizzo teme, da un lato, che il termine per accedere al giudizio abbreviato non sia più lo stesso per tutti gli imputati, essendo così «legato a profili arbitrari, casuali ed (eventualmente) ad astuzie difensive»; dall'altro, «uno scenario sempre più confuso», foriero di «disparità di trattamento», «dispendio di inutili energie» e negative «ricadute sulla durata dei procedimenti»[ix].

 

4. La Corte, dopo aver così delineato il contrasto giurisprudenziale esistente, si limita a rimettere la decisione alle Sezioni unite e giustifica tale scelta, affermando che la corrente esegetica appena esposta, sebbene minoritaria, è «ampiamente argomentat[a] nella consapevolezza dell'opposto orientamento», mentre quest'ultimo, seppur prevalente, sarebbe però supportato da pronunce meno recenti.

È indubitabile che una divergenza interpretativa fra le varie sezioni della Cassazione esista. Tuttavia, a ben vedere, la Corte avrebbe anche potuto optare per una diversa valutazione, disponendo di tutte le argomentazioni necessarie per decidere direttamente il ricorso.

 

5. Anzitutto, l'orientamento minoritario suscita alcune perplessità.

In primo luogo, il dato testuale dell'art. 438, comma 2, c.p.p. è piuttosto chiaro nell'indicare indistintamente l'intera sequenza costituita dalle conclusioni delle varie parti processuali: non vi è infatti alcun riferimento a questa o a quella parte e può allora apparire del tutto arbitrario riferire una formulazione tanto ampia e omnicomprensiva alle sole conclusioni del pubblico ministero.

Sembra, piuttosto, che l'espressione «fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422» si riferisca al momento in cui, sia l'accusa, sia le parti private abbiano terminato di argomentare le rispettive posizioni.

In altri termini, è ben vero che il legislatore, nell'art. 438, comma 2, c.p.p., ha voluto stabilire un termine «"anticipato"» rispetto alla dichiarazione di chiusura della discussione; tuttavia, esso dovrebbe essere più correttamente individuato nel momento in cui l'ultimo difensore ha terminato di parlare, quindi, poco prima che il giudice dichiari chiusa la discussione, ma sicuramente dopo che la parola è stata ceduta al pubblico ministero[x].

 

6. In secondo luogo, nessuno può negare che il codice abbia approntato una sequenza ordinata all'interno dell'udienza preliminare, formata da "sotto-fasi", i cui confini sono stati nitidamente segnati.

Tuttavia, la possibilità per i difensori che hanno già illustrato le proprie conclusioni di intervenire successivamente, al solo fine di richiedere il rito speciale, non sembra affatto generare le nefaste conseguenze in termini di «confusione» e durata dei procedimenti, evocate dall'orientamento minoritario[xi].

Indubbiamente, la sotto-fase delle "conclusioni" può rivelarsi più frammentata e meno ordinata nel suo incedere; ogni difensore, però, conserva la possibilità di scegliere la strategia processuale da intraprendere, anche dopo che tutte altre le parti hanno svelato il proprio intendimento: viene così attribuito «all'imputato un ulteriore stimolo verso la scelta del rito, potendo quest'ultimo godere in quel frangente del quadro d'insieme del processo, comprensivo delle richieste terminative di ciascuna delle parti»[xii].

Bisogna poi considerare che, in alcuni casi, le "conclusioni" potrebbero rappresentare il mero sbocco di una strategia processuale già manifestatasi nei momenti precedenti dell'udienza preliminare; pertanto, non è affatto detto che la mera illustrazione delle stesse sia sempre sufficiente a provocare improvvisi stravolgimenti della linea difensiva di una o più parti.

 

7. Infine, è necessario ricordare che l'orientamento maggioritario è ben più attuale di quanto la quarta Sezione sembra sostenere.

Una recente decisione della Corte[xiii] ha infatti esplicitamente affermato che l'unica sentenza a sostegno dell'indirizzo interpretativo minoritario[xiv] «finisce con l'introdurre un termine preclusivo non del tutto "in linea" con il dettato normativo, volutamente aperto».

Sul punto, sebbene incidentalmente, si è anche espressa la Corte costituzionale, stabilendo che il giudizio abbreviato «può essere richiesto e ammesso anche a discussione iniziata e fino al momento in cui non siano formulate le conclusioni»[xv].

In definitiva, anche al di là delle forti perplessità suscitate dall'indirizzo giurisprudenziale minoritario, l'opposta esegesi dell'art. 438, comma 2, c.p.p. pare assolutamente prevalente e, per giunta, supportata da recenti decisioni sia della giurisprudenza di legittimità, sia di quella costituzionale.

 

8. Alla luce delle circostanze indicate, la rimessione della questione alle Sezioni unite avrebbe potuto forse essere evitata. Nondimeno, il Presidente della Corte di cassazione ha effettivamente assegnato il ricorso al massimo Collegio, fissando per l'udienza la data del 27 marzo 2014. Non resta dunque che attendere la presa di posizione, auspicabilmente definitiva, della giurisprudenza di legittimità.

 


[i] Così si esprime Cass., sez. I, 14 novembre 2002, n. 755, in C.E.D. Cass., n. 223251.

[ii] Così, testualmente, Cass., sez. I, 23 marzo 2004, n. 15982, in C.E.D. Cass., n. 227791.

[iii] Si veda, ancora, Cass., sez. I, 14 novembre 2002, n. 755, cit.

[iv] Ci si riferisce sempre a Cass., sez. I, 14 novembre 2002, n. 755, cit.

[v] In questo senso, Cass., sez. I, 23 marzo 2004, n. 15982, cit.

[vi] Così, testualmente, Cass., sez. I, 19 febbraio 2009, n. 12887, in C.E.D. Cass., n. 243041.

[vii] Così si è espressa Cass., sez. III, 31 marzo 2011, n. 18820, in C.E.D. Cass., n. 250009.

[viii] Così, ancora, Cass., sez. III, 31 marzo 2011, n. 18820, cit.

[ix] Ci si riferisce sempre a Cass., sez. III, 31 marzo 2011, n. 18820, cit.

[x] Peraltro, è questa la conclusione alla quale sembra essere giunta la dottrina maggioritaria: si vedano, fra gli altri, A. Bassi-F. D'Arcangelo, Il giudizio abbreviato, in I procedimenti speciali, a cura di A. Bassi, C. Parodi, Milano, 2013, pp. 71-73; L. Degl'innocenti-M. De Giorgio, Il giudizio abbreviato, Milano, 2006, pp. 43-46; V. Maffeo, Il giudizio abbreviato, Napoli, 2004, pp. 218-226; L. Pistorelli-R. Bricchetti, Il giudizio abbreviato, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, vol. IV, Procedimenti speciali. Giudizio. Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, t. I, Procedimenti speciali, a cura di L. Filippi, Torino, 2008, pp. 130-134; F. Zacchè, Il giudizio abbreviato, Milano, 2004, pp. 47-51.

[xi] Si vedano, in questo senso, O. Bruno, L'ammissibilità del giudizio abbreviato, Padova, 2007, p. 72; V. Maffeo, Il giudizio abbreviato, cit., p. 222.

[xii] Così, testualmente, G. Barbuto, Il nuovo giudizio abbreviato, Milano, 2006, p. 53.

[xiii] Si veda Cass., sez. I, 18 dicembre 2013, n. 348, in questa Rivista, con nota di A. Cabiale, Una interessante pronuncia su abnormità e diniego della richiesta di giudizio abbreviato semplice.

[xiv] Ci si riferisce ancora a Cass., sez. III, 31 marzo 2011, n. 18820, cit.

[xv] Si veda C. cost., 7 aprile 2011, n. 117, in questa Rivista.