ISSN 2039-1676


17 giugno 2014 |

In tema di detenzione di materiale pornografico realizzato utilizzando minori di anni diciotto: una sentenza assolutoria della Corte d'appello di Milano

App. Milano, ud. 12 marzo 2014, Pres. Rizzi, Est. Domanico

 

1. Con la sentenza qui pubblicata, la Corte d'appello di Milano ha escluso che la condotta di chi detiene materiale pornografico, realizzato direttamente da una minore ultra quattordicenne e da questa consegnato consensualmente ad altro soggetto, integri il reato di detenzione di materiale pornografico previsto dall'art. 600 quater c.p.

In particolare, la Corte esclude che nel caso di specie vi sia stata utilizzazione del minore nella condotta detentiva, requisito necessario ai fini della configurazione del delitto di cui all'art. 600 quater c.p. che punisce la condotta di chi detiene materiale pornografico «realizzato utilizzando minori degli anni diciotto».

 

2. Questo, in estrema sintesi, il fatto oggetto della sentenza.

Sul telefono cellulare di un ragazzo di vent'anni, gli inquirenti rinvengono immagini raffiguranti una quindicenne in pose e atti sessuali e posizioni ammiccanti. I due ragazzi si sono conosciuti sul social network Netlog e hanno instaurato una corrispondenza, prima tramite computer poi tramite telefono cellulare. Il ragazzo ha dichiarato di non avere mai chiesto alla minore fotografie di lei nuda, ma di averne ricevute da lei. Ha dichiarato, poi, di non avere inoltrato ad alcuno le fotografie ricevute dalla minore e di avere a sua volta inviato, su richiesta della ragazza, sue foto nudo.

In relazione a tali fatti, il p.m. ha contestato all'imputato il reato di pornografia minorile previsto dall'art. 600 ter co. 1 c.p. Tale norma punisce la condotta di chi «utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche».

In sede di giudizio abbreviato, il G.u.p. ha assolto l'imputato da tale reato ritenendo che le nozioni di "produzione" ed "esibizione" contemplate dall'art. 600 ter richiedono l'inserimento della condotta in un contesto di organizzazione e di destinazione, anche solo potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi, contesto che non può ritenersi sussistente nel caso di specie, trattandosi di foto effettuate dalla stessa minore con autoscatto e dalla medesima volontariamente inviate all'imputato (sul medesimo tema si veda anche App. Milano, ud. 17 gennaio 2014, Pres. Soprano, Est. Domanico, in questa Rivista - clicca qui per accedervi).

Avverso tale sentenza hanno proposto appello la parte civile e il procuratore generale. Quest'ultimo, in particolare, ha chiesto la riqualificazione dei fatti sub art. 600 quater c.p., sostenendo che il reato di detenzione di materiale pornografico previsto da tale norma, essendo un reato di mera condotta, sia configurabile a prescindere dalla strumentalizzazione del minore di anni diciotto e anche nel caso in cui il materiale sia stato prodotto con il consenso del minore stesso.

 

3. Essendo pacifica la ricostruzione dei fatti, la Corte d'Appello è chiamata a pronunciarsi sul seguente problema di carattere giuridico: se la detenzione di materiale pornografico realizzato direttamente da una minore ultra quattordicenne, consegnato consensualmente ad altro soggetto e da quest'ultimo conservato, integri o meno l'ipotesi prevista dall'articolo 600 quater c.p. Come anticipato, la Corte dà risposta negativa a tale quesito.

In motivazione, innanzitutto, si legge che «affermare, in linea astratta, che il consenso del minore non esclude la sussistenza del reato, può essere una verità riduttiva» e che i precedenti richiamati dal procuratore generale, a sostegno della tesi dell'irrilevanza del consenso, sono inconferenti rispetto al caso in esame, trattandosi di episodi non paragonabili. I precedenti richiamati, infatti, riguardano tutti casi «in cui appare palese una condotta di utilizzazione e sfruttamento, vuoi perché sono plurimi i soggetti minori ritratti, vuoi perché sono ritratti in pose erotiche da terzi, vuoi perché, nel caso di cui alla sentenza 43414/2010, è il soggetto adulto che sfrutta la vita sessuale della figlia tredicenne che ritrae nuda ma anche assieme ad altri minori». Per contro, quello in esame è il caso di un «rapporto consensuale a due tra una ultra-quattordicenne e un ventenne, con scambio reciproco di fotografie, prodotte con autoscatto, che ritraggono ciascuno, da solo, in pose erotiche».

L'irrilevanza del consenso, in riferimento all'integrazione della nozione di "utilizzo del minore", non può pertanto essere affermata tout court, ma occorre indagare circostanze e modalità di acquisizione dello stesso, al fine di stabilire se possa ritenersi liberamente prestato o meno. In particolare, al riguardo la Corte afferma il seguente principio: «Non è tanto [...] il consenso o mancato consenso del minore che rileva in sé, quanto, anzitutto, l'età del minore rispetto al consenso prestato, le modalità di richieste per ottenere il consenso, le modalità di espressione del consenso, il coinvolgimento o meno di terzi, la destinazione successiva delle immagini autoprodotte e così via, tutti elementi da valutare per stabilire se vi sia stata o meno utilizzazione del minore nella condotta detentiva».

Infine, il collegio rafforza la propria motivazione con argomenti di tipo sistematico e teleologico. In virtù del necessario rigoroso rispetto dei principi di tassatività e offensività nell'interpretazione delle norme penali, la Corte conclude che «non si può pensare che il bene primario del libero e corretto sviluppo psico-fisico del minore, con particolare riferimento della sua sfera sessuale, sia tutelato sempre e comunque dal sistema penale, essendo ben altri gli ambiti di protezione e promozione in relazione ai sempre più numerosi casi di esposizione di minori, con riferimento alla sfera sessuale, attraverso i numerosi strumenti informatici, con rischi evidenti per una loro equilibrata e serena crescita».

Inoltre, la Corte osserva che l'art. 600 quater c.p., benché disposizione certamente di chiusura, è «norma che va pur sempre inquadrata nel sistema diretto a combattere il mercato della pedofilia» e che, per contro, l'interpretazione proposta dagli appellanti «rischia di rinnegare le chiare finalità di una legislazione nata proprio con il titolo di "norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minore, quali nuove forme di riduzione in schiavitù", e di considerare illecite condotte che il sistema complessivo delle norme penali ha viceversa inteso far rientrare nella sfera delle libertà individuali, di cui, evidentemente, sono portatori anche i minori».