ISSN 2039-1676


10 febbraio 2011 |

File temporanei di internet e detenzione di materiale pedopornografico

Nota a Cass. pen., Sez. III, 11 novembre 2010 (dep. 6.12.2010), n. 43246, Pres. Petti, Est. Amoresano

Con la sentenza n. 43246 dell’11 novembre 2010 - che può leggersi in allegato - la Terza Sezione della Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi del concetto di detenzione informatica di materiale pedopornografico penalmente rilevante ai sensi dell’art. 600 quater.
 
Confermando la condanna inflitta dalla Corte d’Appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto – , la Cassazione ha sancito l’equivalenza, ai fini della prova della condotta di detenzione, tra il materiale pedopornografico scaricato ed i files  temporanei di internet, vale a dire quelle parti di pagina dei siti internet che vengono memorizzate temporaneamente per essere utilizzate in caso di accesso alla stessa pagina in momenti successivi.
 
La vicenda oggetto della pronuncia traeva origine dal sequestro di un computer portatile in cui erano stati rilevati numerosi files temporanei contenenti immagini di minori nudi ed un messaggio inviato dall’imputato ad un sito internet dedicato allo scambio di materiale pedopornografico.
 
La difesa aveva sostenuto l’insussistenza della condotta detentiva in base alle risultanze di una consulenza tecnica ed all’orientamento della Suprema Corte in materia di divulgazione di materiale pornografico, rilevante ai sensi dell’art. 600 quater, secondo cui per detenere materiale pedopornografico non è sufficiente avere in memoria i relativi files, ma è necessario scaricarli.
 
La Corte di Cassazione ha condiviso tutte le argomentazioni sostenute dalla Corte territoriale a sostegno della penale responsabilità dell’imputato: per quanto riguarda la prova della condotta detentiva, innanzitutto, ha ritenuto che i files temporanei di internet possono “essere in qualsiasi momento richiamati in visione, anche da parte di un utente non particolarmente esperto” e dunque debbano essere equiparati al materiale scaricato.
 
Per quanto riguarda, invece, l’argomento difensivo basato sul diverso orientamento giurisprudenziale in materia di divulgazione di materiale pedopornografico, rilevante ai sensi dell’art. 600 ter c.p., la Corte ha specificato che la differenza tra le due fattispecie è tale da impedire il richiamo della giurisprudenza relativa alla prima in merito a questioni attinenti alla seconda: mentre infatti l’art. 600 ter c.p. è configurabile quando la condotta dell'agente abbia una consistenza tale da implicare un concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto, il reato di cui all'art. 600 quater c.p. è residuale, costituisce l'ultimo anello di una catena di variegate condotte antigiuridiche e dunque prescinde dal pericolo di divulgazione, fondandosi esclusivamente sulla mera detenzione del materiale.
 
Per quanto riguarda la prova dell’elemento soggettivo, infine, la Corte non ha condiviso le risultanze della consulenza difensiva e dunque, ritenendo accertato l’invio da parte dell’imputato di un messaggio al sito internet dedicato allo scambio di materiale pedopornografico, ha concluso che un simile comportamento implicasse la consapevole detenzione dei relativi files.