ISSN 2039-1676


07 ottobre 2014 |

Bianchi M., Concorso di persone e reati accessori, Torino, Giappichelli, 2013

Recensione

1. Il tema centrale della monografia in commento si appalesa, fin dalle prime battute della premessa, come quello in generale del rapporto tra concorso di persone e reati accessori: problematico, ma crocevia di numerose questioni, di parte generale e di parte speciale, così come fulcro di opzioni non scontate sia ermeneutico-dogmatiche, ma anche politico criminali, non essendo scevro dalle implicazioni di molte istanze de lege ferenda.

Lo spunto da cui muove, e che costituisce anche il leitmotiv di tutta l'opera, è identificabile nella volontà di superare i criteri distintivi tra concorso di persone e reati di favoreggiamento, ricettazione e riciclaggio, incentrati sulla diade concettuale fisicalistica (contributo causale/contributo non causale) e cronologica (contributo ante/contributo post delittuoso), per accedere ad una sistematica maggiormente debitrice di parametri normativi e valutativi, tanto da poter ammettere - è questa la tesi centrale e indubbiamente più coraggiosamente innovativa della ricerca - la sussistenza di condotte anche contestuali (o antecedenti) alla consumazione del reato presupposto che, non accedendo alla tipicità del concorso di persone in quest'ultimo, possono trovare sanzione, invece, nelle fattispecie accessorie.

L'opera si snoda attraverso una preliminare indagine storica, dove con ampli riferimenti sia alla dottrina e alle prassi del diritto comune e antecedenti alle codificazioni ottocentesche, così italiane come straniere, sia, successivamente, con analisi delle codificazioni preunitarie italiane e del codice Zanardelli, si cerca di far luce sul contesto di nascita, ed evoluzione, come fattispecie autonome, dei reati originariamente inquadrati nella categoria classificatoria e descrittiva della partecipazione post delictum (Capitolo I); prosegue poi con il tracciare in modo sintetico ma approfondito alcune linee guida metodologiche e dogmatiche per ridefinire la relazione tra i criteri generali di imputazione e di verifica della tipicità del fatto e l'attribuzione del contributo del complice o del coautore nell'ambito della fattispecie plurisoggettiva, per poi proseguire con una rilettura in senso normativo della tipicità concorsuale (Capitolo II) e, conseguentemente, tracciare in modo coerente i confini del concorso di persone e, per converso, dei reati accessori (in specie di riciclaggio, favoreggiamento personale e reale, e ricettazione), alla stregua di una disamina principalmente assestata sul piano sostanziale, ma senza tralasciare i correlati risvolti processuali (Capitolo III).

I punti qualificanti del lavoro possono sostanzialmente individuarsi: a) nelle premesse metodologiche ed ermeneutiche di teoria generale, concernenti la rilettura del concetto di causalità giuridicamente rilevante che si vuole emancipare dal "dogma fisicalistico", quale necessaria premessa di una rinnovata teoria del concorso[1]; b) in secondo luogo dalla rielaborazione indubbiamente alquanto originale dei criteri definitori sul piano della tipicità descrittiva, oltre che delle esigenze di imputazione, del limite inferiore di rilevanza delle condotte concorsuali, con un tentativo di ridefinizione ermeneutica, dunque, dei margini, pur necessariamente scontanti un deficit di determinatezza, della fattispecie plurisoggettiva eventuale; c) nella consequenziale e speculare rilettura innovativa della interpretazione dei profili oggettivi e soggettivi, delle fattispecie accessorie, ossia della loro autonoma tipicità, espressiva di un disvalore oggettivo lambente ma distinto rispetto a quello proprio dei fatti sussumibili nella fattispecie plurisoggettiva di cui agli artt. 110 e segg. c.p.

 

2. Il metodo di approccio alla teoria generale della imputazione è dichiaratamente ispirato, per un verso, alle moderne acquisizioni della ermeneutica giuridica; per altro verso sembra voler riconnettere con una certa chiarezza i problemi di attribuzione correlati alla struttura e funzione del concetto di causa agli aspetti di selezione della tipicità delle condotte rilevanti (per le fattispecie di evento monosoggettive o per la fattispecie plurisoggettiva).

L'Autore prende le distanze, in primo luogo, dalle impostazioni classiche del concetto di causalità (e contemporaneamente della visione esclusivamente descrittiva, avalutativa, della fattispecie penale oggettiva) che vengono criticate sotto il profilo della loro adesione ontologica ad un dogma fisicalistico-causale non più sostenibile, all'esito delle acquisizioni della moderna teoria della scienza in ordine alla falsificazione delle leggi scientifiche ed alla acquisita consapevolezza di una autonomia di metodo delle scienze storico-sociologiche[2].

Inoltre, vengono criticati anche gli esiti della teoria della imputazione oggettiva dell'evento assumendo in primo luogo come, metodologicamente, non sia condividibile procedere esclusivamente alla introduzione di correttivi di natura normativa agli eccessi estensivi della attribuzione dell'evento come fatto proprio derivanti dalla teoria condizionalistica.

Altra contestazione è la separazione tra imputatio facti e imputatio juris, la prima riservata ancora al dominio della logica condizionalistica e della, pur riconosciuta, validità euristica della condizione conforme a leggi scientifiche, la seconda caratterizzata più propriamente dai criteri di attribuzione normativa propri della teoria del rischio.

In definitiva, si addebita alla teoria dell'imputazione oggettiva la mancata complessiva esautorazione dei parametri naturalistico-causali di attribuzione del risultato alla condotta dell'agente, inidonei a risolvere i problemi di sussunzione dei fatti nelle fattispecie normative.

Si sostiene, infatti, per contro, che la causalità non sarebbe affatto una categoria (anche e in primo luogo naturalistica) ma come elemento della fattispecie tipica costituirebbe un concetto di valenza esclusivamente normativa.

La pars construens del discorso di parte generale procede a sottolineare la preminenza della risoluzione della problematica della descrizione dell'evento, o comunque del secondo termine della relazione causale.

Nell'affrontare tale tematica si rifiutano sia gli esiti di una impostazione dell'evento come correlato agli aspetti astratti di descrizione del medesimo nella fattispecie; sia gli esiti della descrizione estremizzata dell'evento concreto naturalistico hic et nunc verificatosi.

La descrizione evento è invece proposta come connessa agli aspetti offensivi oggettivi del fatto tipico; l'evento è prospettato nella sua natura di situazione esistenziale da verificarsi, certamente, a posteriori e dotata di un determinato disvalore.

Ciò posto, la causalità come relazione normativa tra la condotta e il risultato si appalesa, dunque, come l'esigenza di sintesi tra i due aspetti della concreta offensività del fatto, ossia del disvalore d'azione e del disvalore di evento: il primo quale quomodo del reato e il secondo come quantum di lesione. Si sostiene infatti che la fattispecie di reato sia e debba essere intesa come una coordinata descrizione di un fatto in quanto oggetto di valutazione da parte dell'ordinamento, sicché a tale sintesi di disvalore devono contribuire (nel caso di distanza tra prospettiva della condotta e quella dell'evento) entrambi gli elementi costitutivi del fatto tipico, la condotta e il risultato. In altri termini, il giudizio di attribuzione causale si sostanzia in una prospettazione squisitamente valutativa e normativa che ricerca tale sintonia e concreta armonia tra il primo e il secondo termine della fattispecie. In definitiva, si afferma l'esigenza di rinvenire nell'evento (e nel suo disvalore) i segni dell'azione (e del suo disvalore), istanza che è sostanzialmente segnalata come una conseguenza necessaria dell'impostazione metodologica incentrata sulla teoria ermeneutica: dunque come un risultato dell'andirivieni dello sguardo dell'interprete dal fatto materiale alla fattispecie, la cui matrice prima risale alle pagine di Engisch[3]. Tale prospettiva traduce in una definizione del nesso causale come un dato ermeneuticamente caricato di significati normativi e, dunque, elemento di (con) definizione della tipicità oltre che alla mera attribuzione di un evento e non costituisce dunque un concetto naturalistico ma esclusivamente di creazione a partire dalla fattispecie, senza poterne accogliere invece la nozione di mera derivazione scientifica (dalle scienze naturali) ovvero filosofica. Ne consegue anche, infine, l'impossibilità di una unitaria delineazione del concetto di causalità, essendo esso necessariamente destinato a declinarsi, secondo accenti differenziati, a seconda dei vari tipi causali della parte speciale, ed esistendo una molteplicità di causalità rilevanti per il diritto (a seconda delle varie fattispecie di reato di evento) e non una sola causalità.

Anche l'elemento di fattispecie costituito dalla "causalità" in astratto, ovvero dal "nesso causa-evento" in concreto diviene oggetto di una prospettata indagine teorico-pratica, in sede applicativo-sussuntiva, orientata dal testo della norma e dal principio di precomprensione: a tale prospettiva non sono avulse considerazioni in ordine al ruolo giurisprudenziale nella creazione del diritto e nella rilettura della causalità affermandone la dimensione valutativa e quindi il ruolo del giudice nella costruzione prima del concetto e poi nell'accertamento e prova del fatto.

Alcune notazioni paiono allora opportune: sia in relazione ai presupposti metodologici, sia con riguardo alle premesse "di teoria generale" del reato preposte dall'Autore alla trattazione della più specifica tematica della monografia.

Sotto il primo profilo deve segnalarsi la espressa adesione alla teoria ermeneutica del diritto nella ricostruzione delle fattispecie penali: si tratta di una impostazione teorico-generale che a volte è espressamente assunta come protagonista dagli autori penalistici italiani, specie in talune opere recenti[4], ma più spesso costituisce il convitato di pietra, spesso scomodo, o criticato, di molti studi incentrati su istituti della parte generale o della parte speciale; il sospetto, o ancor più, la diffidenza che aleggia intorno alla teoria ermeneutica da parte dei penalisti, è certamente veicolato dal timore che essa apporti strumenti ancor più raffinati alla giurisprudenza creativa per lo scardinamento definitivo del vincolo legalistico all'interprete (specie se rivestito della toga del pubblico ministero o del giudice) e in definitiva al superamento del principio di legalità e di tipicità delle fattispecie.

Salvo rinvii che rimangono suggestioni di ampia portata non compiutamente sviluppate, l'opera in commento, tuttavia, richiama in modo originale l'impostazione ermeneutica dei rapporti tra fatto e diritto, per inquadrarvi in una nuova luce, prettamente normativa e valutativa, il nesso tra condotta ed evento.

Nelle modalità con cui il metodo ermeneutico è maneggiato si colgono però, forse, alcune criticità della impostazione proposta, dovuti probabilmente, se si vuole, ad alcuni sottintesi metodologici non compiutamente espressi: l'Autore afferma infatti di seguire il metodo del circolo ermeneutico quando afferma che occorre riportare l'evento (e il suo significato normativo, ossia in definitiva il suo disvalore) alla condotta (o al suo significato di disvalore) attraverso un progressivo avvicinamento di significati. Il che costituisce una intuizione già di autori della pre-ermeneutica, ed è affermazione di metodo condivisibile.

Occorrerebbe forse meglio chiarire che sia la condotta che l'evento, proprio in una prospettiva ermeneutica, sono da cogliersi o nella loro dimensione di descrizione normativa (nel linguaggio della legge), o nella loro dimensione concreta (di fatti del mondo esterno). Orbene, l'ermeneutica giuridica ha spesso esaltato la dimensione dialettica del circolo ermeneutico, che in origine è pensata, filosoficamente, come rapporto tra il soggetto conoscente e l'oggetto della conoscenza, non essendo individuabile, secondo tali pensatori un oggetto inerte rispetto all'atto del conoscere, sicché l'oggetto influenzerebbe il soggetto conoscente e quest'ultimo ne sarebbe a sua volta influenzato; l'ermeneutica giuridica, però, ha richiamato tale relazione, soprattutto come relazione tra norma e fatto, come se il processo interpretativo, da incorporare nel circolo ermeneutico involgesse esclusivamente tali due elementi della vecchia grammatica del sillogismo sussuntivo-applicativo delle fattispecie. In realtà tuttavia, nella particolare prospettiva di tale teoria della conoscenza, rispetto al giurista (conoscente), tanto la norma che i fatti costituiscono oggetti di apprensione conoscitiva: quindi, l'apporto vivificante della ermeneutica, rispetto al metodo giuridico, andrebbe in parte più profondamente ripensato; la norma influenza la conoscenza del fatto perché la prospettiva giuridica dell'interprete lo porta a leggere i fatti attraverso occhiali normativi e valutativi; a sua volta, i concetti della dogmatica e le opzioni assiologiche cui l'interprete aderisce (o è tenuto ad aderire ad esempio in ragione di un vincolo di interpretazione conforme a Costituzione o alle norme sovranazionali) influenzano, come pure il fatto, le modalità di ricostruzione del contenuto precettivo delle norme a partire dal segno linguistico puro e semplice del dettato legislativo.

In tal senso, la teoria ermeneutica non costituisce effettivamente un rischio insormontabile per la legalità penale, ma probabilmente imporrebbe un ripensamento degli schemi concettuali statici in cui il vincolo del legislatore: l'interprete infatti, per l'ermeneutica, si deve rapportare con un testo che rimane alterità rispetto al conoscente stesso, non potendo dal primo essere sorpassato e posto in non cale; sicché per l'interprete giuridico rimane fermo il vincolo alla legge come pure il vincolo ai fatti, pur se si svela la correlazione tra i due atti conoscitivi fondamentali della legge, da un lato, (per definire la norma astratta) e del fatto (per definire la fattispecie concreta) in modo più profondo, e aderente alla realtà applicativa[5], rispetto allo schema tradizionale del sillogismo giudiziale.

Tanto premesso, è allora il vincolo ai principi di personalità della responsabilità penale e di tipicità che unitariamente impongono, a ben vedere, di ricercare nell'evento i segni della condotta anche sotto il profilo non solo naturalistico ma anche di disvalore. Infatti la norma di valutazione, in fattispecie di evento causalmente orientate, non è costituita dal solo evento o dalla sola condotta, ma dalla descrizione di entrambe: solo che la condotta è descritta solo implicitamente dalla fattispecie, in funzione dell'evento.

Nella ricostruzione del nesso tra tali due elementi, dunque, si impone di dare attuazione tanto alle esigenze di tipicità, quanto a quelle di attribuzione del fatto nel suo complesso (condotta-evento) all'autore come fatto suo proprio.

Quindi la circostanza che la fattispecie di illecito non sia meramente descrittiva di fatti ma anche valutativa degli stessi (aspetto tratto dalla lettura della norma nella sua dimensione valutativa) come illeciti dal punto di vista penale impone l'esigenza che il nesso tra i suoi elementi costitutivi sia costruito in termini anche normativo-valutativi e rispettosi di una effettiva attribuzione al soggetto del fatto nel suo complesso come suo proprio (aspetto assiologico del rispetto del principio di personalità della responsabilità penale alla stregua dell'art. 27 Cost.).

Nondimeno, anche in una prospettiva ermeneutica - anzi proprio seguendo il duplice dato conoscitivo offerto necessariamente all'interprete giuridico - non può dimenticarsi della dimensione (anche) materiale del fatto: di talché il rapporto tra condotta ed evento non può obliterare la natura anche naturalistica o storica (sebbene appunto non solo tributaria di un naturalismo esclusivamente fisico chimico, ma anche storico-sociale) costituito dai dati esterni alla valutazione normativa presupposti, sia alla formulazione delle disposizioni legali (al testo della legge[6]), come ai fatti cui la fattispecie normativa deve applicarsi.

Pertanto deve condividersi appieno la critica dell'Autore alla descrizione solo fisicalistica (come causalità nel senso delle leggi naturali) del nesso causale come elemento del fatto tipico astratto, o anche come aspetto del fatto quando già sussunto nella fattispecie: probabilmente l'Autore ha sottolineato l'esigenza di superamento delle mere coordinate cronologico- causali come uniche cornici del fatto tipico proprio in ragione delle finalità specifiche dell'indagine.

Nondimeno, sul piano della teoria generale, ad avviso di chi scrive, non può rinunciarsi totalmente ad un concetto di causalità nella dimensione di nesso logico ed eziologico, in quanto strumento[7] euristico di accesso dell'interprete (e del giudice) al fatto oggetto del processo di sussunzione nella fattispecie.

Tale ultima precisazione ben introduce alle osservazioni, da cui non ci si può esimere, di parziale condivisione, ma anche di critica circa i rapporti tra la prospettiva teorica dell'opera e quella delle teorie dell'imputazione oggettiva dell'evento.

L'Autore ritiene un limite della teoria dell'imputazione oggettiva dell'evento il procedere per selezione delle condotte - accertate come - condizionali per l'evento attraverso passaggi di riduzione di quelle rilevanti mediante criteri normativi o valutativi - logicamente successivi in un percorso lineare -.

Invero, per un verso, siffatta impostazione, se probabilmente caratterizzava fortemente le prime formulazioni della teoria dell'imputazione normativa dell'evento, ancor oggi, può apparire la chiave di lettura semplificante delle esposizioni manualistiche di tali impostazioni. Nondimeno le versioni più recenti - specie nella importazione italiana delle teorie - colgono in modo espresso, fin da subito, la dimensione (anche) normativa della stessa causalità logico-naturalistica, ossia la non esatta sovrapponibilità della concezione di causa rilevante per il diritto (anche nel livello logico della condicio sine qua non e dei suoi riscontri "naturalistici" in fatto); quanto piuttosto la sua natura ancillare rispetto al diritto e alla prospettiva normativa (le esigenze di attribuzione e di imputazione cui il parametro causale deve essere piegato).

Per altro verso, come si è detto, la causalità condizionalistica (pur nella assunzione della stessa come normativamente influenzata) costituisce un inevitabile metodo logico prima ed euristico poi di accertamento del fatto: è uno strumento di prova del nesso tra azione ed evento nella sua dimensione fattuale e materiale, necessario correlato della parimenti imprescindibile valutazione normativa.

Con riferimento a quest'ultima, poi, si appalesa la minor distanza della impostazione dell'opera in commento rispetto almeno agli esiti delle teorie della imputazione oggettiva dell'evento (o almeno di alcune declinazioni di esse): queste ultime, infatti, al pari dell'Autore di questa monografia, esplicitamente intendono dare rilievo, con i criteri e la topica caratteristica dell'argomentare di tali teorie, alla "dimensione ermeneutica del fatto tipico"[8]. Nondimeno il respiro delle teorie dell'imputazione oggettiva dell'evento appare assurgere a sistematizzazione delle categorie, sia pure originatesi da questa analisi di marca prettamente ermeneutica, così da potersi qualificare come compiuta analisi dogmatica benché innovativa rispetto ai canoni classici[9]: il concetto di rischio e il binomio attivazione di rischio illecito- realizzazione del rischio diviene, infatti, un nucleo fondante di una nuova sistematica del reato che influenza non solo la tipicità oggettiva, ma lo stesso atteggiarsi di quest'ultima rispetto alla antigiuridicità, come pure oggetto e contenuto del dolo e della colpa[10]. Ciò posto, ben si vede come l'esigenza di rinvenire nell'evento le tracce del disvalore d'azione quale connotato "ermeneuticamente" acquisito della tipicità delle fattispecie causalmente orientate, come pure i richiami alla idoneità (traslata dalle teorie della adeguatezza), non costituiscano esiti molto distanti rispetto a quelli cui pervengono (almeno alcune delle) versioni più moderne delle teorie dell'imputazione oggettiva dell'evento, per quanto riguarda l'aspetto del disvalore d'azione ex ante valutato[11].  Parimenti, anche l'idea della chiusura del sistema rinvenuto nella funzione di selezione delle concause operata dall'art. 41 cpv c.p. non è opinione così dissimile dalle acquisizioni della teoria imputazione oggettiva dell'evento.

D'altro canto, pur valorizzando una nozione del nesso di imputazione tra evento e condotta totalmente alternativa a quella apportata dalle tradizionali impostazioni naturalistico-descrittive - quanto alla idea di tipicità - e causalistico-naturalistiche - quanto alle modalità di attribuzione dell'evento al suo autore - , si evita nell'opera una svalutazione completa della dimensione a posteriori dell'imputazione: non ci si accontenta di una mera adeguatezza di disvalore valutata ex ante nella condotta, ma si precisa l'esigenza che tale dimensione si rifletta nell'evento.

In definitiva, la divergenza rispetto alle teorie dell'imputazione obiettiva dell'evento è probabilmente più terminologica che tecnico-teorica: il qualificare in senso normativo il concetto stesso di causalità, peraltro, intendendolo come "causalità giuridicamente rilevante", risulta potenzialmente meglio accettabile anche ad una cultura giurisprudenziale legata al linguaggio codicistico che per definire la relazione azione-evento utilizza pur sempre i predicati "cagionare" "causare" o il sostantivo "causa"[12].

Certamente però la posizione dell'Autore manifesta la sua originalità a nella misura in cui svaluta la portata autonoma sul piano dogmatico del solo momento ex ante- qui fortemente differenziandosi almeno da certe impostazioni correnti, specie nella dottrina tedesca della teoria dell'imputazione dell'evento -: la tipicità del fatto anche nei reati con evento naturalistico ben distinto dalla condotta viene, infatti, ricostruita ermeneuticamente - secondo le note di congruità di disvalore tra la azione ed omissione e risultato - come un tutt'uno, una unità inscindibile. Da questo punto di vista il percorso seguito è in larga parte condivisibile: nondimeno, a ben vedere, le impostazioni che assumono l'esistenza di una "tipicità" ex ante del tutto autonoma, di un Tatbestandsmaessige Verhalten[13], dotato di connotati suoi propri, non caratterizzano tutte le svariate versioni delle teorie dell'imputazione oggettiva dell'evento, né sono maggioritarie o particolarmente apprezzate nelle recezioni italiane delle stesse.

È vero però che andrebbe chiarito forse in modo più esplicito la relazione tra il nesso di rischio (come criterio ascrittivo) e la tipicità (come criterio descrittivo) del fatto: il tema richiederebbe spazi eccedenti la presente recensione, ma può solo accennarsi la semplice osservazione per cui se il fatto (siccome riconoscono alcuni degli autori che recepiscono le teorie della imputazione oggettiva) possiede una sua dimensione ermeneutica, probabilmente, il concetto di rischio e di nesso di rischio potrebbe collocarsi, in tale prospettiva, nell'ambito di quei concetti intermedi "general-concreti"[14] i quali, compendiando le esigenze assiologiche del principio di responsabilità personale, costituiscono il trait d'union tra la fattispecie astratta di reato e il fatto concreto da sussumere[15].

 

3. Dopo le appena sintetizzate premesse di teoria generale e di teoria dell'imputazione l'Autore scende a operare una ridefinizione sintetica della teoria del concorso di persone.

Si ripudia in primo luogo la concezione estensiva d'autore, escludendo peraltro, in coerenza con il concetto tutto normativo di causalità, che siffatta opzione interpretativa delle norme sulla cooperazione e il concorso nel reato sia implicata da una ricostruzione causale della tipicità del contributo del compartecipe.

Nondimeno, in tal senso, aderendo alla attuale prevalente dottrina italiana, vengono respinti anche gli esiti ricostruttivi delle teorie dell'accessorietà il cui punto critico è propriamente rinvenuto nell'incentrarsi su una, invero assai dubbia - si sostiene -, capacità definitoria del disvalore tipico concorsuale della condotta accessoria esclusivamente ritratta da quella principale, rinunciando invece a definire il disvalore suo proprio della condotta di concorso, del contributo del concorrente come fatto proprio di quest'ultimo.

L'art. 110 c.p. viene visto come una tipicità derivata da quella originaria monosoggettiva: non basterebbe però la tipicità del contributo meramente adeguato all'organizzazione comune e o idoneo ad essere strumentale all'altrui illecito; per definire il limite inferiore della responsabilità del concorrente si richiama la disciplina coordinata degli artt. 116 c.p. e 41 c.p.: essendo - si sostiene - la prima norma vista come un'ipotesi speciale delle fattispecie disciplinate dalla seconda.

Quindi, in concreto, il disvalore condotta concorsuale dipenderebbe dal suo inserirsi dunque nel complesso collettivo unitario, dovendosi poi rinvenirsi il riflesso di tale disvalore nell'evento.

Per contro, continua l'Autore, la tipicità accessoria si colloca non dentro ma fuori della tipicità concorsuale e i suoi confini dovrebbero quindi in via di prima approssimazione in negativo: il disvalore concorsuale deriva dal coordinarsi di più condotte per commettere il reato, mentre il disvalore del reato accessorio è di topo assicurativo e non per così dire (con le parole stesse dell'Autore) "commissivo".

La distinzione tra contributo concorsuale tipico e quello atipico, dunque, non dipenderebbe dalla esistenza di un nesso di condizionamento o meno e quindi nemmeno dalla connessione e successione cronologica tra la condotta del reo e il fatto, ma dal tipo di disvalore che le note caratteristiche del fatto consentono al giudice (o all'interprete) di attribuire al contributo: se, cioè meramente assicurativo o anche di agevolazione in senso "commissivo" del fatto stesso.

Le caratteristiche di questa trattazione della teoria generale del concorso di persone nel reato possono sottolinearsi, per un verso, nella esplicita dipendenza logico-dogmatica della stessa alle premesse di teoria generale dell'imputazione; per altro verso, nel tentativo di individuare una sistematizzazione ermeneutica alla disciplina del concorso di persone come esistente nel nostro attuale codice penale, pur non sottacendone le ormai acquisite criticità ed aporie rispetto ai principi costituzionali.

A tale ultimo proposito, probabilmente, l'impostazione adottata è forse condivisibile, in ragione non solo del fatto che l'attuale disciplina del concorso di persone di tipo unitario e non differenziato risulta difficilmente superabile, de jure condendo, almeno in tempi brevi; ma anche del fatto che le, pur diffuse, alternative discipline della fattispecie concorsuale a struttura differenziata, ad una analisi comparata appronfondita si sono mostrate spesso inidonee a risolvere ogni problema connesso alla riconduzione a fattispecie di illecito compatibile con i principi costituzionali della tipicità concorsuale[16].

In effetti, nel concorso di persone si intrecciano e si aggravano le istanze di problematica compatibilità tra la tipicità come sede dogmatica ed ermeneutica di realizzazione del principio di riserva di legge e di tassatività e la teoria della imputazione come luogo dogmatico per vivificare il principio di personalità della responsabilità penale (art. 27 Costituzione)[17]. Infatti, nel concorso di persone - specie a fronte di un sistema a regolamentazione unitaria della fattispecie plurisoggettiva come quello italiano - è imprescindibile individuare criteri per attribuire normativamente l'intero fatto realizzato da più persone ai singoli concorrenti; inoltre risulta essenziale definire gli stessi contorni di questo fatto plurisoggettivo che non rinvengono tassativa descrizione (a differenza delle fattispecie monosoggettive) ad opera della legge[18]: sotto quest'ultimo profilo si vuole cioè sottolineare che la norma codicistica ammette bensì una tipicità rispetto alla fattispecie plurisoggettiva (creata dall'incontro tra disposto dell'art. 110 c.p. e singole disposizioni di parte speciale), ma non è possibile individuare in modo adeguatamente definito i contorni di questo fare illecito con altri in cui si sostanzia la tipicità concorsuale. Anche sostenere (come fa la maggior parte della dottrina tradizionale e della giurisprudenza) che il contributo tipico sia quello che comunque si pone come condizione dell'evento o del "fatto" concorsuale, non rappresenta una soluzione ermeneutica idonea a colmare la distanza tra il contributo materiale o morale certamente attribuibile come fatto proprio del concorrente e la tipicità complessiva (e il disvalore compiuto e specifico) del fatto conforme alla fattispecie penale della quale il correo o complice è comunque chiamato a rispondere.

Se così è, in generale, risulta certamente meritorio il tentativo della monografia in commento di ricercare criteri non solo condizionalistici di selezione del comportamento tipico del correo o del complice: nondimeno, affermare che il contributo tipico sia quello che ha valenza "commissiva" appalesa una corretta impostazione metodologica per distinguere ab estrinseco l'ambito della tipicità concorsuale da quella di altre fattispecie (ciò che costituiva oggetto specifico dell'indagine); il tema richiederebbe ulteriori precisazioni per definire l'intrinseca sostanza del contributo concorsuale, ossia a valenza "commissiva".

Sotto tale profilo, invero, non ci si può esimere dall'osservare come, in assenza di una maggiore tipicizzazione astratta delle singole fattispecie di contributo concorsuale, un imprescindibile limite alla discrezionalità della giurisprudenza può, allo stato del diritto positivo vigente, ritrovarsi esclusivamente nel riscontro ex post della realizzazione nel fatto collettivo di quel rischio ex ante attivato dal concorrente; riscontro che, sul piano della materialità, non può probabilmente prescindere da un riscontro (anche e prima di tutto) condizionalistico circa l'efficacia causale della condotta del correo[19].

Infatti, in un sistema unitario di disciplina del concorso la norma incriminatrice dello stesso suona come un divieto di "realizzare con altri" una fattispecie criminosa: il contributo concorsuale non può allora che sostanziarsi in un fatto proprio del correo tale da contribuire a integrare il disvalore tipico della fattispecie di parte speciale "in quanto" realizzata da più persone. Nondimeno, mentre in talune ipotesi di concorso, le note di tipicità del fatto monosoggettivo caratterizzano di per sé stesse la condotta del concorrente funzionalmente connessa a quella degli altri (si pensi a certi casi di realizzazione frazionata di fattispecie di reato complesso, ovvero di fatti circostanziali, o al concorso nel reato proprio da parte dell'extraneus), in altri casi esclusivamente il riscontro di una realizzazione nel fatto concorsuale (da apprezzarsi a posteriori) del concreto rischio (o disvalore) proprio della condotta del singolo concorrente può valere a caratterizzare di tipicità (ai sensi della fattispecie plurisoggettiva) la condotta di quest'ultimo (si pensi al concorso con modalità atipiche del semplice complice ovvero in fattispecie a forma libera). La tesi in commento, da questo punto di vista, nei connotati dogmatici che in nuce la identificano, si pone nella giusta ottica, evitando per un verso sia di obliterare totalmente le esigenze di esaltazione del disvalore di condotta (concorsuale)[20], sia, per altro verso, ponendo le basi (almeno implicite) per l'impedimento d'una deriva verso soluzioni estensive della tipicità concorsuale a contributi esclusivamente adeguati ex ante ovvero a meri contributi "agevolatori" in quanto generatori di un semplice aumento del rischio del fatto concorsuale[21]: risulta peraltro, come detto, meritevole di approfondimento più specifico l'effettivo contenuto sostanziale che deve rivestire il contributo per assurgere alla qualificazione di "commissivo", ossia di tipico ai sensi della fattispecie plurisoggettiva eventuale.

L'esigenza di riscontro di una congruità di disvalore non già tra la condotta del concorrente e l'evento, ma anche tra questa e la condotta collettiva dei concorrenti in quanto esprimente la tipicità del fatto plurisoggettivo può forse segnare un percorso interpretativo di meritevole ulteriore approfondimento.

 

4. Si giunge quindi al fulcro della teoria perseguita, la quale si estrinseca in tutta la sua portata della pars destruens in uno "sgretolamento del dogma ezio-crono-logico": non ogni condotta contestuale o antecedente alla effettiva consumazione del fatto ricadrebbe nella tipicità del contributo concorsuale; sarebbero, invece, ammissibili e pensabili alcuni contributi che pur essendo magari anche condicio sine qua non in senso naturalistico "fisicalistico" dell'evento, i quali pure, da un punto di vista normativo, non sarebbero sussumibili nella fattispecie plurisoggettiva di concorso. Essi potrebbero essere valutati, dunque, nel loro specifico disvalore, solo alla stregua di diverse fattispecie: ossia delle ipotesi speciali di reati accessori in senso lato rispetto alla tipicità del concorso di persone. L'impostazione troverebbe peraltro corroborazione negli appigli testuali nell'art. 378 c.p. che, nel definire la clausola di riserva e sussidiarietà, con riguardo al delitto di favoreggiamento, la specifica cronologicamente in relazione alle condotte poste in essere "dopo che fu commesso" e non già necessariamente anche "dopo che fu consumato" un reato.

È dunque la distinzione del disvalore di tutte queste fattispecie rispetto a quella concorsuale non questione di cronologia e di causalità (poiché può esserci anche rispetto all'aiuto concreto in qualsivoglia momento offerto all'autore o ai coautori o complici altri). Ai fini di sceverare tra tipicità plurisoggettiva eventuale e tipicità autonoma rispetto alla fattispecie accessoria, occorre apprezzare piuttosto come, ed in che misura, l'aiuto (anche se agevolatore e dunque condizionale in senso strettamente eziologico) sia prestato alio modo, ossia in modo diverso rispetto a quello consono alla tipicità concorsuale: perciò, si rinverrà allora la tipicità autonoma per reato accessorio in quelle condotte aventi al più mero valore "assicurativo" rispetto al fatto realizzato in concorso e non già "commissivo" ossia assimilabile al tipico disvalore di quest'ultimo[22].

La natura di limite inferiore degli atti commissivi viene quindi più specificamente rinvenuta in quelli che mantengono valore concorsuale anche nel caso di "aberratio" ossia nell'ipotesi di evento deviato dalle modificazioni impresse all'iter criminis dagli altri concorrenti per effetto del 116 c.p. è comunque concorrente[23].

I criteri discretivi esposti in via generale vengono poi meglio chiariti nella loro portata pratica attraverso una esemplificazione di possibili ipotesi di realizzazione di reati accessori, distinti a seconda del momento di realizzazione della condotta di aiuto in rapporto al momento della commissione del reato principale.

Prima della commissione del fatto collettivo o pluripersonale sarebbero configurabili tendenzialmente due tipologie di condotte accessorie: i) nel caso di promessa di attivarsi dopo la consumazione, se poi sia adempiuta, la sussunzione nella fattispecie accessoria dipenderebbe dalle modalità di adempimento di tale impegno, a seconda cioè che esso sia posto in essere con un fare "commissivo" o con semplice "fare assicurativo"; ii) altra fattispecie ipotizzabile, poi, sarebbe l'aiuto dato in anticipo la cui utilità finale si materializza per tali condotte, invero solo dopo la commissione del reato, sicché strutturalmente e formalmente risulterebbe anche rispettato anche l'inciso dell'art. 378 c.p.

Nel caso invece di comportamenti tenuti in itinere delicti principalis occorrerebbe ulteriormente distinguere: i) tra le condotte di agevolazione poste in essere a favore dei consociati in costanza della permanenza del vincolo associativo fra questi e quindi nella permanente commissione del delitto di durata integrato dalla associazione criminosa; in alcuni casi, siffatti comportamenti sarebbero comunque inquadrabili nella cornice del favoreggiamento personale aggravato piuttosto che in quella di concorso, se ed in quanto risulti difficoltoso o sia impossibile fornire prova di un contributo effettivo e concreto al sodalizio delittuoso; ii) nell'ipotesi di riciclaggio del partecipe di associazione, poiché - si sostiene - quest'ultima mai sarebbe idonea a produrre proventi oggetto di trasferimento od  occultamento, essi trovando invece la propria fonte nei reati scopo, semmai commessi dagli associati, ma dei quali non tutti necessariamente possono essere chiamati a rispondere.

Da ultimo, non viene nemmeno trascurato il risvolto processuale delle questioni di natura sostanziale trattate nel corso della monografia, la cui analisi appare incentrata su una ricostruzione della questione della modifica dell'imputazione da reato accessorio a contributo concorsuale e viceversa, pur partendo dalla medesima vicenda storica oggetto di giudizio.

In effetti il processo si appalesa come luogo in cui i reati accessori mostrano chiaramente la loro contiguità, nelle manifestazioni concrete, rispetto al concorso di persone, perché processualmente il fatto rilevante (al fine ad esempio della precisione della definizione del capo d'imputazione ovvero soprattutto come oggetto di prova ai sensi dell'art. 192 c.p.p.) è con-costituito non solo dai connotati essenziali della tipicità (sostanziale) del medesimo, ma pure da tutte le note giuridicamente rilevanti dell'accadimento materiale oggetto di prova.

Il risultato della indagine giurisprudenziale sotto un certo profilo conferma la tesi sostenuta nel testo: infatti, da una disamina della Giurisprudenza di Cassazione sul punto, il passaggio da contestazione concorso nel reato principale alla fattispecie accessoria costituisce una mera riqualificazione giuridica del medesimo fatto, rimanendo quest'ultimo immutato. Alla stregua di una concezione fortemente funzionalizzata della medesimezza del "fatto" in senso processuale per come inteso dagli artt. 518-522 c.p.p., quest'ultimo manterrebbe immutata la propria identità nelle ipotesi in cui il diritto di difesa rispetto all'accertamento di quel dato materiale e storico sia stato soddisfatto nel giudizio; vi sarebbe esclusivamente da valutare lo stesso in diritto secondo una diversa qualificazione giuridica, se ed in quanto sia stato comunque possibile all'imputato nell'ambito del processo adeguatamente difendersi rispetto alle plurime opzioni di molteplice sussunzione: conseguentemente la stessa Corte di Cassazione indirettamente ammette la possibilità di una identità fattuale (almeno sotto il profilo del mero Sachverhalt non ancora qualificato, dell'evento storico non giuridicamente valutato) tra i comportamenti suscettibili di sussunzione come contributi tipici nelle fattispecie concorsuali e comportamenti aventi solo connotati di tipicità accessoria; la divaricazione tra le fattispecie di attrazione degli uni e degli altri sarebbe quindi da ricercarsi, in conformità alle tesi sostenute nella presente opera monografica, propriamente nella diversa qualificazione giuridica dovuta alla difforme caratterizzazione valutativa conferente agli stessi.

È pur vero tuttavia - e in termini critici l'Autore non manca di rimarcarlo - che una concezione moderna della tipicità sostanziale, ermeneuticamente caratterizzata anche in senso valutativo, dovrebbe riverberare i propri effetti anche sul piano processuale, non potendo sostenersi la esclusiva divergenza di qualificazione giuridica in fatti materiali che, sotto il profilo del disvalore, sono connotati da divergenza tale da dover essere sussunti l'uno in una fattispecie di concorso e l'altro in una fattispecie accessoria autonoma di favoreggiamento personale ovvero di riciclaggio o di ricettazione.

Si tratta tuttavia di una esigenza, quest'ultima, di portata più generale, che, magistralmente suggerita nelle pagine finali della monografia con riguardo ad uno specifico settore ed ad una speciale questione, meriterebbe essere oggetto di più approfondite indagini che riconnettano il concetto di fatto in senso sostanziale come risvolto della tipicità al fatto come oggetto della imputazione che del principio di tipicità dovrebbe costituire la plastica vestizione nell'ambito del processo, essendo con la formulazione della imputazione stessa compiuto il primo ed essenziale atto ermeneutico di raccordo tra un accadimento storico non qualificato e la norma.  

 


[1] D'altro canto lo stesso Seminara S, Tecniche normative e concorso di persone nel reato, Milano, Giuffrè, 1987, 274 ss., 415 ss., segnalava la importanza dello studio della teoria del concorso per la teoria generale del reato, nonché l'inserimento a pieno titolo della dogmatica del concorso di persone nella teoria generale del reato. D'altro canto alcune delle acquisizioni ermeneutiche e delle impostazioni teoriche più feconde in tema di causalità ed imputazione sono state, anche in passato, veicolate, spesso, proprio dalla teoria del concorso: si pensi solo a certe istanze della causalità adeguata già solamente all'opera di von Bar L.,  Zur Lehre von Versuch und Teilnahme am Verbrechen, Hannover, 1859, 43 ss., 65 ss.

[2] In tal senso si pone certamente nel filone espresso da una ben definita scuola di pensiero della dottrina penalistica italiana: v. Ronco M., La dimensione oggettiva del fatto tipico: il nesso causale tra condotta ed evento, in Commentario Sistematico al codice penale (a cura di Ronco), 185 ss.; di recente anche Caruso G., Gli equivoci della dogmatica causale. Per una ricostruzione critica del versante obiettivo del reato, Torino, Giappichelli, 2013, passim, specialmente 168 ss. 187ss.

[3] Dunque in primo luogo di un autore classificabile come precursore dell'ermeneutica giuridica di scuola gadameriana cui, nemmeno tanto tra le righe, il Bianchi sostiene di volersi richiamare.

[4] Per dirne alcune, di scuole di pensiero anche distinte, dal punto di vista della tradizione dogmatica, per altro verso: espressamente Di Giovine O., L'Interpretazione nel diritto penale: tra creatività e vincolo alla legge, Milano, Giuffrè, 2006; Caruso G., La discrezionalità penale. Tra «tipicità classificatoria» e «tipologia ordinale, 126 ss.; Cadoppi A., Il valore del precedente nel diritto penale: uno studio sulla dimensione in action della legalità, passim; Carlizzi G. - Omaggio V., Ermeneutica e interpretazione giuridica, Torino, Giappichelli, 2010, 91 -116; Alagna R., Tipicità e riformulazione del reato, Bologna, Bononia University press, 2007.  

[5] Chi aderisce alla teoria ermeneutica tiene a precisare di non aver "inventato" nulla ma solo "scoperto" il modo con cui effettivamente i giuristi pratici prima che teorici hanno per secoli applicato il diritto al fatto.

[6] Così da costituirne un dato di precomprensione non revocabile in dubbio.

[7] Sia pur con utilizzo differenziato di più concetti di causalità e senza rinunciare dunque a ricercare regolarità causali non solo in leggi scientifiche vere e proprie, ma anche in massime di esperienza: afferenti ad esempio ai rapporti sociali o alle dinamiche psicologiche.

[8] V. Donini M., Illecito e colpevolezza nell'imputazione del reato, Milano, Giuffrè, 1991, 55 ss., 290 ss.

[9] In questo senso il rischio non è allora, probabilmente, come sostiene Perini C., Il concetto di rischio nel diritto penale moderno, Milano, Giuffrè, 2010, 367 ss., un mero criterio ermeneutico per l'interpretazione delle singole fattispecie causali pure o a forma vincolata, ma si diparte da una esperienza interpretativa per assurgere a modello sistematizzante.

[10] Molto chiaramente, Donini M., Imputazione oggettiva dell'evento, "Nesso di rischio e responsabilità per fatto proprio", Torino Giappichelli, 2006, 52 ss., e rispettivamente per colpa e dolo: 93 ss. e 127 ss.

[11] L'art. 56 c.p. e il concetto di idoneità come passaggio essenziale anche per la condotta tipica nelle fattispecie causali consumate è valorizzato invero, quale addentellato codicistico per la nuova concezione teorica, ad esempio, sia da Donini M., Imputazione oggettiva dell'evento, cit., 73 (quantomeno per i fatti dolosi), sia da altri autori espressamente ispirati alla imputazione oggettiva: v. ad esempio Pagliaro, Principi di diritto penale. Parte Generale, Milano, Giuffrè, 1987, 370; Canestrari S.-Cornacchia L.- De Simone G., Manuale di diritto penale. Parte Generale, Bologna, Il Mulino, 2007, 357 e 675.

[12] In effetti alcune recezioni della "teoria del rischio" ad opera di magistrati impegnati in riflessioni scientifiche approfondite si avvalgono proprio del concetto di causalità giuridica: v. ad esempio Blaiotta R., La causalità nella responsabilità professionale. Tra teoria e prassi, Milano, GIuffrè, 2004; Id,  Causalità giuridica, Milano, Giuffrè, 2010; Blaiotta R.-Canzio G., voce Causalità, in Dizionario di diritto pubblico, II, Milano, Giuffré, 2006, 821 ss.

[13] Specialmente Frisch W., Tatbestandsmäßiges Verhalten und Zurechnung des Erfolgs, C.F. Müller, 1988, 226 ss.

[14] V. Engisch K., Die Idee der Konkretisierung in Recht und Rechtswissenschaft unserer Zeit, Heidelberg, 1953, 240 ss., 283-284.

[15] D'altro canto è noto come a partire dal concetto generale di nesso di rischio sia sviluppata una vera e propria "topica" di argomenti che danno essenza effettiva e operativa a quel concetto, sicché la classificazione proposta appare anche se solo implicitamente accolta dagli stessi fautori della Objektive Zurechnung.

[16] Si veda quanto ai problemi delle impostazioni differenziate l'ampia trattazione comparatistica di Seminara S, Tecniche normative e concorso di persone nel reato, cit., passim.

[17] Lucidissimo sul conflitto tra tali due esigenze da far convergere nella teoria dell'autorìa o del concorso, Vives Antòn D.T.S., Prologo a Gòrriz Royo E. M., El concepto de autor en derecho penal, Valencia, Tirant lo Blanc, 13-14 e 17-19.

[18] Bricola F., La discrezionalità nel diritto penale , Milano, Giuffrè, 1965, 157 ss., sosteneva che l'intero capitolo del concorso di persone nel reato fosse predicabile di incostituzionalità per difetto di tassatività.

[19] Specie se tale contributo sia completamente "atipico" cioè non abbia alcun tipo di correlazione con gli elementi di disvalore del fatto tipico cui si concorre, come avviene per i contributi psichici o per molti contributi concorsuali inquadrabili nella mera agevolazione comunque punibile ai sensi dell'art. 114 c.p..

[20] Esprimendo l'esigenza che la natura concorsuale o meno del comportamento posto in essere dal concorrente sia connotato da dati di disvalore ulteriori rispetto alla semplice condizionalità causale rispetto all'evento o al fatto collettivo nel suo complesso.

[21] Nella misura in cui sottolinea, valorizzando anche la portata generale interpretativa dell'art. 116 c.p., l'esigenza di riscontro di realizzazione ex post nel fatto concorsuale delle conseguenze del contributo del singolo partecipe di natura atipica.

[22] Secondo l'Autore addirittura, a certe condizioni, anche la condotta del palo, dove non assuma carattere di disvalore assimilabile a quelle del concorrente nel reato potrebbe al più essere tipica rispetto ad un reato di favoreggiamento: quando, ad esempio, il cosiddetto correo che faccia il palo non influenzi in alcun modo le modalità esecutive del commesso illecito, quanto piuttosto tenda ad assicurare la successiva fuga e dunque l'impunità ai concorrenti, benché inizi nella sua esecuzione contestualmente o anteriormente al perfezionamento o alla consumazione del reato realizzato dagli altri concorrenti.

[23] Hanno invece ad esempio al massimo valore di assicurazione alcune condotte eziologicamente agevolatrici, come nel caso del "collant" fornito per il travisamento dove nemmeno possa predicarsi una qualche facilitazione effettiva o contributo sostanziale e rilevante del travestimento nelle modalità esecutive concrete del fatto.